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Costume e Società

Il prezzo che Africo pagò alla Guerra

Di Francesco Maviglia

1940: la migliore gioventù di Africo va alla guerra, come succedeva ancor prima dell’Unità d’Italia, il paese era puntualmente privato dai giovani che erano mandati a combattere, così intere famiglie depauperate rimanevano spesso nell’oblio a gestire la loro stessa sopravvivenza quotidiana.
Era già avvenuto a causa della prima guerra mondiale, quando un numero considerevole di soldati partiti per combattere non fece ritorno dal fronte, Costantino Romeo ci ricorda:

Avevano perso chi il padre, chi il fratello, chi altri parenti e amici. Poi incominciarono ad arrivare tutti i giorni uomini in divisa ad abbracciare i propri congiunti, alcuni senza una gamba, altri senza un braccio, senza un occhio o ferite e malattie di altro genere.

Alcuni di quelli che ritornarono in paese, assieme alla vittoria, portarono la terribile spagnola, si comprese dopo anni che la malattia in realtà aveva origini asiatiche.
Molti furono colpiti dalla pandemia tra il 1918 e 1920, aumentò la media dei decessi in quegli anni anche ad Africo e Casalnuovo.
L’emorragia giovanile continuò con la guerra all’Etiopia, un militare di Africo cadde in combattimento in Abissinia.
Le donne, in quegli anni, evitavano a recarsi nei mulini del paese per timore del sequestro del cereale. Succedeva che una volta arrivate al mulino, con il loro prezioso carico di grano o frumento, le donne si trovavano davanti la milizia che requisiva il prodotto, consegnando in cambio una ricevuta che giustificava il sequestro del bene per motivi bellici.
Per scansare il pericolo della sottrazione, le donne preferivano andare fino a Roghudi, dove erano sicure che i militi del regime fin lì non arrivavano.
Seguivano un percorso di dodici chilometri: Campusa, Palaforio, Santa Triara, Praca, P.ni Cancello, San Nicola, Rosanito e poi giù fino al mulino Pagliomilo.
Tragitto allora assai battuto per continui scambi di prodotti tra i due paesi, (andavano a Roghudi per comperare fagioli, da consumare durante l’inverno o da seminare sulla terra irrigabile dove si toglieva il grano).
Quella che da Africo porta a Roghudi e Gorio era una via di collegamento tra i tre borghi molto importante, ma è oramai dimenticata anche dagli escursionisti attuali.
Le donne, partivano alle prime luci dell’alba a gruppi di due o tre per volta per affrontare le quattro ore di cammino, portavano ntesta il loro prodotto dentro il sacco di ginestra che loro stesse avevano intessuto o fatto tessere col telaio, dopo aver lavorato i filamenti della pianta.
Nel mulino di Roghudi, in realtà, le africote, si recavano anche in tempo di pace, quando nei periodi di siccità i mulini del paese si fermavano per la scarsa portata d’acqua del vallone Casalnuovo, il Pagliomilo andava sempre, essendo quell’impianto alimentato dal vallone Furrìa, affluente dell’Amendolea, una delle principali fiumare della Calabria.
Il fascismo non poteva tollerare che qualcuno mettesse a nudo la fragilità di una parte dell’Italia, mentre mandava le truppe a occupare altre Nazioni.
Era necessario mistificare alcune realtà con stratagemmi che fossero funzionali al regime fascista e cancellare le immagini diffuse da Umberto Zanotti Bianco.
Comparve perfino una cartolina postale con la foto di un gruppo di persone gioiose, vestiti bene con in mano un cartello con la scritta Africo.
Gli uomini dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, nel 1939, costretti a chiudere l’Associazione, la riaprirono come Opera Principessa di Piemonte, Maria Josè di Savoia fu sempre vicina a Zanotti Bianco, la direzione era stata affidata a Giovanni Gentile, solo dopo la guerra ripresero il nome originario.
Per le inchieste effettuate, specialmente quella del 1926 sulle condizioni di Africo, unitamente alle critiche alla politica fascista, Umberto Zanotti Bianco diviene prima sorvegliato speciale e poi, il 3 febbraio 1941, messo in carcere a Regina Coeli per 7 mesi e infine confinato a Paestum. Però, al mattino del 13 aprile 1943, a Ninfa, ai piedi della montagna di Norma, era con al maresciallo Enrico Caviglia e un’ospite, a parlare della situazione politica.
Enrico Caviglia, in quel periodo, era molto accreditato nei ranghi militari, al punto che molti lo avrebbero voluto al posto del maresciallo Pietro Badoglio.
Nel 1941 l’unica radio che c’era in paese funzionava a batteria e, nella sede del fascio di Africo, annunciava di continuo i proclami bellici del governo fascista.
La cartolina precetto di chiamata alle armi arrivava dal Distretto Militare di Reggio Calabria: nessuno sfuggiva, recapitata a tutti gli uomini inseriti nella lista della leva militare del comune e a coloro che erano stati congedati in precedenza in modo illimitato e provvisorio.
Gli arruolati dovevano recarsi presso il distretto militare di Reggio Calabria, che li inviava ai reggimenti dell’esercito di assegnazione. Essendo paesi di montagna, nessuno degli aspromontani veniva mandato nella marina militare.
Dopo la vestizione presso i depositi, con le divise su cui erano appiccicate le stellette a cinque punte in acciaio bianco dell’esercito italiano, alle reclute era fatto un breve addestramento di base in qualche Centro Addestramento Reclute, poi li mandavano sui vari fronti.
Non era possibile sottrarsi, anche se in realtà qualcuno ha provato a ignorare la chiamata nascondendosi in montagna. Ma alla fine dovette cedere, forti erano le minacce che le autorità facevano alla famiglia del renitente, non mancava poi qualche delatore che avrebbe potuto aiutare i gendarmi a scovarlo.
Con l’arrivo degli alleati, sbarcati in Sicilia nel 1943, comparvero di tanto in tanto gli aerei che volteggiavano sul cielo d’Aspromonte.
Neanche i pastori potevano stare tranquilli: quando udivano il rombo degli aerei, per non attirare l’attenzione dei piloti, si affrettavano a spegnere il fuoco acceso nei jazzi o nei pagliai, specialmente dopo aver appreso dell’assurdo bombardanento di Bova da parte dei futuri alleati Anglo-Americani nella mattina del 2 settembre 1943, evento che aveva causato la morte di 26 civili bovesi. Gli arruolati africoti partivano lasciandosi alle spalle la disperazione delle rispettive famiglie, affrontavano i quaranta chilometri di strada a piedi fino a Bova Marina, con in tasca la cartolina precetto da mostrare al capotreno con la quale erano esonerati dal pagamento del biglietto.
Balcani e Grecia furono i teatri bellici peggiori, per quello che accadde dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Nell’isola greca di Cefalonia, a settembre 1943, secondo la documentazione della Wehrmacht c’erano 9.000 soldati italiani, secondo l’Italia erano più di 12.000. C’erano anche Annunziato Stilo, Leo Stilo e Domenico Maviglia di Africo, Lucà di Bianco e Vincenzo Comandè di Casignana: facevano parte della gloriosa Divisione Acqui, la quale, con i grandi episodi di resistenza, sancì il punto d’inizio della resistenza italiana all’esercito nazista dove, secondo lo storico tedesco Hermann Frank Meyer furono trucidati 2.313 italiani.
Dopo essere stato catturato dalla Wehrmacht, Annunziato Stilo, il giorno 28 settembre 1943 ,alle 15:55 fu imbarcato sulla nave Ardena, assieme a 840 soldati italiani. La nave affondò dopo aver urtato contro una mina, a 2,5 miglia marine nella baia di Argostoli. Lui è tra i 720 affondati, molti dei corpi giacciono ancora oggi dentro la nave.
Brutta sorte è capitata anche a G.M., 12º reggimento Saluzzo Cavalleria, pure lui di Africo, morto a Borovnica, in Slovenia il 26 maggio 1945, quando ormai in Italia si festeggiava per la liberazione. Prima sepolto nel cimitero di Borovnica, è stato poi portato nel Sacrario dei caduti d’oltremare di Bari, dove si trovano anche i resti di migliaia di soldati caduti nelle isole joniche.
Di questo periodo storico di Africo due registi famosi, Massimo Mida e Angelo D’Alessandro avevano scritto la trama di un film che per altre priorità, non fu mai girato.

La fantasia dei due registi non si discostava molto dalla realtà.

Articolo originariamente pubblicato su inaspromonte.com

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One Comment

  1. Bravissimo, sensibile, attento e preciso sulle vicessitudini vissute dalla povera gente di quel periodo storico.

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