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Costume e SocietàLetteratura

La prima notte di lavoro

Storie d’altri tempi


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Marco si era attrezzato con una di quelle chiavi antiche che gli permetteva di aprire il portone della corte. Per evitare che qualcuno notasse la bicicletta, decise di portarla in cantina. Una volta giù, costruì un soppalco con le botti di vino vuote che legò assieme per evitare di finire per terra.
Mancava una settimana al pagamento degli impiegati forestali, per l’occasione nella posta ci sarebbero stati circa 500.000.000. La cosa che lo allettava di più era che i soldi li portavano a mezzogiorno del venerdì e, di solito, si passava al pagamento degli impiegati la mattina del giorno dopo.
La coincidenza della festività del Santo Patrono e la domenica di mezzo gli dava la possibilità di avere a disposizione tre notti consecutive; perciò poteva fare tutto con molta calma. Una tale opportunità non si presentava tutti i giorni, tanto che prese la coincidenza come un segno divino.
Sotto l’influsso della positività, i suoi pensieri si concentrarono su come utilizzare il denaro. Marco aveva saputo, da fonte sicura, che i coniugi Giordano volevano vendere la gestione del Bar Tabacchi che avevano alla stazione ferroviaria, era un ottimo affare; i proprietari erano andati in pensione e i due figli si erano stabiliti a Roma, vincitori di concorso presso il Ministero della Difesa.
Al fine di acquisire la proprietà della concessione doveva corrispondere, ai coniugi Giordano, 50.000.000. Se tutto fosse andato come previsto, Fera si sarebbe ritrovato con 500.000.000 nel giro di una notte.
All’apparenza tutto si presentava facile, ma nella realtà tutto era ben diverso. Fera si pose la domanda di come avrebbe fatto a utilizzare il denaro senza attirare l’attenzione della gente e poi, a conseguenza delle delazioni, quella degli inquirenti.
Comprare il bar della stazione, dando ai coniugi Giordano i soldi in una sola tranche, significava prendere la borsa con gli indumenti intimi e presentarsi alla casa circondariale più vicina, evitando di recare fastidio alle autorità incaricate a eseguire il mandato d’arresto.
Avere tanti soldi a disposizione significava essere ricco, ma non libero di spenderli come meglio credeva.
Il povero Fera si rese conto della complessità della vita. Prese atto che doveva continuare a condurre lo stesso tenore di vita, senza eccedere nel parlare e nell’agire. Ogni cosa doveva essere fatta a suo tempo: bastava poco perché tutto andasse a finire in malora. Comunque, Fera disse a sé stesso: «Portiamoci i soldi a casa e poi se ne parla.»
Dato che si stava avvicinando l’ora di andare a dormire, controllò che la bici non avesse parti che facessero rumore e, dopo aver ingrassato i meccanismi dediti al movimento, prese la via del letto per riposare in attesa che la sveglia suonasse.
Fera si adagiò sul letto in cui una volta dormivano i suoi genitori. Il letto era in ferro e vi poggiavano degli assi di legno dallo spessore di quattro centimetri; per materasso vi era un grande sacco riempito di lana di pecora. La scarsa comodità era compensata dalla postura della schiena diritta. Quella notte Fera era così agitato che perfino il tic tac della sveglia gli dava fastidio. Si girava e rigirava, non riusciva a trovare la giusta posizione. Dopo un lungo peregrinare dei pensieri, il sonno s’impadronì di lui.
All’ora programmata, la sveglia fece sentire la sua voce. Fera allungò il braccio e schiacciò il pulsante e interruppe il fastidioso suono. Si girò di fianco e stava per essere soggiogato dal sonno; quando si ricordò del motivo per cui aveva messo la sveglia… si alzò di scatto e, tempo un attimo, infilò le brache, una maglietta a maniche corte e partì verso la destinazione.
L’ora e la luce fioca dei lampioni favorirono il suo cammino, tanto che nessuno si avvide del suo passaggio. Arrivato alla viuzza, scese e con passo felpato, dopo aver aperto il portone, entrò nel cortile e scese nella cantina della cugina Elisabetta.
Ogni piccolo rumore era amplificato dal silenzio della notte; Fera sapeva che aveva solo due ore prima che la gente si destasse dal sonno. L’orologio che portava al polso segnava le due di notte. Iniziò lentamente a liberare dalla calce i mattoni pieni della volta a botte.
Il tempo passò velocemente; a conferma della dinamica del flusso del tempo, le lancette dell’orologio erano posizionate sulla quarta ora del nuovo giorno. Doveva fare in fretta a prendere la via del ritorno, prima che qualcuno, svegliandosi, lo vedesse girare per strada. Se non avesse avuto in programma di compiere il furto alla posta, il fatto che i compaesani lo vedessero circolare a quell’ora insolita gli poteva importare tanto e niente. Ma il problema sarebbe potuto sorgere dopo il furto, quando le persone avrebbero incominciato a frugare nell’archivio della memoria, alla ricerca di particolari che sarebbero tornati utili per assicurare alla giustizia l’autore del furto.
Nel compiere l’operazione di rimozione dei mattoni, doveva stare attento a non produrre rumori tali da attirare l’attenzione della cugina Elisabetta.

Continua…


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