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“Abov” e Peppe Platani tra gli 8 finalisti regionali di “Sanremo Rock”

Abov, giovane cantante della Locride che sta portando avanti il suo sogno e la sua passione con determinazione e senso critico, accompagnato dal maestro Peppe Platani, è tra gli 8 finalisti regionali di Sanremo Rock, Festival avente come scopo quello di far emergere nuovi gruppi musicali e a offrire una vetrina nazionale e internazionale a tutti quei giovani che cercano di far conoscere le proprie qualità e le proprie attitudini.
Il brano con il quale è stato conquistato questo importante piazzamento è Io sono nessuno, ispirato all’Odissea. Come nasce questa canzone? E come nasce l’idea di partecipare a questo importante concorso?
Essere fra gli otto finalisti regionali è stato inaspettato, in quanto la candidatura risale al 24 agosto. A livello nazionale sono state inviate circa 12.000 candidature e verso giugno/luglio, nel caso in cui dovessimo superare questo step, saremo a Sanremo a settembre per la finale nazionale. Ho deciso di partecipare al concorso per uscire dai circuiti locali e cercare anche parte del mio pubblico fuori dalla mia zona di provenienza. Io sono nessuno o, come lo chiamo io, Outis, nasce poco prima della pandemia. Ulisse è il mio personaggio preferito: la sua fame di curiosità e la sua voglia di non fermarsi mai sono caratteristiche che lo rendono diverso dagli altri greci e dagli altri membri della sua ciurma. Essere nessuno vuol dire essere aperti, essere polytropos, cioè dai mille modi, e nel contempo diventare qualsiasi cosa, secondo me. Vedo molto spesso la gente grigia, inattiva, spenta, senza quella fame di Ulisse: non è un caso che il brano inizi con “Vespro avvolge la città”. È una sorta di viaggio verso se stessi, verso la conoscenza di ciò che siamo.
Abov è lo pseudonimo di Vincenzo Bova. Perché la scelta di questo nome d’arte?
Il nome d’arte non ha un vero e proprio motivo di per sé: è nato circa 10 anni fa, dopo una serata al pub in cui si scherzava e si giocava con amici ed è venuto fuori lo pseudonimo Abov.
La pandemia, per cause di forza maggiore, continua a limitare l’arte nella sua interezza, con cinema, teatri e spazi artistici chiusi. Qual è il tuo pensiero in questo senso? Credi possa esserci una soluzione per ripartire in sicurezza?
Credo che non ci siano abbastanza righe di giornale per manifestare il mio disappunto. I teatri e i luoghi culturali a mio avviso sono stati chiusi perché non considerati necessari, dato che strutture che hanno la stessa affluenza e con con un maggiore rischio pandemico sono aperte e, in alcuni casi, anche gli spazi sono simili. Ma la colpa non è solo delle scelte dello Stato, in quanto tutto ciò rappresenta la manifestazione di quello che è un credo e di una mentalità nazionale: cultura e arte, in genere, non vengono viste come luoghi produttivi a livello economico, nel disegno attuale di una società efficiente, razionale, dove gli interessi economici sono al di sopra delle persone. L’unica soluzione che darei non è per i teatri in sicurezza, ma per riportare le persone al teatro, al cinema e al museo, mediante la creazione di un bonus economico annuale che i giovani possano utilizzare per fruire e frequentare eventi e spazi artistici: magari, fra mille persone, 300 rimangono piacevolmente folgorate ed entusiaste. La cultura è di fondamentale importanza nella crescita dell’individuo, nella formazione di un pensiero critico e forse anche nello sviluppo di un benessere emotivo, spirituale e psicologico, che in questi anni sta diventando qualitativamente più basso.
Con Peppe Platani, storico musicista della Locride, oltre all’arte, sappiamo che c’è una sincera amicizia. Lavorare con lui, considerato il suo spessore artistico, che sensazioni ti trasmette e quanto può aiutare?
Peppe è principalmente un amico, un fratello, un padre e, come scherziamo a volte, un figlio. Lui sicuramente è fondamentale in questo viaggio artistico fatto insieme: è una ricerca che stiamo facendo per trovare un modo forse diverso di fare musica, mischiando vari generi stranieri con la lingua italiana e con le nostre radici popolari. Peppe non è solo il chitarrista o l’arrangiatore: è parte fondante e integrante del progetto, di cui io sono soltanto la voce ma l’anima è indubbiamente di entrambi. Non saprei dire se siamo un gruppo o qualcosa di simile: so che i brani prodotti e proposti non sono semplicemente i miei brani, bensì i nostri brani.

Giovanni Ruffo

Nato e cresciuto sullo Jonio, con il corpo accarezzato dalla brezza del mare e un potente richiamo spirituale in Aspromonte. Cittadino e straniero ovunque, amante della bellezza immateriale e delle meravigliose ricchezze che madre natura dona ai suoi ospiti. Avventure radiofoniche di musicultura e una passione viscerale per il teatro e la scrittura, terapie dell’anima necessarie per coltivare i princìpi di resilienza e r-esistenza, coniuga la tradizione con l’innovazione, le radici con le ali. Ricerca sprazzi e scorci di poesia nelle crepe, negli anfratti più nascosti, in ogni spigolo di mondo. Ama la diversità e la libertà, intese come opportunità e strumenti di crescita. Detesta i muri dell’indifferenza e crede nei ponti dell’umanità, trovando nelle differenze delle autentiche risorse costruttive e collettive.

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