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Attualità

“Se non si elimina un concetto di virilità malsano i femminicidi continueranno a essere in ascesa”


Edil Merici

Di Maria Nirta – Avvocato del foro di Locri

Mercoledì 6 Settembre, 249º giorno dell’anno, si è registrato l’80º femminicidio del 2023: la statistica indica che ogni 3 giorni viene uccisa più di una donna e, purtroppo, la moda è in crescita.
Spesso le vittime avevano denunciato di aver subito violenze, stalking, era stato attivato il codice rosso ma niente e nessuno è stato in grado di proteggerle.
È di tutta evidenza che la tutela normativa è inefficace ed è spesso resa tale dalle lungaggini del sistema giudiziario (carenza dell’organico, trasferimenti dei magistrati), di precedenti giurisprudenziali vergognosi che ci hanno regalato massime quali quella famosa del 1999 per cui se la donna indossa i jeans non è possibile che sia stata stuprata, ad altra perla più recente dello “stupro impraticabile perché la ragazza sarebbe troppo brutta”, all’ultima cronometrica del Tribunale di Roma per cui “Sotto i dieci secondi non è molestia sessuale” e di un sistema culturale che non si occupa di prevenire e di educare. Il problema educativo è, a mio avviso, di fondamentale importanza quando si tratta di reati di genere. Femminicidi, stupri, violenze di genere vengono spesso trattati dai media in modo improprio. Quando si dice che il problema della violenza di genere è un problema maschile, si risponde spesso con lo slogan “not all men”, “non tutti gli uomini”: è una frase pregna di retorica usata spesso come giustificazione alle rivendicazioni femministe. È ovvio che non tutti gli uomini uccidano, siano stupratori, siano violenti, ma è indubbio che vige ancora oggi una cultura patriarcale per cui le donne sarebbero “un prodotto” fatto a uso e consumo degli uomini e ciò traspare nel linguaggio sessista, nelle molestie verbali, nella stereotipizzazione di genere che ha come scopo quello di silenziare e assoggettare il genere femminile; ed è questo un meccanismo che s’impara già dall’infanzia e nessuno a oggi si è sobbarcato il peso di sradicarlo.
Si continua a consigliare alle donne di imparare a proteggersi, a essere prudenti, a non ostentare la propria femminilità, a vestirsi e truccarsi “in modo adeguato” (dimenticando che spesso le vittime vengono uccise, ferite, violentate a casa propria), ma non s’insegna agli uomini il rispetto alla parità di genere.
Il recente Disegno Di Legge di contrasto alla violenza di genere proposto dal Governo è, a mio modesto avviso, un provvedimento parziale, che non sarà assolutamente in grado di arginare il problema. Vi troviamo una serie di provvedimenti già esistenti sul fronte della prevenzione quali il braccialetto elettronico, l’ammonimento e pene più severe per chi sia già stato ammonito in precedenza, la convocazione in questura, l’introduzione di una squadradi magistrati che si occupino esclusivamente delle violenza di genere e dei reati a essa connessi al fine di velocizzare i processi. Si annovera poi la misura della sorveglianza speciale non solo per le ipotesi di stalking e maltrattamento in famiglia ma anche per il revenge porn, il tentato omicidio, la deformazione permanente dell’aspetto che in genere deriva dalle aggressioni con l’acido. E poi, sul fronte della prevenzione e della formazione, una misura che mi lascia parecchio perplessa: il ministro Carlo Nordio propone di portare le donne vittime di violenza in carcere per testimoniare e far comprendere ai detenuti la “gravità fisica, morale e psicologica di questi comportamenti odiosi” (cito testualmente). Già il termine “odiosi” usato dal Ministro mi crea qualche preoccupazione perché più che di “comportamenti odiosi”si tratta di reati contro la persona e l’aggettivo “odioso” mi sembra assolutamente minimizzante. Vi è altro: “la vittima viene portata”: manca, dunque, ogni forma di autodeterminazione della donna, non si tiene conto della sua volontà e della sua sensibilità. Un DDL siffatto è purtroppo indicativo di una concezione di violenza di genere distorta e frutto di quella famosa cultura patriarcale e androcentrica che va assolutamente estirpata.
Questo DDL è, in realtà, un’occasione mancata: i lavori della Commissione sul femminicidio annunciati dall’esecutivo, in realtà, non sono mai partiti. La norma sull’arresto in flagranza differita per i reati di stalking e maltrattamenti in famiglia è assolutamente insufficiente nel momento in cui preveda che la misura possa essere possibile solo quando vi sia la prova documentale o telematica della realizzazione della condotta connessa ad attività persecutorie o alla violazione del divieto di avvicinamento alla vittima. Si lasciano così senza tutela situazioni in cui sia la donna a raccontare poche ore dopo o, magari, si rechi in ospedale e produca referto medico attestante la violenza subita: sarebbe stato opportuno che il legislatore prevedesse la possibilità dell’arresto in quasi flagranza sulla base di una gravità indiziaria al di là dei casi di pericolo di fuga.
Ma al di là delle critiche e alla necessità di creare una stretta sui colpevoli, è di tutta evidenza che serva un lavoro anche e soprattutto culturale, che aiuti a comprendere, a eliminare un concetto di virilità malsano, di una masconilità performativa che spesso sottende dinamiche di omertà e cameratismo che costuiscono il collante di queste storie di violenza. Senza uno sforzo in tal senso, non abbiamo speranza.


GRF

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