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Attualità

Il Reddito di Cittadinanza tra perplessità e opportunità


Edil Merici

Di Francesca Santostefano – Sociologa specializzata in analisi e gestione dei conflitti, formatore risorse umane e assistente educativo

Frutto di innumerevoli controversie, disaccordi e dibattiti, il Reddito di Cittadinanza è stata una misura che sin dai suoi primordi ha destato non pochi dubbi e perplessità. L’argomento più ostico dell’ultima campagna elettorale, appena conclusa, ha sancito la volontà di porre fine a tale provvedimento che, secondo il parere di molti, non ha fatto altro che accentuare ancor di più le disuguaglianze economiche e sociali di un Paese frammentato e disomogeneo. Il Paese dai mille paradossi, con l’introduzione del RdC ha svogliatamente indotto i cosiddetti “disoccupati da divano” a non voler cercare un’occupazione in quanto percettori di questa misura, dunque a una vita passiva e a una disoccupazione elargita da quest’ultimo.
Ma procediamo con ordine. In data 28 Gennaio 2019 è stato emanato il Decreto Legge nº 4 titolato Disposizioni in tema di reddito di cittadinanza e di pensioni, che introduce il cosiddetto RdC, inteso quale “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”. Nella norma sono indicate tutte le politiche attive del lavoro e del settore sociale connesse all’erogazione del beneficio economico, previste le sanzioni, chiarite le modalità di monitoraggio e gli strumenti finanziari della misura.
In passato, prima dell’avvento del RdC, vi sono state ulteriori misure di contrasto alla povertà quali il Reddito Minimo di Inserimento, la cosiddetta Social Card, il Sostegno per l’Inclusione Attiva e il Reddito di Inclusione, nessuna delle quali si è rivelata misura adeguata all’adempimento dell’obiettivo prefissato. Ebbene, l’attuale norma del RdC prevede meccanismi di incentivo o di disincentivo, di condizionalità e sanzionatori che hanno lo scopo di garantire un adeguato sostegno e una corretta attivazione di quei cittadini che, trovandosi o per propria volontà o per cause terze in evidente stato difficoltà economica e sociale, non sono in grado di uscire dalla propria condizione di disoccupazione perpetua.
Il Rdc si articola, come il precedente ReI, in due componenti:

  1. un beneficio economico;
  2. una componente di servizi alla persona formalizzata in un progetto personalizzato.

Nel ReI la valutazione iniziale dei bisogni era affidata unicamente ai comuni e ai servizi sociali, che erano titolari della progettazione con i beneficiari. Nel RdC, invece, vi è un sostanziale spostamento del momento valutativo dal servizio sociale (con i suoi operatori specializzati) al Centro per l’Impiego. Vengono quindi identificate una serie di circostanze oggettive al verificarsi delle quali le famiglie sono automaticamente smistate dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale verso i Comuni oppure verso i CpI. Una figura che ha suscitato molte perplessità è stata quella del navigator prevista dal RdC, ovvero un professionista occupato nell’aiuto ai cittadini per trovare loro un’occupazione. Nello specifico, il navigator deve facilitare l’incontro tra i beneficiari del programma RdC e i datori di lavoro, i servizi per il lavoro e i servizi di integrazione sociale. Ha dunque il compito di fornire assistenza ai CpI sia nel seguire i beneficiari del RdC nellaricerca di una nuova occupazione, sia nelcontrollare che tutte le attività proposte siano svolte nei modi e nei tempi stabiliti.Sebbene il navigator abbia il compito di fornire servizio di assistenza e aiuto nel trovare occupazione ai cittadini, egli rientra nell’ampia cerchia del lavoro precario. Ecco che questa misura ha sin dall’inizio perso di credibilità e consensi. La corrente a favore dichiara che il RdC ha salvato numerose famiglie dalla povertà senza ombra di dubbio, in particolare i lavoratori in nero e sottopagati. La corrente contro ritiene all’opposto che, invece di favorire passivamente la ricerca di occupazione, bisognerebbe creare posti di lavoro. Molti sono stati i brogli scoperti da chi percepiva il RdC nonostante non ne avesse bisogno, dunque rafforzando, in particolare nel Mezzogiorno, il sistema di corruttele che troppo spesso affligge la politica e il potere nonché la criminalità organizzata di stampo mafioso.
Secondo il sociologo Giuseppe Roma la problematica derivante dal  provvedimento sul RdC e di questo disorientamento anche tra i potenziali beneficiari, è che si tratta di un provvedimento misto che da una parte vorrebbe chi non ce la fa, ma dall’altra parte affronta il tema del lavoro, quindi persone che vorrebbero lavorare ma non sono impiegate. E poi c’è un problema famigliare, di chi ha un lavoro, ma guadagna poco. Mettendo queste tre cose insieme, si rischia di fare confusione, di sovrapporre varie condizioni molto differenti con un unico strumento, che sono i soldi. Prosegue: “in tutte le società avanzate è necessario che ci siano delle misure di lotta alla povertà e di assistenza verso chi non ce la fa. In genere, si tratta di misure certamente anche di tipo reddituale, ma soprattutto di interventi che tendono a esaltare le poche energie rimaste a chi sta indietro per rimetterlo nel circuito della socialità. Quindi si cerca di erogare non solo un’assistenza ma, oltre a un reddito di inclusione o di cittadinanza, anche un’attività che possa rimettere in gioco le persone. Siamo un Paese più propenso ad aiutare con interventi monetari e meno a mettere in circuito un’economia che possa far crescere l’occupazione.”
In conclusione, alla luce dei fatti recenti, il futuro di questa misura è incerto e tentennante. Possiamo solo auspicare che il nuovo governo prenda provvedimenti per favorire e incentivare l’occupazione in modalità attiva (in particolare con uno sguardo rivolto ai giovani inoccupati) e la realizzazione di politiche sociale universalistiche a parità delle misure adottate dai Paesi europei.


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