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Costume e SocietàLetteratura

Agguato nel Regno dei Florian

Le Cronache di Atlantidea XIII

Di Luisa Totino

Al termine del lauto banchetto, gli invitati furono accompagnati nella Stanza del Riposo. Un ambiente sorprendente, in cui era riprodotto un bosco di notte. Tutto sembrava vero, persino le lucciole che, allegre, svolazzavano tutt’intorno. Vera cercò di prenderne una, ma la mano ci passò attraverso.
Allora esclamò: «È un ologramma! Nel Metaverso un fenomeno del genere lo chiamiamo così.»
E Andronòs subito a ribattere: «Interessante, ma qui non utilizziamo tecnologie banali come le vostre. È l’energia che pervade l’intera Atlantidea a darci la possibilità di realizzare meraviglie!»
Vera lo guardò con le saette negli occhi e Talòs, che se accorse, intervenne subito: «Gli dei, però, non hanno bisogno del potere del Kàndanium, perché li possiedono dalla notte dei tempi. E ora riposiamo, dobbiamo essere in forze per riprendere il cammino»
I loro giacigli erano tutti morbide nuvole sospese da terra. Vera, però, non riuscì a dormire, quella notte. Sul suo soffice letto pensava a Bea: se l’avrebbe mai rivista, a quello che l’aspettava, alla decisione di Mattia di rimanere ad Atlantidea, ma più di ogni altra cosa il suo pensiero era rivolto a sua nonna Lena. C’erano ancora dei punti oscuri nel suo rapporto con Talòs sui quali non riusciva a darsi una risposta. Prese, allora il suo cellulare da una sacchetta per vedere cosa succedesse nel Metaverso. Accese il display. Le immagini inizialmente, confuse, si fecero via via più nitide. Riconobbe casa sua, ma era fredda e cupa, i suoi genitori nel grande salone, spoglio e desolato, seduti al lungo tavolo a leggere riviste consunte e lacere. Le lancette dell’orologio sulla parete giravano più lentamente del solito. Era scomparsa la grande televisione sul ripiano in granito.
Vera s’inquietò e, con le lacrime agli occhi, sussurrò: «Mamma! Papà! Tenete duro, vi salverò!»
Poi spense il cellulare, scese dalla sua nuvola e si sedette sulla finta erba tra illusorie lucciole e ingannevoli falene, per riuscire a distrarsi. Andronòs si accorse di lei. Neanche lui riusciva a dormire e le si avvicinò, senza fare rumore, sedendolesi accanto.
Vera riuscì a intravederlo con la coda dell’occhio: «Cosa vuoi? Sei qui a prendermi in giro per l’ennesima volta?»
E Andronòs: «Mi sono solo accorto che non stavi riposando. Non c’è motivo di essere così prevenuta nei miei confronti. Come vedi non sto dicendo nulla. Mi siano testimoni le lucciole e le falene!»
Vera, a quelle parole, sorrise, e dimenticò per un attimo i suoi tristi pensieri.
Andronòs proseguì: «Siamo partiti col piede sbagliato, ma ho sentito ripetere così tante volte il tuo nome, prima che giungessi qui, che ne avevo abbastanza di te. Tutto sommato, però, conoscendoti, ho capito che sei una persona che sa quello che vuole e non ha timore di andare avanti.»
«Non sono così coraggiosa come credi. In realtà ho molte insicurezze. Non ho ancora deciso cosa fare dopo gli studi, ma sono appassionata di storia antica, soprattutto della mia terra, e amo scrivere qualcosa ogni tanto» disse titubante Vera.
«Allora, visto che ti è chiaro, oramai, che il tuo mondo è un riflesso di questo, alla fine di tutto potresti scrivere di quello che hai vissuto qui, magari anche di me» disse baldanzoso Andronòs.
E Vera: «Forse, chi lo sa. Dovresti fare qualcosa di eroico, perché possa scrivere delle tue gesta. Fino a questo momento non mi sei sembrato da leggenda.»
Andronòs, sospirando, disse: «Talòs è un generale molto severo. Pretende molto, soprattutto da me. In realtà non volevo fare il soldato, volevo continuare gli studi all’Accademia del Sapere, ad Albatis, nelle Regioni dell’Est. Mi sono sempre interessato alle ricerche sui molteplici poteri del Kàndanium e, magari, scoprirne di nuovi. Ho formulato delle ipotesi, a riguardo. Quando ne avremo occasione te le mostrerò.»
E Vera, prima che Andronòs finisse di parlare, rispose entusiasta: «Volentieri!»
Talòs, in lontananza, nell’ombra, vide i due giovani parlare e sorrise. La sua mente, però, si rivolse a Gòrgos e ai suoi piani di potere. Il tempo non era certo dalla loro parte e questo Gòrgos lo sapeva bene.
A Nord le nubi erano sempre più minacciose. Chiuso nella sua tetra Fortezza di Mongoldùm, Gòrgos, davanti al suo Raccoglistorie, guardava, con sguardo truce, quello che sarebbe accaduto di lì a poco: Atlantidea in fiamme e i suoi popoli deportati in catene nel freddo Nord, a lavorare nelle miniere delle Montagne Perdute. La superficie, grigia e desolata, non aveva più il potere del Kàndanium.
A un certo punto Gòrgos gridò: «Lòkrot!»


Edil Merici

Il suo fidato luogotenente si precipitò nella sala del trono e si inchinò a lui. “Mi avete chiamato, mio signore?»
Gòrgos andò a sedersi sul trono, si rimise la maschera metallica e disse: «La fine di Atlantidea è vicina. Stanotte stessa partiremo alla volta delle Regioni dell’Est, Albatis cadrà e cesserà il potere del Kàndanium come lo hanno sempre conosciuto. Esiliato nell’abisso del Metaverso ho appreso un nuovo sapere sul Kàndanium: sarebbe un peccato non condividerlo con il resto di questo mondo. Un mondo che mi ha messo al bando, un mondo piccolo e insignificante, che schiaccerò senza pietà!»
Lòkrot, con la testa bassa e con timore, disse: «Mio signore, avevamo avuto notizie di un drappello guidato da Talòs, abbiamo cercato di fermarlo nelle acque del Mare Internum, ma è riuscito a fuggire e ora ne abbiamo perso le tracce.»
Gòrgos, infuriato, si alzò dal trono e inveì contro Lòkrot: «Come? Sei un inetto! Un servo inutile. Come hanno fatto a sfuggire alle Karkaròs?»
E Lòkrot disse: «Sappiamo che nel drappello ci sono delle divinità. Sicuramente saranno stati aiutati da loro.»
Gòrgos stette in lugubre silenzio, poi disse: «Sì, gli dei. Da figlio di un dio avrei dovuto capirlo. C’è solo un modo per far perdere le tracce, i soffiabolla nel Regno dei Celesti. Ma dove saranno diretti?»
E Lòkrot: «La ragazza, Vera Kalendra, porta con sé una pergamena, i nostri informatori ci hanno riferito che hanno intenzione di tradurla»
Gòrgos rispose: «La pergamena di Lena Meticena. Non possiamo permettere che venga tradotta! So dove sono diretti, dai Veggenti dell’Ovest, ma per arrivarci devono passare attraverso il Regno dei Florian. Tenderemo loro un agguato. Chiama i fidati Trangul, perché tu e loro vi recherete dai Florian e preparerete una bella sorpresa ai nostri pellegrini. Portatemi Talòs e la ragazza, incolumi, gli altri uccideteli tutti!»
L’alba giunse, nel Regno dei Celesti. La compagnia era pronta a ripartire. In groppa ai fidati Dasculòs ripresero il viaggio, protetti dalla polvere celante. Arrivarono in breve sulla terraferma, camminarono, ora sui Dasculòs, ora a piedi con i Dasculòs al seguito. Arrivarono così al limite di un bosco bellissimo e coloratissimo con un cancello fatto di ogni genere di fiori. Leitàn, il piccolo ambasciatore del Regno dei Florian, volò verso il cancello, che stranamente era aperto.
Si voltò verso gli altri e disse: «C’è qualcosa di strano. Avremmo dovuto trovare il guardiano, al cancello.»
Talòs, allora, disse: «Potrebbe essere una trappola, ma non abbiamo altra scelta, se vogliamo arrivare dai Veggenti dell’Ovest. Mi raccomando, stiamo uniti e allerta. Ancora siamo sotto l’effetto della polvere celante.»
Varcarono il cancello, ma una volta nel bosco, cominciarono a sentire un odore nauseabondo dappertutto. Dopo un po’ Mattia si accorse che il Dasculòs su cui era, lasciava le sue impronte sul terreno. Non erano più protetti dalla polvere celante e lo disse agli altri. Andronòs, invece, si accorse che il colore delle piante e dei fiori andava sbiadendo verso il centro del bosco. Arrivarono così presso un lago con al centro, su un’enorme ninfa, il palazzo dei reali dei Florian, ma lo spettacolo che si presentò loro fu raccapricciante. Tutto era stato devastato e ogni cosa aveva perso colore. I due Florian si precipitarono verso il Palazzo reale per trovare dei sopravvissuti. Erano tutti morti, la loro linfa era stata succhiata via. Talòs e gli altri scesero dai Dasculòs e impugnarono la spada.
Talòs disse: «Questa può essere opera solo di Gòrgos e delle sue orde bestiali, c’è aria di maleficio e oscurità.»
Come disse quelle parole dall’alto piombarono, assetati di sangue, i Luspertolòs, cavalcati dai terribili Trangul, guidati da Lòkrot. Fu una lotta furibonda tra le creature volanti, i Dasculòs si difesero come meglio poterono, ma il morso dei Luspertolòs era profondo e mortale, lasciava esanime la vittima, privata del suo sangue e della vita. Vera stava dietro Talòs, per difendersi meglio dai Trangul che con il loro lungo bastone erano abilissimi guerrieri. Talòs non era da meno con la spada. Mattia e Andronòs combattevano senza sosta con spada e pugnale. La battaglia si faceva più pressante, Lòkrot doveva portare a termine la missione e prendere Talòs e Vera.
Talòs, intanto, disse a Vera: «Sali sull’albero, Vera! Presto!»
Vera guardò in alto, non aveva mai fatto una cosa del genere. Talòs continuò: «Sali Vera, non indugiare! Se non lo fai ti prenderanno!»
E Vera chiuse gli occhi per un attimo, pensò a sua nonna, e cominciò ad arrampicarsi sul tronco dell’albero…

Continua…

Redazione

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