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Costume e SocietàLetteratura

I due giorni che segnarono la vita di Francesco Rossi

Di Francesco Cesare Strangio

Il suo sguardo si fermò sulla donna che era distesa sul letto coperta dal lenzuolo. La sete del desiderio era oltre ogni limite, tanto da affrettare l’uomo a svelare i segreti che si celavano sotto il lenzuolo.
Avvicinatosi, la mano andò ad accarezzare il volto di Stefica per poi delicatamente prendere il lembo del lenzuolo e sollevarlo con la stessa delicatezza con cui i paggi sorreggono il velo della sposa.
Agli occhi dell’uomo si mostrò un corpo di rara bellezza, tanto che rimase a lungo a contemplarlo.
Il tempo si fermò, l’eternità pervase l’alcova. Tutto era bello, quasi umanamente impossibile.
La baciò dai piedi alla testa e, in quei pochi attimi di ragione, capì il perché della guerra di Troia.
Poi la passione dei sensi prese il sopravvento, per tutta la notte governò la dimensione di quanto era custodito nel segreto delle loro anime. Il sonno giunse, come un tiepido alito di vento, verso le cinque del mattino.
Dormirono a lungo, fino a quando il loro sonno non fu interrotto dall’insistente bussare alla porta.
Era Stevo, li avvertì che si era fatta l’ora di pranzo.
La donna si alzò per prima e andò alla toilette, alla sua uscita trovò Francesco riaddormentato, con delicatezza gli baciò la fronte destandolo dal sonno.
Al loro arrivo nella hall, non trovarono la coppia.
Il barman, avvedutosi dell’arrivo dei due, indicò con l’indice della mano sinistra il terrazzo. La coppia stava seduta a un tavolo a sorseggiare della birra fresca.
Fatti i dovuti convenevoli, li invitarono ad accomodarsi e ordinarono altri due bicchieri di birra.
Stevo, spinto dalla curiosità, domandò ai due come avevano passato la notte.
Era evidente di com’erano andate le cose; i loro occhi dimostravano che tutto era andato a meraviglia, cosa che Rossi confermò verbalmente.
Dopo il pranzo, passarono tutto il pomeriggio in riva al mare.
La notte fu il proseguimento di quella precedente.
La mattina di lunedì il gruppo ripartì per fare ritorno a Zagabria, lasciandosi dietro il mare e gli indimenticabili momenti trascorsi sotto l’influsso della dea dell’amore Afrodite.
Ripresero a salire il serpentone di asfalto, Stefica si girava con frequenza a guardare ammirata il mare che si allontanava gradualmente.
Rossi osservava affascinato i movimenti di Stefica, la sua bellezza quasi divina non gli sembrava reale. Il suo volto angelico era contraddistinto dal colore brillante della pelle e dalle labbra carnose di colore prossimo ai petali delle rose.
Rossi si era innamorato di quella donna perdutamente.
Stevo spingeva la Dacia su per le montagne a ritmo costante; a un tratto Stefica toccò il suo uomo e disse: «Il mare non si vede più.»
Rossi si girò d’istinto, costatando quanto ella le aveva dolcemente detto.
L’intensa e breve vacanza era finita. Non restava altro che il lavoro. Quanto si erano detti con il funzionario andava solo ratificato; poi il suo compito in Jugoslavia sarebbe finito.
Al tocco, finalmente, arrivarono a Zagabria, dove li attese un pasto a base di carne al ristorante dove lavorava Stefica.
Dopo aver terminato di pranzare, presero commiato e ognuno andò per la propria strada.
A un tratto la voce di Stefica lo fece sobbalzare; si girò e la vide andare verso di lui. Si fermò e la accolse con un sorriso.
Stefica lo guardò con l’intensità del sole e gli chiese se poteva rimanere ancora un po’ con lui.
La risposta fu naturalmente positiva.
Se ne andarono in piazza, dove c’era un bar che vendeva degli ottimi dolci caldi che diffondevano nell’aria un piacevole profumo.
Alla vista di quei dolci, Stefica si avvicinò al bancone e ne comprò due. Li gustarono lentamente. A Rossi mancava solo il caffè espresso.
Il caffè da quelle parti era servito nelle tazze che di solito in Italia si usano per il cappuccino. Sapeva di tutto meno che di caffè.
Finirono il dolce e si avviarono a visitare la piazza su cui si prospettavano dei magnifici edifici in stile austro-ungarico. Incuriosito dalla magnificenza di quell’architettura, continuarono a camminare lungo un largo viale con ampi marciapiedi, ai cui lati erano intervallati i Pinus sylvestris. Durante il cammino, a dire il vero, Rossi era ammaliato più da lei che da quei viali su cui prospettavano i palazzi austro-ungarici.
Stefica lo invitò a fermarsi e gli mostrò un palazzo a poca distanza: «Lo vedi quel balcone?».
Rossi risposi di sì.
Stefica aggiunse: «Lì abito io con i miei genitori e mio fratello».
Lei era arrivata…
Rossi le strinse le mani e fece per darle un bacio, lei arretrò evitando di riceverlo sulle labbra.
Spiegò la cosa dicendo che lì non si faceva come in Italia, poiché non erano ben viste certe manifestazioni d’affetto.
Stefica si portò l’indice alle labbra e poi lo appoggiò delicatamente su quelle di Francesco. Rossi accompagnò Stefica fin sotto il portone salutandola garbatamente.
Riprese la strada del ritorno con un po’ di malinconia.
Quei due giorni, trascorsi assieme al mare, gli avevano segnato la vita.
Verso la fine del viale si girò verso la casa di Stefica e la vide sul balcone che lo salutava, agitando animatamente il braccio destro.

Foto: dilei.it

Redazione

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