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Un pomeriggio a Sant’Agata: l’arte del Signore della roccia


Edil Merici

La Locride è ricca di realtà straordinarie delle quali, per quanto se ne possa aver sentito parlare, non si può comprendere la vera natura a meno che ci si decida a visitarle in prima persona. Di Sant’Agata del Bianco, ovviamente, avevo sentito parlare in tutte le salse e, benché avessi avuto modo persino di elogiare l’attività di recupero del borgo messa in campo dal sindaco Domenico Stranieri e dalla sua squadra, avevo sempre rimandato a data da destinarsi il suo invito a fare un giro del paese per poterne osservare senza filtri la conformazione e le caratteristiche. La scorsa settimana, vivaddio, non mi è stato dato il modo di rimandare oltre quell’invito e sono stato accompagnato lungo le strade a suo tempo calcate da Saverio Strati per scoprire i più affascinanti angoli di questo scrigno di bellezza. Durante quella passeggiata ho raccolto un turbinio di informazioni impossibile da concentrare in un unico articolo senza confondere i lettori, tanto che, nei giorni trascorsi dalla visita, mi sono determinato a realizzare uno speciale, che pubblicheremo oggi e per il prossimo paio di settimane, con la speranza di dimenticare per qualche minuto le storture del mondo e trasmettervi, almeno in parte, quel senso di pace che potrete sperimentare anche voi recandovi sul posto.
La prima tappa della nostra escursione è stata in contrada Iemallo, realtà rurale che si trova lungo la via del palmenti, a una manciata di chilometri a sud ovest rispetto al borgo, e che si protende verso la montagna blu descritta da Edward Lear. Qui sono stato condotto all’interno di un terreno privato che scende in maniera irregolare verso la valle. Adibita a zona di pascolo per un gruppo di bovini che notano appena la nostra presenza, l’area sfoggia, al centro, un mastodontico blocco di pietra calcarea, nei pressi del quale troviamo ad attenderci Vincenzo Baldissarro, bracciante agricolo atletico e gioviale, che fin dalla tenera età, osservando il padre costruire i propri attrezzi per lavorare la terra, ha sviluppato la passione per i lavori manuali. Al mestiere che gli permette di campare, con il tempo, Vincenzo ha affiancato una singolare passione per la scultura che lo ha reso il fiero creatore di decine di opere che custodisce gelosamente nella propria abitazione. Ma, osservando con maggiore attenzione, anche da quel blocco di roccia che sorge al centro del suo terreno, la cui piccola spelonca deve essere stata anticamente scelta come rifugio da qualche pastore o persino da qualche eremita, emergono figure affascinanti, che rivendicano un’identità altra rispetto a quella di mero aggregato minerale.
Nel tempo libero, infatti, Vincenzo cerca rendere quel blocco che emerge fiero dalla terra un piccolo museo a cielo aperto, al quale lavora con dedizione sagomando la pietra prima con un martello pneumatico, quindi con martelletto e scalpellino, dando a tutte le sue figure una pelle zigrinata che ne costituisce la più evidente cifra stilistica.

La particolarità dell’arte di Vincenzo è che le sue figure non sono il frutto di uno studio a priori, ma prendono forma mano a mano che lavora la roccia. Domenico Stranieri mi spiega che si tratta di una forma di improvvisazione artistica che Luigi Pareyson aveva descritto nella sua teoria della formatività.
Anche se Vincenzo insiste nel ridare dimensione umana alla sua passione, sottolineando che un’abilità appresa in qualità di autodidatta non può scomodare una teoria filosofica, a sottolineare l’ispirazione divina della sua opera ci sono le venature di un grosso piede che sporge a lato dell’ingresso della grotta, un cavallo ancora da terminare che cerca di saltare fuori dal blocco calcareo, un presepe appena accennato (che Vincenzo spera di finire per Natale) all’interno della spelonca e, soprattutto, le Sirene Dormienti che il sindaco immediatamente collega a un mito legato a Sant’Agata.
Si narra infatti che due sirene, dopo aver disubbidito a Poseidone salvando una fanciulla che il dio voleva rapire, per sfuggire all’ira del signore del mare avrebbero risalito la fiumara La Verde sperando di rifugiarsi nei Giardini di Campolico, dove nessuno le avrebbe potute trovare. Arrivate esauste davanti a un palmento scavato nella roccia, dopo una mattinata di pioggia si accostarono a esso sfiorando l’acqua in cerca di refrigerio. Per la stanchezza si addormentarono e, siccome la morte sembrava essersi impossessata dei loro occhi, un dio benevolo le trasformò in statue di pietra per ricordare, in eterno, il loro sacrificio per il genere umano.
La bellezza struggente della scultura, che sorge proprio accanto a un antico palmento e di cui è indimenticabile il particolare della mano di una delle due sirene, che si immerge in un piccolo specchio d’acqua a sottolineare il bisogno di frescura di cui parla la leggenda, è di quella che ti rimane impressa a vita e che ti fa augurare che Vincenzo, che ci confessa di voler continuare a decorare il blocco fino a quando ne avrà la forza, possa essere supportato dal suo fisico ancora per moltissimi decenni, riempiendo di ulteriore bellezza quell’angolo di paradiso bucolico e alimentando il mito del Signore della roccia, come l’ho già ribattezzato.
Anche Domenico Stranieri che, durante la bella stagione, sogna di organizzare nell’area una vera e propria mostra di tutte le opere di Vincenzo, lo esorta a non mollare questa passione, i cui prodotti incantano esattamente il canto ammaliatore di altre sirene, quelle descritte da Omero nell’Odissea. Ma i nostri tappi di cera sono costituiti dai raggi del sole che divengono sempre più obliqui con l’approssimarsi del tramonto.
È il momento di partire alla volta del borgo: abbiamo ancora molte cose da vedere prima di salutarci.


Trimboli

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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