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La Calabria Greca: la Vallata dell’Amendolea

Locride… e dintorni in Mountain Bike XLIII

Di Rocco Lombardo

L’Aspromonte, nonostante abbia fama d’essere inaccessibile, selvaggio e inospitale, conserva intatta la sua natura primordiale: romitori, borghi abbandonati e insediamenti rupestri costituiscono un vero e proprio patrimonio da rileggere in termini di ricchezza ambientale e culturale. Abbiamo già avuto modo di raccontare come per millenni la nostra terra sia stata attraversata da gente che camminava: chi per abitarvi, chi per procurarsi i mezzi di sussistenza, chi per recarsi da una parte all’altra, chi per vendere, comprare oppure pregare. La civiltà greco-bizantina, per circa sei secoli, ha modellato l’identità culturale del nostro territorio e l’Aspromonte,a giusta ragione, venne considerato una sorta di montagna santa, popolata e prediletta da asceti che vissero schivi e desiderosi di solitudine.
Oggi ci spingeremo fino all’estremo lembo meridionale della Locride, sul versante orientale dell’Aspromonte che si affaccia sullo Ionio, nel territorio denominato Area grecanica e/o Calabria Greca, testimonianza ancora viva del nostro passato, una terra in cui si parla ancora il grecanico, la lingua dei Greci di Calabria, un idioma antichissimo le cui radici millenarie risalgono all’età magno-greca, conservando nel tempo la cultura secolare della minoranza linguistica ellenofona e custodendo immutate le tracce della sua antica natura di crocevia di culture diverse, dai Greci agli Arabi, dagli Ebrei agli Armeni, che stabilirono a lungo in quest’area una pacifica convivenza, una storia di oltre duemilacinquecento anni che lascia tracce ricchissime nella tradizione locale.
Pedalare in questo antico territorio, suggestivo e impervio allo stesso tempo, offre percorsi di struggente bellezza in spazi aperti e lunari ma, allo stesso tempo, ripidi e scoscesi, tra giardini di agrumi e di ulivi con scenari mozzafiato per chi ama, come noi, avventurarsi in luoghi ormai dimenticati. Un remoto e nascosto angolo del nostro territorio, in gran parte ricadente dentro i confini del Parco Nazionale dell’Aspromonte, ricco di fiumare e calanchi, alture e colline che degradano verso il mare, caratterizzato da sentieri antichi che attraversano borghi fantasma, disabitati ormai da decenni, ruderi e insediamenti ancestrali, consentendoci di immergerci completamente nella magia della storia, delle tradizioni, delle architetture e della cultura che ne contraddistinguono da sempre l’identità.
I forti contrasti tra l’azzurro del mare e il verde variopinto e brullo della montagna sono stati la tavolozza immaginaria su cui abbiamo tratteggiato la prima parte del nostro percorso che, attraverso il letto asciutto e aspro della fiumara dell’Amendolea, ci porterà ad Amendolea Vecchio e, quindi, sulla vetta del costone roccioso in sorge il Castello Ruffo Amendola.
Lasciamo l’asfalto della Strada Statale 106 appena fuori dal centro urbano di Bova Marina e pieghiamo a destra attraversando alcune stradine interpoderali sterrate che costeggiano, tra fitti canneti e piantagioni profumatissime di aranci e bergamotti, il greto della foce dell’Amendolea, una tra le più imponenti e maestose fiumare dell’intero territorio. Raggiunta la traccia che si dipana nel ventre del greto della fiumara, iniziamo la risalita verso la montagna, pedalando duramente sul pietroso e asciutto terreno, guadando in più punti l’ormai ridotto defluire delle acque, consentendoci alcune pause per goderci un panorama unico e impareggiabile, dal forte impatto scenografico, in una cornice paesaggistica dagli ampi spazi deserti che caratterizzano il corso pressoché asciutto del fiume.
La tradizione indica questo corso d’acqua come il confine delle polis magno-greche di Reggio e Locri, un luogo leggendario in cui il mito racconta che Ercole fu costretto a interrompere il sonno pomeridiano, per il troppo frinire delle cicale. La morfologia dell’Amendolea, oltre a rappresentare un vero e proprio confine naturale tra le due colonie, per le tante guerre combattute lungo questi confini, ha rappresentato la demarcazione geo-poltica dell’epoca magno-greca della Locride, come dimostra la scoperta, lungo l’argine opposto della fiumara che percorreremo al ritorno, in corrispondenza del bivio verso San Carlo (frazione di Condofuri), di una necropoli d’età ellenistica, custode dei tanti che persero la vita guadando e combattendo in questo luogo.
Le antiche fonti ci dicono anche che l’Amendolea, l’antico fiume Alèce, era un tempo navigabile e che, al pari di altri corsi d’acqua, ha costituito per lunghissimo tempo l’unica via di comunicazione tra la montagna e il mare. La fiumara nasce infatti tra le gole e i dirupi dell’Aspromonte, luoghi già visitati durante le escursioni al Montalto e alle Cascate del Maesano (alias dell’Amendolea), da dove appunto origina per poi aprirsi lungo i pendii tra cascate e laghetti denominati gurnali, tra tutti l’Olinda in prossimità della contrada Santa Triada di Roccaforte del Greco, una ventina di chilometri più a monte rispetto alla nostra posizione e meta delle prossime tappe. Il corso del fiume, a metà circa della sua vertiginosa discesa verso il mare, incrocia anche il torrente Colella, da cui originail toponimo di una delle frane più imponenti dell’intero continente europeo, e dove il suo letto raggiunge la massima estensione, arrivando a misurare anche 500 metri.
L’Amendolea, lungo il suo corso, bagna i territori di Roccaforte del Greco, Roghudi e Condofuri, per sfociare appunto in mare tra Bova e Condofuri, rappresentando simbolicamente la raffigurazione plastica dell’area greco-calabra, non soltanto perché scorre al centro di un paesaggio austero e affascinante, ma perché custode di una patrimonio storico-culturale rappresentato dalla disposizione a cornice delle ultime roccaforti della lingua e della cultura ellenofona: essa è stata dunque la culla della grande civiltà dei Greci dell’età classica, e a tutt’oggi ne custodisce la preziosa eredità.
Il percorso in salita costeggia la mulattiera che ripercorre il greto dell’Amendolea fin nei pressi del cavalcavia della Fonte dell’Amendolara, dove riprendiamo l’asfalto per l’impervia salita fino al borgo di Amendolea. Pedalata dopo pedalata saliamo progressivamente di dislivello, in un luogo in cui il silenzio regna sovrano, e dove scenograficamente veniamo rapiti dalla penisola che scorgiamo nitidamente alla nostra sinistra, detta Rocca di Lupo, un promontorio verdissimo e contraddistinto da innumerevoli anfratti tufacei, che conferiscono all’altura un fascino inquietante e sinistro. Morfologicamente eroso dall’acqua e dal tempo, il promontorio peninsulare delimita il corso della fiumara Condofuri facendolo confluire in quello dell’Amendolea, un maestoso spettacolo naturale che conferisce al luogo un’atmosfera unica, sospesa nel tempo e nello spazio.

Si pedala in costante salita parallelamente al declivio della fiumara, con punte di dislivello sempre più importanti e con il primo sole caldissimo, ormai alto sulle nostre teste, che appesantisce il ritmo della pedalata, in un paesaggio che offre di converso ampie e compensative vedute sulla valle dell’Amendolea. Ai piedi dell’abitato, nei pressi di un’azienda agrituristica, incontriamo un primo gruppo di appassionati di trekking che, attrezzati di tutto punto, percorrono un sentiero che li porterà a incrociare a monte il ben più conosciuto Sentiero dell’Inglese, fino a raggiungere il borgo di Gallicianò, di cui parleremo prossimamente.
Amendolea, dal greco Amigdala (mandorla), definito suggestivamente “a metà strada tra la terra e il cielo”, è uno dei siti più affascinanti del nostro territorio. Il borgo sorge infatti su uno sperone roccioso che guarda la fiumara omonima, nel punto in cui questa riceve la fiumara di Condofuri.
Il primo documento noto del borgo ricorda una controversia scoppiata nel 1099 per la spartizione di alcuni siti tra Amendolea e Bova. Le vicende che accompagnarono la vita e la storia del sito, furono molto sofferte: devastato ripetutamente dai Saraceni, nel 1099 divenne feudo di Riccardo di Amigdalia, nel 1495 degli Abenavoli e infine dei Ruffo dai quali prende il nome il Castello che domina tutta l’omonima vallata. Condofuri stesso, di cui Amendolea è frazione, fu fondato nel IV secolo d.C., durante la colonizzazione bizantina, probabilmente sul luogo della locrese Peripoli e della sua antica origine rimase traccia per lungo tempo soprattutto nel rito religioso e nel dialetto parlato dalla popolazione.
Il Borgo di Amendolea è un luogo dal grande fascino, che meriterebbe ben altra considerazione e rilievo per la presenza dei ruderi monumentali, per lo straordinario spettacolo offerto dalla fiumara e per le tradizioni che ancora (non si sa per quanto) si riusciranno a conservare e tramandare. Come molti altri siti fortificati della Locride, anche Amendolea è stato edificato in una posizione dominante. Sulla sommità dell’altipiano si collocano infatti ruderi del castello normanno risalente al XIV secolo e, ai suoi piedi, quelli dell’antico borgo, che raggiungiamo al termine di una prima parte di salita agevole e pedalabile, inasprita dall’impervia e ripidissima arteria Tefani, lastricata in laterizi e cemento, che in circa un chilometro conduce in vetta al pianoro, un dislivello importante con punte percentuali tra il 15 e il 20%, lacrime e sangue, verrebbe da parafrasare, che ci vede in alcuni tratti costretti alla percorrenza a piedi.
Arrivati in cima, lasciamo le Mountain Bike nei pressi dei cartelli toponomastici, in uno spiazzo antistante il sito edificato in cima alla rupe, a circa 400 metri sul livello del mare, e già la visuale spazia estasiata. Prima di inoltrarci a piedi tra i ruderi, comprendiamo appieno come nei secoli abbia costituito a giusta ragione una fortezza difensiva difficilmente raggiungibile, sia per la complessa orografia del luogo, sia per la presenza della sottostante fiumara, le cui acque, soprattutto nella brutta stagione, risultano particolarmente impetuose. Il borgo di Amendolea, che occupa la parte del pianoro posto a meridione rispetto al castello, si presenta un tutt’uno con l’altura oggi occupata dai ruderi: sorto infatti ai piedi della fortificazione in età angioina, abbiamo appreso essere rimasto abitato fino all’alluvione del 1953, che ne sancì il definitivo abbandono.
Nonostante ciò spiccano ancora, tra le case, i muri perimetrali della chiesa protopapale dell’Assunta, che domina la vallata e che sino al 1965 risultava ancora agibile e coperta. La planimetria rimanda a una tradizione tipicamente bizantina, evidenziata dal rapporto tra larghezza e lunghezza e, dall’ingresso principale posto a mezzogiorno, abbiamo anche appreso essere stata oggetto di due importanti interventi edilizi: uno riferibile alle fasi immediatamente successive al terremoto del 1783 e l’altro al 1920-30.
Possiamo dare libero sfogo a fotografie e filmati, il panorama è mozzafiato. Lo sguardo ci accompagna a 360° dal mare, al greto del fiume, alla montagna. Un sipario scenografico naturale di grandissima suggestione e magnificienza. Risaliamo il pianoro e, malgrado lo stato di degrado, notiamo come il borgo conservi ancora l’impianto urbanistico medievale. Entriamo quindi in ciò che rimane del castello, delimitato da un muro di cinta a forma parallelepipeda, pericolosamente inclinato, da cui si accede a una zona residenziale, di cui rimane una sala rettangolare con alte pareti e finestre ad arco e muri intervallati da piccole torri che hanno lungo il perimetro feritoie e merli che si adattano al ciglio roccioso.
Il castello è localizzato nel settore nord-occidentale del pianoro, su un impervio costone roccioso che si erge a dominare l’intera area, risulta essere stato rimaneggiato nel corso dei secoli, e il terremoto del 1783 determinò nel terreno profondi cedimenti che si trascinarono gran parte della struttura dell’area del castello, che fu di conseguenza abbandonata. Notiamo anche come di recente siano stati eseguiti dei lavori di messa in sicurezza, una scalinata a picco sulla fiumara, un impianto di illuminazione e alcune reti di acciaio contenitive, che non rendono però merito alla qualità dell’opera fortificata.
Ridiscesi nello spiazzo antistante per riprendere le MtB, all’esterno delle mura del castello distinguiamo tre piccole chiese, ormai ridotte a dei ruderi: Santa Caterina (XIII secolo), una chiesetta extra moenia di cui restano pochi brani murari, San Sebastiano (XV sec.), di cui spicca lo scenografico campanile orlato, e San Nicola (XI sec.), nella quale si conservano testimonianze pittoriche di tradizione bizantina. Affascinati dalla spettacolarità del sito, nonostante il nostro GPS ci indicasse la traccia da seguire lungo la dorsale che ci avrebbe poi consentito di raggiungere il sentiero per Bova, in compagnia del fidato compagno di avventura Giuseppe Piccolo, decidiamo di ridiscendere adrenalicamente il costone roccioso per riprendere a valle il greto della fiumara e proseguire il nostro tour nella vallata dell’Amendolea alla volta del borgo di Gallicianò, di cui vi parleremo al prossimo appuntamento.


Varacalli

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