“L’istruttoria non ha consentito di acquisire elementi certi in ordine alla sussistenza del reato, e non può quindi affermarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, che sia stato effettivamente posto in essere un reato al quale l’imputato abbia partecipato”. È quanto scrivono i giudici della Corte di appello di Milano nella motivazione della sentenza con la quale hanno assolto il 45enne S.A., residente a Bovalino, dall’accusa di aver concorso con altri soggetti, mandati assolti, al fine di conseguire un ingiusto indennizzo per sé o per altri in danno a una compagnia nazionale di assicurazioni, con sede legale in Lombardia, falsamente denunciato un sinistro asseritamente avvenuto il 25 gennaio 2015 a San Luca.
La Corte meneghina ha ritenuto fondato il ricorso presentato dall’avvocato Antonio Femia, che non ha condiviso le conclusioni cui il giudice del primo grado è giunto per affermare la penale responsabilità del solo imputato, tenuto conto delle “discordanze in termini di ricostruzione del sinistro in esame” nonché “della circostanza che i soggetti e le autovetture coinvolte siano riconducibili a soggetti legati da vincoli famigliari”, mandando assolti dal reato gli altri due asseriti concorrenti “per non aver commesso il fatto”.
Su questi presupposti i giudici dell’appello hanno concluso ritenendo che: “In presenza di incertezze e contraddizione in ordine alla sussistenza del reato, la Corte riforma la sentenza impugnata mandando assolto l’imputato perché il fatto non sussiste”, valutando i motivi di appello attinenti al merito, sebbene in presenza dell’intervenuta prescrizione, essendo stata pronunciata in primo grado la condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile, che di conseguenza è stato escluso.
