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Costume e SocietàLetteratura

La confisca dei beni dal Medioevo all’Italia pre-unitaria

Breve storia giuridica della confisca dei beni


Edil Merici

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino

Dopo la caduta dell’impero Romano (anno 476) i Barbari, popoli di etnia germanica, che avevano subito l’influenza della cultura latina, mantennero inalterata la legislazione dell’impero, ivi comprese le confische.
Anche la Chiesa introdusse nel Diritto Canonico la confisca generale dei beni dell’eretico.
La Chiesa, soprattutto dopo la nascita del Sacro Romano Impero, divenne l’unico soggetto deputato all’approvazione e all’interpretazione delle leggi.
Il Basso Medioevo (anno 1000 – 1492) presenta quali elementi d’innovazione, rispetto all’Alto Medioevo, la nascita delle Città Stato e delle signorie, con l’unica conseguenza, per quel che qui interessa, che la confisca (immutata nei contenuti e nei presupposti) venne utilizzata per l’arricchimento personale dei Signori, a discapito dei governati, nonché per la lotta agli avversari politici.
Il XVII° Secolo rappresenta il periodo di passaggio effettivo dall’oscurantismo medievale alla nascita del pensiero moderno.
Gli eventi epocali che si verificarono in tale secolo contribuirono all’affermazione del principio della libertà di coscienza e della responsabilità individuale, creando, in tal modo, terreno fertile per la nascita del pensiero illuministico che pose fine delle guerre di religione, portò alla pace di Vestfalia, concepì la riforma protestante di Martin Lutero e Giovanni Calvino, portò alla disgregazione del Sacro Romano Impero alla nascita degli Stati Moderni e alla rivoluzione filosofica operata da Cartesio e così via.
Il pensiero illuministico si sviluppò nel XVIII Secolo e, sul piano giuridico-sociale, si caratterizzò per la lotta contro le ingiustizie, i privilegi di classe, la corruzione e gli abusi perpetrati dai poteri forti.
Strumento principale di tale lotta fu l’ideazione di uno dei capisaldi delle moderne civiltà giuridiche, ovvero il principio di uguaglianza e parità di tutti i cittadini dinanzi alla legge (Voltaire e Montesquieu).
In Italia precursore, nonché massimo esponente, di tale pensiero filosofico-giuridico fu Cesare Beccaria il quale, con la sua opera Dei delitti e delle pene, introdusse il pensiero liberale nel panorama giuridico Italiano che sino a quel momento si caratterizzava per l’assoluto potere discrezionale concesso, ai quali era demandato, in assenza di leggi scritte, il potere di stabilire l’offensività delle condotte e la loro qualificazione come tipologia di reato.
Durante tale periodo, mancando pure un sistema carcerario per i condannati, l’esecuzione della pena capitale, la tortura e la pubblica gogna, venivano praticate su pubblica via.
Essendo questo il quadro giuridico dell’epoca pre-liberale,  giocoforza, obiettivo primario di tale nuova corrente di pensiero italiana fu quello di riformare la pena e il sistema carcerario attraverso l’affermazione dei seguenti principi:

  1. il rispetto della dignità umana attraverso la mitigazione della  pena, nonché l’abolizione della tortura e della pena capitale, o, perlomeno, la sua limitazione a casi eccezionali;
  2. la certezza del diritto, ottenibile solamente qualificando come reato tutto ciò e solo ciò che è, espressamente, previsto come tale da una legge e, contemporaneamente, prevedendo che la  pena, avente carattere retributivo, debba essere  proporzionata alla gravità del delitto commesso (funzione retributiva della pena), senza alcuna valutazione della personalità del reo.

Beccaria, da parte sua, nel suo Dei delitti e delle pene, condannava apertamente la confisca generale dei beni del reo, di matrice Romana.
Egli, in particolar modo, criticava la generalità della misura, l’assenza di un nesso tra i beni confiscati e il fatto reato e, riprendendo le critiche dei giuristi dell’epoca tardo imperiale, ne contestava aspramente l’ingiusta vessatorietà a danno degli innocenti eredi.
Oltre che vessatoria, tale forma di oppressività, sempre secondo il Beccaria, produceva, tra l’altro, anche un effetto criminogeno grave, in quanto, privando gli eredi di ogni reddito, li induceva, di conseguenza, a delinquere per procacciarsi i mezzi di sostentamento.
Le aspre critiche alla confisca generale, provenienti dal liberismo di matrice illuministica, comportarono, nelle codificazioni dell’Italia pre-unitaria, il passaggio dalla confisca generale a quella speciale, poi a confluita nell’articolo 240 del Codice Rocco, comportava l’apprensione del solo prodotto del reato e degli strumenti che servivano per la sua commissione.
Tra i codici preunitari che adottarono la confisca speciale si ricordano il codice Estense (art. 49) e il Codice Penale Sardo del 1859, destinato, poi, a divenire nel 1861 il primo codice dell’Italia Unita.
Durante tale periodo storico, l’unico codice che abolì completamente la confisca, tanto generale quanto speciale, fu il codice Toscano del 1786, mentre non entrò mai in vigore il progetto di riforma del diritto penale piemontese, voluto da Leopoldo II e a cui partecipò lo stesso Beccaria, il quale, al pari di quello Toscano, escludeva la confisca, generale e speciale, dalle misure sanzionatorie.

Foto: massimedalpassato.it


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