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Attualità

Clima: quando le tecnologie sono sia il problema sia la soluzione

Di Mario Staglianò 

I recenti incendi che hanno devastato ampie parti delle montagne calabresi ci hanno messo di fronte, in maniera brutale, a un problema – da macrosistema rispetto ai soliti temi microsistemici della ‘ndrangheta – scottante, che è quello del cambiamento climatico provocato dall’uomo e delle conseguenze negative che esso genera.
Sappiamo da tempo che il clima è sempre stato, negli ultimi milioni di anni, il grande fattore di cambiamento che ha portato all’estinzione di alcune specie che, evidentemente, non hanno avuto il tempo di cambiare rispetto alle nuove sfide che l’ambiente poneva loro. Ma il clima è stato anche il grande motore delle migrazioni umane, il grande motore degli spostamenti delle popolazioni umane. Grazie al clima noi siamo usciti dall’Africa incontrando altre forme umane e ibridandoci con loro. Questa ibridazione, ancora una volta, ci ha fatto bene e male. Una scoperta recente è che una sequenza neanderthaliana in noi Sapiens purtroppo favorisce, in chi la ha, un maggiore attecchimento di Covid-19. Però, in generale, queste ibridazioni hanno arricchito il nostro genoma rendendolo meno puro, e si sa che in biologia più sei puro e più sei debole, più sei vulnerabile.
Il clima è il grande vettore che porta alla nascita di nuove specie generando, sostanzialmente, nuove barriere geografiche, genera spostamenti di popolazioni e genera la nascita di nuove forme di vita e noi siamo figli di questo. In tutto ciò si può vedere un grande paradosso, un paradosso che ha dentro anche un’amara ironia per due ragioni fondamentali. Anche adesso, come è già successo, il clima sta cambiando ma lo sta facendo per ragioni e con delle modalità molto diverse rispetto al passato. Parlando dell’argomento, spesso, si fa molta confusione citando le glaciazioni come effetto del cambiamento climatico, tuttavia non si considera che il ritmo di quel cambiamento si misurava in decine di migliaia di anni; una fase glaciale e, poi, una fase tiepida e calda si alternavano in 100, 120 mila anni. Ora stiamo parlando, invece, di un cambiamento climatico velocissimo, che si accumula in pochi decenni o in pochi secoli, se consideriamo le ragioni di fondo di quel che sta capitando adesso. I ritmi evolutivi sono cambiati completamente.
La seconda ragione di differenza fondamentale che è causa principe di quello che sta accadendo siamo noi. Il riscaldamento climatico dentro il quale noi siamo adesso è antropico, nel senso che è il frutto di una serie di attività umane che si protraggono da molto tempo. Non soltanto dalla Rivoluzione Industriale, a volerla vedere tutta, dato che già con la transizione neolitica cambiò la composizione dell’atmosfera dato che nostri antenati avevano cominciato a coltivare e ad allevare moltissimi animali tenendoseli vicino e iniziando, anche, l’epoca delle pandemie. Rischiamo di essere vittime di un cambiamento ecologico da noi stessi introdotto e questo cambia le regole del gioco sia nel bene sia nel male, essendo un processo che rischia di andare fuori controllo. Questo è un processo molto vasto e molto ampio, non lineare, che crea ingiustizia, perché lo pagano soprattutto quelli che meno hanno contribuito a questo problema e lo pagheranno, soprattutto, le generazioni future che non hanno, per definizione, contribuito al problema.
Esso è, pure, un problema di adattamento. Fino a poco tempo fa, nei documenti internazionali delle riunioni internazionali che si occupavano di clima, la parola chiave era mitigation, mitigazione. Ossia dobbiamo mitigare, rallentare, attutire il processo. Adesso, assieme a mitigation, è presente una parola evoluzionistica che è adaptation; è qualcosa che è già successo, è presente un’inerzia e dovremo adattarci a un mondo che noi stessi abbiamo cambiato.
Ecco perché le tecnologie sono una chiave di volta dato che, se è vero che esse sono state una parte del problema, esse sono, anche, una parte fondamentale – anche se non unica – per uscirne fuori. Se siamo arrivati fin qui – anche grazie alla creatività umana e all’uso spesso distorto delle invenzioni umane degli artefatti – è di nuovo lavorando sulla nicchia ecoculturale che potremo, se riusciremo, uscirne, facendo leva sulla serendipità delle tecnologie. La tecnologia è compartecipe di tutto ciò che sta avvenendo sia nel causarlo sia nel tentare di rispondere a quelli che sono i cambiamenti in atto. Parliamo sempre di più di adattamento e questo è, di per sé, un elemento simbolico molto interessante relativamente alla presa di coscienza che si è avuta negli ultimi anni rispetto alla rilevanza e alla presenza, oggi, del problema. L’uomo, tuttavia, si è sempre adattato al cambiamento non solo climatico ma, ad esempio, demografico, l’altra forzante estremamente rilevante e da non dimenticare quando si parla di macrosistemi, dato che “siamo sempre di più”.
È evidente che stiamo riuscendo a nutrire una popolazione sempre più numerosa e lo stiamo facendo con la tecnologia, con una capacità di far rendere i nostri suoli a un livello che è 3 o 4 volte superiore di quello che era non 3 secoli fa ma 40-50 anni fa. Il tasso di crescita delle rese agricole è un qualcosa di impressionante che, in qualche modo, testimonia interventi tecnologici sulla fertilizzazione e sulla meccanizzazione agricola. Naturalmente ciò non è tutto bene e tutto sotto controllo. Non tutti i cambiamenti che abbiamo avuto in questo micro ambito, usato come esempio, sono stati cambiamenti positivi e non tutti sono stati, da subito, sotto controllo anche per gli effetti sulla salute umana.
Nuovamente l’uomo, con la sua intelligenza e con la sua tecnologia, è abituato all’adattamento ma, in questo caso, la sfida che ci stanno ponendo i cambiamenti climatici e della demografia insieme è quella di un cambio di ritmo, di un cambio di velocità. I tempi di scala sono diversi dal passato dato che sta succedendo tutto molto rapidamente, da qui la domanda se la tecnologia ci salverà. Non tanto rispetto al cambiamento cui siamo ampiamente abituati quanto rispetto a un cambiamento di questa portata e che avviene con questa rapidità. Le tecnologie di adattamento ai cambiamenti climatici e ai cambiamenti in generale sono estremamente complesse dal punto di vista della sostenibilità, sia economica che ambientale, e ci pongono di fronte a sfide nuove.
Sul tema che l’uomo è, in questo caso, sia causa sia recettore dell’impatto del cambiamento è chiaro invece che sul fronte delle cause la tecnologia è davvero dominante perché le emissioni di gas clima alteranti sono, molto spesso, legate a fenomeni industriali e tecnologici. La riduzione delle emissioni o la cattura diretta dei gas clima alteranti è davvero qualcosa che sta evolvendo a ritmi estremamente incoraggianti. Abbiamo tecnologie per catturare l’anidride carbonica nel punto in cui viene emessa, tecnologie per catturarla dall’aria atmosferica e immagazzinarla nel sottosuolo o tecnologie che ci consentono di sfruttare quelle che sono le fonti energetiche rinnovabili. Su questo l’uomo sta facendo uno sforzo significativo importante; vediamo davvero l’innovazione in atto più sul fronte della mitigazione che non sul fronte dell’adattamento.
L’idea del limite come negazione, come impossibilità di andare oltre, non è più corretta. Il limite non è un confine oltre il quale non possiamo andare ma è l’idea che non possiamo fare tutto quello che vogliamo, che dobbiamo avere a che fare con dei vincoli naturali come quelli della biosfera e con le risorse che abbiamo. Limite significa accorgersi, magari non dolorosamente come con la pandemia o con gli incendi, della nostra vulnerabilità nei confronti degli equilibri ecosistemici. Essi non sono equilibri dinamici costruiti per noi e sono anche pieni di cose, tipo agenti patogeni, che fanno il loro mestiere benissimo quando, ad esempio, un virus si ricombina geneticamente facendo il salto di specie e il nostro sistema immunitario non lo riconosce.
Oggi siamo così avanti nelle tecnologie che possiamo creare un’alleanza nuova, che ancora non c’è, tra le nuove tecnologie della vita – le biotecnologie – e la difesa della biodiversità, salvaguardando specie in via di estinzione, reintroducendo variabilità genetica laddove è stata persa e via discorrendo. Qui sta la capacità umana di finalizzare correttamente la tecnologia.
I dati che le riviste scientifiche ci comunicano nei loro statement sono molto negativi. Ad esempio, dal 1970 ad oggi riguardo le acque dolci (fiumi, laghi) noi umani abbiamo estinto più dell’80% di tutte le forme di vita. Questo è qualcosa di terribilmente sbagliato dato che non avevamo alcun diritto di fare questo, il che è un delitto di per sé, ma poi non ci conviene perché dentro queste acque dolci ci sono delle riserve e delle risorse fondamentali per il nostro benessere. Bisogna allora pensare a un ecologismo alleato della scienza, alleato delle nuove tecnologie, facendo si che questi mondi la smettano di guardarsi in cagnesco come hanno fatto finora, perché non c’è più tempo e bisogna agire subito per una grande alleanza tra il pensiero scientifico e il pensiero ecologista e umanista dato che, alla fine, dobbiamo difendere gli interessi umani.

Foto: wired.it

Redazione

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