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Costume e SocietàLetteratura

Il messaggio

Наталина - Solo due mesi d’amore


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Ero completamente frastornato e andai nel mio appartamento per prendere il mio PC e dei vestiti per me e per Natalina. Feci ancora un po’ di spola tra i due appartamenti e alla fine presi dal frigo anche dei viveri da portare a casa di Carla.
Non ero completamente convinto su tutte le argomentazioni della vecchia benefattrice che nel giro di qualche giorno si era trasformata da dirimpettaia impicciona in una specie di Patricia Hearst in lotta contro il sistema e la delinquenza comune a beneficio di una ragazzina ucraina che neppure conosceva e della sua bambina che doveva ancora nascere ma che già le aveva rubato il cuore.
«Quei soldi non sono tuoi, sono di Lara. Non puoi impedire un futuro a quella ragazzina.»
«Quelli, invece, sono soldi…»
«Smettila, Bruno, ne abbiamo già parlato! Fa quello che devi fare!»
Non ero d’accordo con Carla, ma restituire quei soldi senza compromettere Natalina, in effetti, non era poi così semplice.
Per la prima volta dormii in un vero letto dopo un tempo che mi sembrava un secolo, ma non riuscii a prendere subito sonno. Guardavo Natalina nel letto accanto al mio respirare piano nel suo sonno pieno di paure mentre i pensieri nella mia testa sembravano antichi cavalieri che lottavano in una tenzone che non sembrava avere mai fine.
Non erano ancora le sei e mi alzai piano dal mio comodissimo letto che, tuttavia, mi sembrava cosparso di spine pungenti.
Chiusi piano la porta sul sonno di Natalina e mi recai in cucina dove, la sera prima, avevo installato la mia fida macchinetta per il caffè. L’accesi e guardai fuori in attesa che scaldasse a dovere. La Madonnina era là che tendeva la sua lettera piena di promesse e speranze. Chissà se c’era, magari in una postilla, una bella speranza per me e per la piccola ucraina che dormiva nell’altra stanza…
Misi la cialda nella macchinetta, che mi erogò come ogni mattina il suo liquido prezioso.
«Non hai dormito molto, vero?»
Era Zia Carla che, infagottata in un’antidiluviana vestaglia, mi dava a suo modo il buon giorno.
«Caffè?» risposi senza neanche guardarla in volto.
«Sì, grazie, con due di zucchero.»
«Ma non hai il diabete?»
«E allora? Secondo te queste me le prendo per sport?» Disse mostrandomi un blister di pillole.
Sorrisi tra me. Carla aveva un modo tutto suo anche di avere il diabete.
«Vai a lavoro?» mi domandò mentre le porgevo il suo caffè zuccherato.
«Sì, ci devo andare tra un problema e l’altro» le risposi scherzando.
«Non preoccuparti. Resterò io a vegliare su Natalina tutto il tempo che serve.»
Tra tutte le difficoltà incontrate in quegli ultimi giorni, quella era l’unica cosa della quale ero assolutamente certo. Carla avrebbe difeso Natalina a costo della sua stessa vita.
Mi infilai sotto la doccia, che fu lunga e calda, poi feci la barba e indossai dei vestiti puliti.
Diedi un bacio sulla guancia di Carla meravigliandomi di me stesso, specialmente quando con la coda dell’occhio vidi che si passava il dorso della sua mano destra per pulirsi il viso.
Poi, prima di uscire, aprii la porta della stanza in cui riposava Natalina e mi piacque, anche se solo per un istante, guardarla dormire. Le mandai un bacio con la mano e uscii.
Non scesi le scale al trotto com’era mio solito. Il peso dei miei pensieri non mi consentiva questa usuale pratica mattutina. Ponderai, invece, ogni singolo gradino prima di trovarmi nel punto in cui avevo lasciato la mia utilitaria parcheggiata, come al solito, con una ruota sul marciapiedi.
Un biglietto sotto il tergicristallo attirò la mia attenzione. Avrei preferito fosse l’ennesima multa, invece c’erano vergate a matita tre sole parole: “Io non dimentico mai”.
Il freddo lapidario di quella frase mi colpì come un pugno allo stomaco. Adesso avevo veramente paura. Mi infilai il biglietto in tasca e partii sgommando.
Piazza Cairoli era là e sembrava aspettarmi come se nulla fosse successo. Spinsi, come per abitudine il numero 4 sulla pulsantiera dell’ascensore e, quando la porta si aprì al piano, mi colpì il caratteristico puzzo del mio ufficio. Salutai svogliatamente i colleghi mentre la signorina Parretta sembrava attendermi col suo bicchiere di caffè in mano.
«Grazie, Parretta» dissi agguantandolo al volo e ingollando d’un fiato il suo orrido contenuto.
«Veramente lo stavo portando al direttore.»
«Va beh, se ne farà una ragione» dissi accartocciando il bicchiere di plastica e gettandolo nel cestino prima di prendere posto alla mia scrivania.
Accesi il computer che, dopo qualche mugugno fece apparire sul monitor il logo del giornale.
Aveva ragione Carla: gli amici ucraini, adesso, conoscevano la mia auto, e sicuramente anche dove abitavo, e avrebbero potuto agevolmente rintracciare anche Natalina, anche se sicuramente non era tanto a lei che ambivano quanto piuttosto al borsone coi soldi della rapina di cui si sarebbero impossessati a qualunque costo. Letteralmente, perché quella è gente che non scherza.
Neanche per un solo istante riuscii a concentrarmi sul mio lavoro e le lancette dell’orologio posto proprio davanti ai miei occhi sembravano, quel giorno, incollate senza alcuna possibilità di progressione. Alla fine, miracolosamente e con una lentezza estenuante arrivò il momento di tornare a casa.
Avevo voglia di rivedere la mie donne. Espressione che da qualche giorno, per me, aveva assunto un significato diverso dall’usuale.
Erano a casa ad aspettarmi e la notizia del biglietto sulla macchina si abbatté su di loro come un maglio pesantissimo.
Carla indossò nuovamente i panni di Patricia Hearst e, rivolta a me, disse:
«Vogliono la guerra? E guerra sia!»
Poi cavò dall’ampio tascone del grembiule una calibro trentotto e tirò il carrello per caricarla.
«Ma Sant’Iddio, Carla, possibile che questa debba essere la tua unica reazione?»
«E quale dev’essere, altrimenti? Che vengano, ‘sti delinquenti! Avranno pane per i loro denti!»
Natalina, invece, se ne andò nella stanza da letto asciugandosi gli occhioni con un fazzoletto di carta. Io le andai dietro per abbracciarla.
«È tutta colpa mia! Perdonami, non avrei voluto che succedesse tutto questo, vi sto mettendo tutti in pericolo. Io la conosco, quella gente, ed è disposta veramente a tutto…»

Continua…

Foto: sicurauto.it


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