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Cronaca

Andrea Carbonari: “Ecco perché agli scripta manent preferisco le verba volant”

Andrea Carbonari è nato a Todi e, dopo essersi laureato in Germanistica all’Università di Firenze, è stato docente di lingua e letteratura italiana all’istituto di Romanistica dell’Università di Colonia.
Ha insegnato per anni prima lingua e cultura italiana e poi lingua e lettere italiane alla scuola media comprensiva Francesco Petrarca e al Liceo Linguistico Europeo Italo Svevo di Colonia.
Attualmente insegna Tedesco, Francese e Italiano.
Ha pubblicato saggi di letteratura critica e lavorato a traduzioni. Dal suo racconto Da una terra all’altra, vincitore per la sezione Narrativa del Premio Pietro Conti nel 1999, Rai International ha realizzato una radiodramma per il programma Racconto Italiano.
Lo abbiamo intervistato per parlato con lui di scrittura parole traendo spunto dal suo I racconti del favoliere che ha pubblicato nel 2019 per Bertoni Editore.
Quando è nato in te il desiderio di scrivere libri?
Io ho sempre scritto in modo così terribilmente illeggibile che la maestra mi chiamava Andrea Zampedigallina. Avevo e ho una grafia così orribile, una vera e propria cacografia (che parola puzzolente!), che fin da piccolo mi avevano detto che sarei diventato dottore. La sorte poi, per impedirmi di destinare a morte certa quelli che potevano essere i miei pazienti, ha voluto che prendessi altre vie. La macchina per scrivere prima e il computer poi sono stati la mia salvezza, perché hanno permesso alle zampe di gallina, alle orecchie asinine e alle macchie da porcellino di trovare una veste bella, ordinata e leggibile. Tuttavia, quella specie di animali strani nati dalla mia obbrobriosa scrittura non hanno voluto abbandonarmi e, anche all’epoca dei marchingegni tecnologici mi si sono presentati in forma di filastrocche, storielle, rime e rimerelle che mi sono divertito a raccontare quando ho insegnato, oltre che alle medie, alle superiori e all’Università ma, soprattutto, da quando, oramai quasi 20 anni fa, è nata mia figlia. Da allora non ho mai smesso di raccontare, verbo usato appositamente perché alla scripta manent amo le verba volant, che sono sempre eternamente vive di racconto in racconto, di padre in figlio, di nonno in nipote e vincono la cristallizzazione del foglio scritto.
Se ti dovessi descrivere usando solo tre aggettivi quali sarebbero e perché?
Forse sarebbe meglio porre la domanda a chi mi conosce, ma ci proverò guardandomi dalla prospettiva di un Qualcos’altro. Ironico/autoironico: mi piace cogliere sempre l’altro lato della realtà, quello nascosto, divergente, capovolto, divertente, scherzoso, che sterza e genera un mondo alla rovescia, che sposta la visuale. Pur essendo a volte molto pedante non riesco a prendere le cose troppo sul serio; e le persone, le cose seriose mi fanno subito ridere, perché ne colgo la pesantezza, la vacuità e il pomposo. Giocoso: penso sia l’aggettivo che mi caratterizzi meglio. Logorroico: non credo ci sia bisogno di spiegare il perché!
Quanto tempo hai impiegato per ideare I racconti del favoliere?
Il progetto è nato prima in ambito didattico, come proposta per presentare a una classe di discenti italofoni dei raccontini che non fossero troppo difficili da un punto di vista linguistico, che si basassero anche su elementi di Fantagrammatica e fossero divertenti. L’apparato didattico è divenuto poi programma radiofonico, quando i redattori di Radio Colonia mi hanno proposto di tenere una rubrica per la radio, dal titolo appunto Il favoliere, in cui ho letto e interpretato i racconti scritti, che così sono ritornati nel loro alveo orale.
Chi credi dovrebbe comprare e leggere il tuo libro?
Il testo è indirizzato a un pubblico di bambini di livello medio-elementare, ma penso vada bene anche per tutti i giovani e i diversamente giovani! In fondo il regno della fantasia è per tutte le generazioni.
Quali sono le tue fonti di ispirazione in ambito artistico/culturale?
Sicuramente Gianni Rodari, Carlo Collodi, Italo Calvino, ma anche molta letteratura tedesca come Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, oltre a Friedrich Schiller, Albert von Chamisso e Ludwig Tieck. Ultimamente traggo ispirazione anche dai racconti distopici di Isaac Asimov e Aldous Huxley, tuttavia una delle mie letture e riletture preferite, insieme a scrittori e poeti classici, di cui non ci su stanca mai, resta la Recherche di Marcel Proust.
Che importanza ha il genius loci all’interno del tuo lavoro?
Moltissima. Da tanti anni ormai sono docente in Germania, eppure sento sempre forti le mie radici umbre. Amo molto la terra che è la mia seconda patria e l’armonia delle due anime: quelle tedesca e quella italiana, per cui, a differenza di altri, non mi sento mai straniero. Nel mio caso tornare a casa significa sia qui sia altrove. Però il mio ubi consistam è quello in forma di parole!
Quale progetto presumi ti rappresenta di più fino a oggi?
Tutti e nessuno. Anche la poesia più brutta, il racconto più insulso, la storiella meno divertente e più banale è come un figlio che mi rappresenta e di cui non credo di poter trovare un migliore. In genere, è il progetto a cui sto lavorando al momento presente ciò che mi rappresenta di più e ora sto lavorando su un certo Jacopone da Todi che ritorna nella sua città natale intorno all’anno 3000, per vedere come vanno le cose. A pensarci bene, mi viene in mente una poesia, la più bella che abbia mai composto perché non l’ho scritta da solo, ma insieme a mia moglie: mia figlia Elen.
Quale consiglio daresti a un giovane che voglia seguire il tuo cammino?
Penso di essere l’ultimo che potrebbe dare consigli, ma posso solo dire che alla base di tutto deve esserci una gran dose di umiltà e di autoironia. Bisogna poi leggere molto e di tutto, ma soprattutto i Classici e mai sentirsi Poeti o Scrittori. Bisogna seguire sempre i propri sogni, senza divenirne degli schiavi e, soprattutto, scrivere per divertirsi, emozionare, rallentare questa folle corsa del tempo.
Quali i tuoi progetti futuri?
Sto per l’appunto correggendo le bozze di Ci sarà una volta… Jacopone, sempre per Bertoni editore, che vede Jacopone da Todi proiettato in una realtà ormai post tecnologica e futuribile a confronto con un gruppetto di giovani del futuro, che non sanno nulla di lui, ormai sepolto anche nella memoria collettiva. Jacopone racconterà ai ragazzi di sé e i giovani lo renderanno partecipe di ologrammi, avatar, teletrasporto, proiezioni di vita dal passato al futuro e viceversa e intelligenze artificiali.
Come vorresti finire questa nostra chiacchierata?
Come è iniziata, perché mi piacciono i rimandi, le fini che sono inizi e gli eterni ritorni: parlando di scrittura. Ci tengo a precisare che non amo affatto esser definito scrittore. Se dovessi definirmi, mi chiamerei uno scrivente, che scribacchia in forma di parole degli scrittarelli, che in realtà sono prove di scrittura, disiecta membra, nulla di più. Ma se queste piccole cose leggere e vaganti portano allegria, fanno ridere, sorridere, emozionare, fantasticare, allora, forse, sono sul cammino tracciato ben bene da altri!


GRF

Ilaria Solazzo

La pugliese Ilaria Solazzo risponde in pieno alla definizione di “multitasking”. Giovane donna, ha alle spalle mille differenti attività: la redazione di libri, una buona esperienza nel campo della grafica, la pubblicazione di vari testi e non solo! È anche appassionata di lettura (specie la fantascienza), moda, costume e poesia. È giornalista pubblicista, blogger… e tanto altro. Dal decennio di nascita - gli anni ‘80 - ha ereditato la passione per la televisione che, per lei, si incarna nel binomio Carrà/Cuccarini. Dinamica, professionale, seria, ama la vita a colori.

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