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Costume e SocietàLetteratura

L’inizio della “Operazione foro”

Storie d’altri tempi


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Marco salutò la cugina e uscì con l’intenzione di andare al bar, ma in quel momento si ricordò che il fabbricato aveva una cantina proprio sotto l’ufficio postale. Il fato volle dargli una mano facendogli trovare la porta chiusa con un lucchetto in cui, per una dimenticanza della cugina Elisabetta, era rimasta la chiave inserita. Marco, mentre varcava il portone, si girò per salutare la cugina, ma lei non c’era; si era rifugiata in casa con la velocità del fulmine. Colse l’attimo e in punta di piedi si recò alla porta che dava in cantina e sfilò la chiave dal lucchetto.
Mentre stava per uscire dal portone della corte, sentì provenire dall’ufficio postale un botto sordo, seguito da due colpi di rivoltella. Voleva andare a vedere cosa fosse successo, ma per prudenza arretrò e si rifugiò nella corte in attesa di capire cosa stesse accadendo. Dopo circa un minuto altri due colpi di rivoltella sparati in aria, subito seguiti dallo stridere delle gomme di una macchina. Fera attese ancora una decina di secondi e prese a camminare a passo svelto in direzione del vicino ufficio postale. In poco tempo la gente si riversò in piazza e andò verso l’ufficio postale. Dal portone della posta uscì l’impiegato, con le mani si teneva l’addome; il sangue gli colava giù, tingendogli le brache di rosso. L’ufficiale sanitario era già sul posto e gli prestò i primi soccorsi. Mario chiamò l’ambulanza del piccolo presidio ospedaliero e poco dopo, in lontananza, le sirene si fecero sentire. Il farmacista scese le scale velocemente con una bottiglietta d’acqua, andò verso il ferito e gliela appoggiò al muso per fargli mandare giù un sorso. La gente arrivava a fiume da tutti i lati della piazza; Teodora, rimasta dietro la vetrina del bar, guardava impaurita quanto stava accadendo. Pietro, l’impiegato postale, disse che erano entrati in tre con il passamontagna e al suo rifiuto di aprire la porta uno dei rapinatori fece uso della dinamite, distruggendo la porta blindata. Una volta dentro uno dei tre esplose due colpi di rivoltella ferendolo all’addome. Marco si preoccupò di domandare all’impiegato se avessero portato via i soldi. La risposta fu positiva: si erano appropriati di 200.000.000 di ₤.
Il grido assordante delle sirene coprì il vociare della gente; il tempo necessario a caricare Pietro sulla lettiga e subito l’ambulanza riaccese le sirene e partì in direzione del vicino presidio ospedaliero. Marco era moralmente distrutto, poiché vedeva sfumare il suo sogno di ricchezza: nei suoi pensieri il progetto della casa venne giù come se ci fosse stato un violento terremoto.
La pattuglia dei Carabinieri arrivò sul posto e iniziò l’operazione di rilievo per stilare il verbale di rito su quanto accaduto. Marco Fera imprecò contro i rapinatori e poi si diresse al bar, dove occupò il solito posto e prese a mandare giù del bianchetto. Nicoletta del Bar Primavera, fattasi coraggio, uscì dal locale e, dal portico, osservava la gente discutere animatamente davanti all’ufficio postale.
Dal bar Carducci, Marco Fera guardava stizzito i movimenti della gente che secondo lui godeva per quanto era accaduto: l’evento rompeva la monotonia del paese.
I quattro rapinatori avevano dato adito ai pettegoli di chiacchierare fino a quando non fosse successo qualcosa di nuovo.
Marco considerava l’accaduto come qualcosa di violento e di folle; secondo il suo pensiero erano solo dei frettolosi che avevano rischiato oltre misura.
Poi rimase affascinato dalla somma di denaro che avevano portato via.
Per rincuorarsi prese a pensare alla notte che avrebbe portato via tutto il denaro dell’ufficio postale senza fare rumore né spargimento di sangue. Il suo piano doveva essere espressione di perfezione, a cose fatte la gente sarebbe rimasta ammirata per la professionalità di chi aveva compiuto il furto.
Due sere dopo, verso l’ora in cui di solito Mario si avventurava sul cornicione per andare a trovare Teodora, Marco, attrezzato di una potente torcia, varcò la soglia della cantina della cugina Elisabetta e calcolò il punto esatto in cui praticare il foro per entrare e svaligiare l’ufficio postale. 
Era l’una di notte, in poco tempo si era fatto l’idea di come intervenire per praticare il foro. Per sua fortuna la calce che legava i mattoni pieni, per via dell’umidità, aveva perso resistenza. 
Si era portato dietro un cacciavite che usò per sondare quanto tempo occorreva per aprire il varco. Il sondaggio gli permise di calcolare il tempo necessario per entrare nella stanza della cassaforte. In conclusione, doveva lavorare da tre a quattro sere nelle ore in cui il sonno attanaglia gli uomini. Sessanta notti dopo ebbe inizio l’operazione foro.
La notte del giovedì, quando Mario percorreva il cornicione per rientrare nel suo alloggio, Fera in bicicletta a luce spenta percorreva silenziosamente la strada che, illuminata dalla fioca luce dei lampioni dello stesso modello di quelli sul Tamigi al tempo di Jack lo squartatore, lo portava nella viuzza che dava nella corte della cugina Elisabetta.

Continua…

Foto: murprotec.it


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