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Costume e SocietàLetteratura

La depenalizzazione

Breve storia giuridica del contrabbando XXII


Edil Merici

Di Agostino Giovinazzo

Il primo dato normativo di riferimento in materia è da scorgersi nell’articolo 295-bis del Decreto del Presidente della Repubblica nº 43 del 23 gennaio 1973, che ha depenalizzato le fattispecie di contrabbando disciplinate agli art. 282, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 292 e 294, disponendo l’irrogazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria (non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti di confine dovuti), in sostituzione di quella penale, in tutti i casi in cui i tributi evasi non superino il limite di 3.399,96 euro e non ricorrano le circostanze aggravanti viste all’art. 295 c. 2 del citato Decreto.
Nell’art. 295-bis non vi è un richiamo all’art. 293, in tale ambito non sarà quindi operativa l’equiparazione del delitto tentato a quello consumato.
Tale regolamentazione è in linea con i precedenti interventi di depenalizzazione delle violazioni finanziarie adottati dal Legislatore italiano con Legge nº 689 del 24 novembre 1981; più di preciso, a norma dell’arti. 39, c. 1 della citata Legge, non costituiscono reato, e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, le violazioni previste da leggi in materia finanziaria punite solo con la multa o con l’ammenda.
In particolare, su tale preciso punto, in giurisprudenza si è posta una questione – di natura squisitamente interpretativa – relativa ai reati puniti, nella forma circostanziata, con pena detentiva concorrente con quella pecuniaria. La problematica è stata originata dall’estensione della depenalizzazione (introdotta dalla L nº 562 del 28 dicembre 1993 e prevista dal citato articolo 39) alle violazioni finanziarie punite con la multa, senza però disporre alcunché per quelle che, nelle ipotesi aggravate, siano sanzionate con la pena detentiva.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la depenalizzazione in esame non troverebbe attuazione nella fattispecie e ciò in quanto, per un verso, l’articolo 39 non ha carattere di specialità – caratteristica, invece, posseduta prima delle modifiche apportate dalla L nº 562/1993 – e, per un altro verso, perché l’art. 32, c 2 della nº 562/1993 non riprodurrebbe, altresì, la clausola di riserva contenuta nel c 1.
Un secondo filone di pronunce propenderebbe, al contrario, per l’inclusione di tali illeciti circostanziati nel fenomeno in parola: ciò troverebbe la sua prima giustificazione nella palese assenza, nel citato art. 39, di qualsivoglia richiamo testuale all’esclusione dalla depenalizzazione per tali manifestazioni dei reati.
Su tale contrasto sono intervenute le Sezioni Unite ritenendo che la disciplina sulla depenalizzazione debba valere per tutti i reati, salvo che vi sia una deroga espressa. Sulla base di tale assunto ha, dunque, concluso che, anche a seguito dell’entrata in vigore della L nº 562/1993, i reati finanziari puniti con la sola pena pecuniaria non devono ritenersi depenalizzati allorché nelle ipotesi aggravate siano sanzionati con pena (anche) detentiva.
La depenalizzazione ha poi trovato un’ulteriore spinta evolutiva con il Decreto Legislativo nº 8 del 15 gennaio 2016.
Non costituiscono, infatti, più reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (art. 1, c. 1).
Tale disposizione trova applicazione altresì per i reati che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria.
In tal caso, le ipotesi aggravate si elevano a fattispecie autonome di reato (art. 1, c. 2); è dunque il caso dell’ipotesi aggravata prevista dall’ art. 295 del DPR nº 43/1973.
A seguito della menzionata novella legislativa, la multa originariamente prevista per un importo compreso tra due a dieci volte l’imposta evasa è stata sostituita con una sanzione pecuniaria amministrativa da euro 5.000 a euro 50.000 (art. 1, c. 6).
Nelle altre ipotesi la sanzione amministrativa pecuniaria e stata modulata nei tre seguenti scaglioni (art. 1, c. 5):

  1. da 5.000 a 10.000 euro per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore nel massimo a 5.000 euro;
  2. da 5.000 a 30.000 euro per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore nel massimo a 20.000 euro;
  3. da 10.000 a 50.000 euro per i reati puniti con la multa o l’ammenda superiore nel massimo a 20.000 euro.

Quanto poi al procedimento di irrogazione della sanzione amministrativa l’articolo 6 del menzionato Decreto stabilisce che sia quello previsto dalle sezioni I e II del Capo I della L nº 689 del 24 novembre 1981.
Vi è quindi un rinvio, subordinato all’applicabilità, alla norma generale in tema di sanzioni amministrative.
Ciò significa che al contrabbando, essendo un fenomeno tributario, dovrà applicarsi il procedimento di cui al D.Lgs. nº 472 dell’8 dicembre 1997 (recante le disposizioni in materia di sanzioni amministrative per le violazioni tributarie), le cui previsioni di carattere speciale possono ritenersi prevalenti sulla L. nº 689/1981.
Detto altrimenti: in ipotesi di contrabbando depenalizzato saranno applicabili, per i profili procedimentali, le norme di cui al D.Lgs. nº 472/1997 e, solo in caso di lacune (e quindi in via sussidiaria), le disposizioni di cui alla L. nº 689/1981.

Foto: polizialocale-mase.com
Tratto da Contrabbando doganale e delitti in materia di accise, edito da Key editore, collana diretta da
Enzo Nobile.


Varacalli

Redazione

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