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Costume e Società

Nonna Rita: «La donna è divenuta davvero parte della società solo con il voto»

Nonna Rita non è la mia nonna biologica. È la nonna del paese, e si ricorre a tale appellativo nei suoi confronti perché, come solo una nonna sa fare, accoglie nella sua casa chicchessia, prepara piatti prelibati a chiunque voglia prendere parte al suo banchetto e dispensa gratuitamente consigli risolutivi a chiunque le sottoponga una qualsiasi questione. Tutto questo con garbo e saggezza non indifferenti, frutto (ahinoi!) di un’epoca che si accinge a spirare.
Nonna Rita è una donna visibilmente forte.
Ha 86 anni, 12 figli, e tante cose da raccontarci.
Le sue mani rovinate dagli anni e i suoi occhi pieni di vissuto mi ricordano tanto la mia nonna a cui sono morbosamente affezionata. Ringrazio nonna Rita per questa familiarità che ha lasciato che instaurassimo.
Oggi ricorre la Giornata Internazionale della Donna. Ai tuoi tempi come veniva considerata la donna rispetto all’uomo?
È inutile negarlo: la donna stava sempre a un gradino sotto all’uomo, poverette noi. Quando nasceva un maschio si faceva una festa che non finiva più, quando nasceva una femmina si faceva quasi finta di essere contenti allo stesso modo. Voglio credere che succedesse perché già da allora si sapeva che la donna avrebbe dovuto faticare il doppio per vedersi riconosciuto lo stesso valore dell’uomo. Alla donna non era concesso lavorare, se non in campagna. Doveva occuparsi della casa, dei figli. Questo era il lavoro della donna. Oggi le cose sono cambiate e si fa quello che si vuole, ma io ricordo che alla mia età l’unica uscita consentita era per andare a messa e nemmeno per andare a fare la spesa. Non era buona condotta vagare per strada senza una meta.
A quanti anni hai conosciuto nonno Mario e la tua famiglia come è venuta a conoscenza della vostra relazione?
Ho conosciuto nonno Mario a 14 anni, ma devi immaginare il mondo di allora e non pensare che fossi come le ragazze di 14 anni di oggi. Io sapevo fare tutto: il pane, il formaggio, sapevo stirare, cucire. Oggi si ricorre alla donna delle pulizie perché tutte vanno a scuola e occuparsi delle faccende domestiche è quasi considerato di basso profilo. Nonno Mario era un amico di mio fratello Antonio e, prima di venire da me, andò da lui. Poi, un giorno, mio padre tornò dalla campagna e mi disse che c’era questo amico di Antonio che voleva sposarmi. Io non lo conoscevo, anche se eravamo dello stesso paese, perché io quando uscivo per andare a messa, per strada non guardavo nessuno.
E il matrimonio?
Ci siamo sposati dopo due anni, ma in questi due anni si può dire che non ci siamo mai conosciuti. Lui veniva a casa mia, che è questa in cui abito ora, ma io stavo sul divano e lui al balcone. Quanto può essere distante? Due metri. E in più c’era sempre qualcuno che ci teneva d’occhio, come se a lasciarci soli c’era il rischio che lui mi mordesse. Altro che baci e bacetti. E, per farti capire quanto le cose siano cambiate rispetto a ora, quando stavamo per sposarci, ho perso peso da un giorno all’altro perché il solo pensiero di dover condividere il letto con lui mi metteva in imbarazzo. I miei nipoti ridono ancora davanti a questi racconti, come se fossero delle barzellette.
Nonno Mario era più geloso o goloso? Si arrabbiava di più se ti vedeva chiacchierare con un altro uomo oppure se, rincasato, non avevi preparato le pietanze che, dopo una giornata di lavoro, gli spettavano?
Diciamo che sono stata fortunata a sposare nonno Mario: era così buono con me. Non tutti gli uomini, ai miei tempi così come oggi, erano così. Era un po’ geloso, sì, ma sapeva che si poteva fidare di me. Inoltre non ho mai lasciato che si innervosisse per il mancato pasto: era sempre tutto pronto quando arrivava e addirittura gli spostavo pure la sedia per farlo sedere. Mio marito tornava a casa stanco, alla sera, e io dovevo adempiere il mio dovere di moglie, che era quello di prendermi cura delle mura domestiche e di tutto ciò che si trovava all’interno di esse. L’ho sempre fatto con piacere e devozione, e non l’ho mai considerato un peso o un lavoro.
Il divorzio e l’aborto?
Oh, Signore mio! Per carità! Io e Mario ci siamo giurati fedeltà davanti a Dio. Non tutti davano il nostro stesso significato al matrimonio: la mia amica Teresa era una brava e seria persona, ma il marito ha passato buona parte del suo tempo a badare ad altre donne. Lei ne era a conoscenza, ma doveva fare finta del contrario. Altro che divorzio! Quante ne ha passate quella donna! Oggi il divorzio è diventato un’opzione conveniente e subito pronta all’uso: si sposano con superficialità credendo che, se non dovesse andare bene, cosa vuoi che importi… c’è il divorzio! L’aborto è peccato mortale: ogni creatura che viene al mondo è volontà di Dio. Io ho fatto e cresciuto 12 figli con pane, acqua e sacrifici, e non mi viene in mente qualcosa di più bello di una casa piena di picciotti che urlano qua e là. I figli sono gioia ed è un peccato enorme credere il contrario e liberarsene con crudeltà.
Cosa dici alle donne di oggi?
Siate donne nel vero senso della parola: vivete con serietà, garbo e, prima di tutto il resto, rispettose di voi stesse e della vostra famiglia. Io ho imparato una cosa: se tu ti dai rispetto, te lo vedrai riconosciuto anche dagli altri. Quest’ultima è una conseguenza. E In casa prediligete il dialogo senza perdere la pazienza, e mantenete la calma per gestire qualsiasi situazione. Questa è la ricetta del vivere con serenità.
Qual è la conquista della donna che ricordi con più piacere?
Quando ci dissero che anche noi avremmo potuto esercitare il diritto di voto. Io ero ancora molto giovane in quegli anni, ma ho vissuto quell’esperienza in prima persona grazie a mia sorella Angelina. Quella conquista per la donna ha voluto dire: “Ecco, ora fai parte davvero della società perché stai cominiciando a esercitare i diritti che ti spettano.”

Foto: freepik.com

Caterina Sorgiovanni

Nata a Locri nel non molto lontano 1993, è iscritta al Corso di Laurea in Scienze delle Pubbliche e Private Amministrazioni, ma conserva in un cassetto di cui non ha ancora trovato la chiave un debole per la facoltà di Lettere Classiche. Non si tira indietro dinanzi al confronto verbale ma preferisce scrivere, arte che, leggenda vuole, ha praticato dal primo giorno di vita. Scriveva infatti sulla schiena della madre quando la cullava, lo ha fatto per mettere a tacere i cattivi pensieri, lo fa oggi per Métis. L’armonia e la flessibilità che condivide con le parole le hanno rese le sue più care amiche… a differenza di quanto avvenuto con quegli antipatici dei numeri che si ostinano a racchiudere tutto in schemi.

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