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Costume e Società

‘U Tamburinaru

Di Mimmo Catanzariti

‘Bbrabbiti, ‘bbrabbiti ‘bbrà… mi sembra quasi di risentire il suono delle bacchette di legno, con le quali cugino Gianni Romeo ‘u Tamburinaru, percuoteva con una velocità e un ritmo sostenuti la pelle del suo tamburo, che per noi bambini, che correvamo festanti appresso a lui, a Michele ‘u Giamba e a ‘Ntoni‘u Miricriju che suonava la grancassa, era qualcosa di nuovo e quasi magico. Quel suono che si sentiva già di prima mattina per le viuzze e le rughe del paese, annunciava con ritmi diversi ,a seconda del periodo dell’anno, l’arrivo delle festività. L’organico era sempre lo stesso, tranne che in qualche occasione straordinaria, che richiedeva anche la presenza di altri elementi provenienti dai paesi vicini, che si accodavano al terzetto paesano, guidato dal più esperto e anziano suonatore, il cugino Gianni, che guidava i tamburinari lungo il percorso usuale che toccava tutti i punti del paese. Per le comunità del versante ionico calabrese, l’uso di questo strumento scandiva anche i ritmi della vita e delle ricorrenze festive e sociali di quei piccoli centri rurali. Le occasioni per le quali venivano chiamati a suonare erano di solito le novene, periodi di nove giorni antecedenti le feste religiose alle quali seguivano le processioni caratteristiche che accompagnavano i Santi. Una delle festività in cui i tamburinari si danno ancora appuntamento, si tiene ogni anno nell’ultima domenica d’Agosto a Gioiosa Jonica. Lì si riuniscono svariate decine di persone, da quelli tradizionali ai semplici appassionati dello strumento, che suonano incessantemente lungo tutto il tragitto, accompagnando la statua di San Rocco, il protettore del paese, circondati da una folla di devoti che ballano al ritmo forsennato dei tamburi una tarantella votiva che si tramanda ormai da moltissimo tempo e che inizia alle 9 per terminare alle 20. Durante alcune feste i tamburinari accompagnano anche il ballo dei Giganti Mata e Grifone, due grandi pupazzi di cartapesta, mitiche figure di origine siciliana, che rappresentano un re Moro e una regina bianca. Il tamburo (dal persiano tambur) è lo strumento che è più presente nella maggior parte delle culture popolari del mondo.La pelle usata era comunemente d’asino, anche se, per la costruzione di questo strumento, si utilizzavano anche altri materiali tradizionali, come strisce di ottone, pelli di capra, o di castrato, e tiranti di budello o di corda. Il corpo del tamburo è costruito solitamente in legno di noce e spesso è bordato di frange e di nastri. I centri in cui si costruivano i tamburi e le grancasse erano prevalentemente quelli del cosentino, nei paesi  di Pedace, Rogliano, Spezzano Sila e Sant’Ippolito, che vantavano una tradizione antica nelle tecniche di costruzione di questi strumenti, che sono serviti anche per usi militari. Un’altra delle figure caratteristiche e popolari della tradizione, che si accompagnava con il  cupo battito della grancassa o dal rullare del tamburo era ‘u bandiaturi. Un rullo continuo annunciava al paese le novità, che potevano riguardare sia una comunicazione delle autorità che governavano il paese, sia un avviso di vendita commerciale; gli avvisi venivano declamati ad alta voce, alternati ai ritmi del tamburo che servivano ad attirare l’attenzione della gente. Oggi anche il bandiaturi è scomparso, assieme a molte altre figure della tradizione popolare calabrese, ma Gianni ‘u tamburinaru suona ancora, ripercorrendo le stradine dei nostri paesi, in cui ancora ci si aggrappa alle vecchie radici per trasmetterle alle nuove generazioni. Dove rimanere è molto spesso un’avventura o un atto di incoscienza e spesso una fatica e un dolore, vivendo i nostri paesi senza il peso del passato, e senza aver bisogno ogni giorno di rimarcare l’appartenenza a questa terra, per dirla con le parole  dell’antropologo Vito Teti. Sono echi di un tempo che sta lentamente perdendo sempre più i contorni definiti di un popolo e di una cultura che lentamente sta evaporando nelle nebbie di una modernità che sta fagocitando queste ultime espressioni tradizionali.

Redazione

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