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Il sentiero dell’inglese, il monastero della Madonna dell’Alìca e la valle del silenzio

Locride… e dintorni in Mountain Bike XXX

Di Rocco Lombardo

L’Aspromonte, nonostante abbia fama d’essere inaccessibile, selvaggio e inospitale, conserva intatta la sua natura primordiale. Romitori, borghi abbandonati ed insediamenti rupestri costituiscono un vero e proprio patrimonio da rileggere in termini di ricchezza ambientale e culturale. Come primo appuntamento del nuovo anno, riprendiamo da dove ci eravamo lasciati: raccontavamo infatti come per millenni la nostra montagna sia stata attraversata da gente che camminava, chi per abitarvi, chi per procurarsi i mezzi di sussistenza, chi per recarsi da una parte all’altra, chi per vendere, comprare oppure pregare; la civiltà bizantina per oltre sei secoli, ha modellato l’identità culturale della nostra terra, un folta schiera di eremiti e monaci greci, per sfuggire alle persecuzioni islamiche, hanno trovato rifugio e protezione negli anfratti dei costoni, nel fitto dei boschi, in capanne e in caverne difficili da raggiungere. L’Aspromonte divenne, a giusta ragione, una sorta di santa montagna popolata e prediletta da asceti che vissero schivi e desiderosi di solitudine.
I forti contrasti tra l’azzurro del mare e il verde variopinto della montagna sono stati la tavolozza immaginaria su cui abbiamo tratteggiato la prima parte del nostro percorso che, dopo aver scollinato la vetta di Monte Cerasia, attraverso l’antico ed aspro sentiero che da Staiti porta a Pietrapennata, pedalando sul crinale ventoso della montagna, ci schiudeva il panorama unico ed impareggiabile della cima innevata dell’Etna a mo’ di cornice magica tra i due mari, fino a raggiungere appunto il borgo fondato dai Cavalieri di Malta, secondo la leggenda, da cui discenderebbe il titolo dell’abbazia della Madonna dell’Alìca, riconducibile alla celebrazione della vittoria di Lepanto.
La nostra terra, alla fine del ‘700 e per buona parte dell‘800, attrasse numerosi viaggiatori stranieri, desiderosi di conoscere i luoghi, le tradizioni, i costumi e le opere d’arte della Magna Grecia, tra questi lo scrittore e pittore inglese Edward Lear che, nell’estate del 1847, intraprese un viaggio a piedi, rapito ed estasiato dalla bellezza di quest’angolo remoto del nostro territorio, raffigurandolo in un’opera descrittivo-letteraria dal titolo Journals of a landscape painter in Southern Calabria. Si volle tributare pertanto al suo passaggio la denominazione del sentiero che affronteremo oggi, Il sentiero dell’inglese,appunto che, in sella alle nostre Mountain Bike, abbiamo ripercorso per un tratto, tra le tante insidie che un tracciato, molto poco battuto, inevitabilmente nasconde. Tra tutti i luoghi che abbiamo avuto la possibilità di raggiungere in MtB, pochi ci hanno restituito un senso di pace ed armonia come la Valle del Silenzio e il sentiero tortuoso che l’attraversa fino a raggiungere i resti dell’antico romitoriodi Santa Maria dell’Alìca: una vera e propria catarsi spirituale!
Il tratto sterrato e scosceso prende inizio dal piccolo cimitero di Pietrapennata, e si estende lungo l’intera vallata dell’Alìca, dove appunto si ergono i resti suggestivi di ciò che un tempo fu una chiesa, forse un monastero, o meglio un’abbazia, in un ambiente soave e severo al tempo stesso, come richiede un luogo ascetico. Molte sono le teorie e le leggende sull’etimologia del termine Alìca: deriverebbe infatti dal greco lukòs, che significa bosco, per sottolinearne la natura remota, ma il labile confine con le leggende ci affascina sempre moltissimo, per cui si narra che in questo territorio sorgesse lo Zeus dell’Alece, un santuario edificato dai Locresi Epizefiri presso il fiume Alece dedicato a Zeus Olimpio; sempre secondo la leggenda, in questo luogo, Eracle sarebbe stato disturbato nel sonno dal frinire delle cicale del fiume Alece, un corso d’acqua mitico e storico, più volte menzionato dalle fonti antiche, che Tucidide identificava come confine tra Locri e Rhegion; da qui la coincidenza con la presenza delle rovine del Convento Basiliano di Santa Maria dell’Alìca, in un sito sovrastante le sorgenti del suddetto torrente, da cui deriverebbe lo stesso toponimo Alìca.
Dai massi rocciosi di Punta Gallo attraverso il lecceto della Forestòla, si scende quindi lungo la pista sterrata, a tratti completamente invasa da rovi, pressoché percorribile solo a piedi ed equipaggiati, se non fosse per la nostra protervia che ci impone ad affrontarla in sella alle nostre MtB. Dopo alcune decine di metri ci si proietta già in una realtà rarefatta e magica, percorrendo un crinale che mostra nella sua interezza la conformazione circolare dell’estremità della Calabria. Costeggiando pericolosamente i ripidi valloni che delimitano il sentiero, un profondo senso di pace ci fa percepire appieno il valore del silenzio totale e avvolgente da cui prende il nome la valle, interrotto solo dallo scampanellio di alcuni cani da riporto e dal passaggio di alcuni cacciatori che incontriamo lungo lo sterrato, che ci consigliano di desistere per l’impraticabilità del sentiero.


Edil Merici

Ovviamente decidiamo di procedere, alternando tratti a piedi ad altri in sella, lungo la via segnata dalla terra battuta e confermata dal nostro GPS; il sentiero alterna tratti scoscesi e pietrosi ad alcuni affacci suggestivi sulla vallata, sulla Chiesa adagiata sul fianco di una collina, già visibile in lontananza, e sulla morfologia del terreno che si sviluppa tutt’attorno fra valli strette e il mare all’orizzonte; dopo aver guadato, bici in spalla, un piccolo ruscello che scorre fra pietre scivolosissime e levigate, i ruderi del romitorio si stagliano sempre più definiti e imponenti, tra mandrie di mucche al pascolo e greggi di capre, strenuamente difese da alcuni maremmani che per nessun motivo ci vorrebbero cedere il passo.
Si tratta di una chiesa a navata unica il cui stato attuale risulta fatiscente, si ha infatti l’impressione che solo una forza sovrannaturale consenta a questi ruderi di rimanere in piedi; è un complesso architettonico assai rimaneggiato, con brani murari di diversi periodi storici: dal più antico, risalente presumibilmente al XII secolo, in età normanna, fino a quelli di XVII-XVIII secolo. Nel XVII secolo è stato addossato al muro meridionale un campanile che svetta imponente a doppio ordine con una cornice di mattonelle policrome; ai fianchi della parete meridionale emergono i resti di un portico o di un chiostro di un eremo basiliano, identificato da alcuni nel monastero di Sant’Ippolito. Si ricorda anche che, fino al 1887, vi era una statua molto pregiata di finissimo marmo bianco, raffigurante la Madonna con bambino a mezzo busto, attribuita ad Antonello Gagini, oggi conservata nella Chiesa parrocchiale di Pietrapennata.
Il Monastero di Santa Maria dell’Alìca, incastonato in questa valle fiabesca, riporta a mondi lontani e dimenticati e rientra a pieno titolo nella cosiddetta via dei romiti, un itinerario riconducibile al passaggio dei monaci basiliani, dove sorgevano ricoveri in cui potevano meditare, pregare e soggiornare. Tutt’oggi si tramanda tra gli anziani del luogo la memoria della loro organizzazione autosufficiente, non per nulla il casolare a nord della struttura viene ricordato come caseificio, mentre la rocca è ricordata come u furnu di monaci; al cospetto della vallata che si sviluppa di fronte ai nostri occhi comprendiamo la regola non scritta in base alla quale i luoghi isolati e immersi nella natura offrivano le condizioni ideali per il raccoglimento e la preghiera ed erano preferiti per erigere monasteri e chiese.
La risalita sul costone della montagna alle spalle dell’abbazia si rileva oltremodo impervia e impraticabile, come prefigurato dalle profetiche indicazioni dei cacciatori incrociati poco prima, solo il conforto della traccia GPS e l’assoluta determinazione a completare il percorso fino a Staiti, non ci fa sprofondare nello sconforto più totale per le aspre e ripidissime pendici non tracciate dell’altura; passo dopo passo proseguiamo resilienti con le MtB in spalla, facendoci largo tra arbusti di cisto, mirto ed erica, ostici ed inospitali come non mai. Una frana poco più avanti ci costringe a un ulteriore ascesa forzosa, tra la fitta vegetazione, con ulteriore aggravio di forze e morale; questa parte del sentiero dell’inglese è decisamente abbandonata al suo destino, dalla selvaggia e infestante vegetazione intuiamo chiaramente che da molto tempo non passa più nessuno, tantomeno temerari in MtB, ormai divenute un fardello pesantissimo da trascinarci faticosamente dietro.
La tabella di marcia subisce un drastico rallentamento, le soste per rifiatare si intensificano e la fatica inevitabilmente prende il sopravvento, fino alle porte di un bosco di faggi ed abeti, impreziosito da un tappeto di aghi di pino che conduce ad una staccionata che delimita, impressa su una roccia affiorante, la marcatura molto recente del sentiero. Da ora in poi il tracciato risulta essere ben segnalato e percorribile in MtB: la discesa sterrata è quanto mai adrenalinica e suggestiva, gli squarci tra i costoni argillosi e il mare all’orizzonte ci accompagnano fino alle porte di Staiti, immergendoci nuovamente nel dedalo delle stradine strette e lastricate del borgo, fino a riprendere la Provinciale che in quindici chilometri circa di asfalto e falsopiano ci riporterà sulla costa.
Con il compagno di viaggio, Giuseppe Piccolo, abbiamo iniziato il nuovo anno completando un itinerario tra i più coinvolgenti e affascinanti dell’intero territorio, ogni metro di percorrenza ci ha trasmesso emozioni e suggestioni particolari, come speriamo possano aver suscitato nel lettore le poche righe proposte.
Buon 2022!

Redazione

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