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Costume e SocietàLetteratura

Il ritorno alla routine

Storie d’altri tempi


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Il sibilo della fiamma irruppe nella stanza, le orecchie furono colpite dal fischio acuto della combustione della miscela ossigeno e acetilene; un sussulto, seguito da un brivido di paura, fece aumentare le pulsazioni del cuore di Marco fino a portarlo a spegnere la fiamma ossidrica. Dopo un paio di minuti per abbassare il livello dello stato di paura, prese un’altra sigaretta e l’accese con il mozzicone di quella che stava per finire. Doveva darsi una calmata. Il dubbio che qualcuno avesse sentito il secco sibilo della fiamma ossidrica lo angosciava paurosamente. Fu così che decise di scendere giù per andare a sincerarsi di come stavano realmente le cose nella corte. Tutto era in perfetto ordine, il silenzio regnava sovrano.
Una volta che si rese conto che lo spessore dei muri era tale da non permettere al sibilo della fiamma di propagarsi fuori, prese un fiammifero e riaccese il cannello. Doveva tagliare il sistema della serratura che chiudeva la cassaforte. La fiamma iniziò a bruciare il metallo che, scoppiettando, si propagava in giro per la stanza. Dopo dieci minuti, che a Marco sembrarono un’eternità, finalmente l’ultimo scoppiettio segnò la fine del taglio: la serratura era saltata, non doveva fare altro che sfilare i perni che bloccavano la porta della cassaforte.
Dentro trovò due sacchi pieni zeppi di mazzette da centomila lire. Buttò la sigaretta e ne prese quattro di quelle sottili che di solito fumavano le donne. Dalla tasca sinistra dei pantaloni prelevò un rossetto, tolse la protezione e lo passò sulle labbra. Fumò contemporaneamente le quattro sigarette e le gettò per terra. Con molta calma, come se fosse un professionista, smontò tutto, arrotolò i tubi nella stessa maniera di come li aveva portati e li calò giù. Si accertò di non aver lasciato nulla che potesse far risalire gli inquirenti alla sua persona; prese un laccio da una delle tante tasche dei pantaloni e legò i due sacchi in modo da formare una bisaccia che gettò giù dal foro di entrata. Un’ultima occhiata alla camera e scese, lasciandosi dietro la cassaforte aperta e otto mozziconi di sigarette. Prima di uscire legò le bombole sul portabagagli, smontò il soppalco e poi chiuse la porta della cantina con un pezzetto di laccio. Uscì dalla corte al terzo rintocco dell’orologio del campanile. Era in perfetto orario, tutto era andato come previsto. Adesso la fortuna doveva dargli una mano evitando di fargli fare incontri indesiderati. Andò a piedi per un paio di centinaia di metri in modo da osservare con attenzione se fosse stato visto da qualcuno. Una volta che tutto si presentò come sperato, salì sulla bicicletta e, favorito dalla pendenza della strada, arrivò a casa in pochi minuti.
Argo era lì ad aspettarlo, aveva intuito che l’amico stava compiendo qualcosa di straordinario, tanto da rimanere per tutto il tempo vicino al cancello ad aspettarlo. A Marco non restava altro che sistemare le cose in modo che, nel caso in cui ci fosse stata una perquisizione a casa sua, la refurtiva sarebbe rimasta al sicuro.
Tirate giù le due piccole bombole, assieme ai tubi e il cannello, nascose il tutto nella buca sotto uno strato di terra. Prese le tre damigiane di vetro e in ognuna mise 250.000.000. Una volta sigillate, le adagiò sopra lo strato di terra che copriva gli arnesi che gli erano serviti per tagliare il metallo. Dopo aver portato la terra a piano, sovrappose uno strato di ghiaietto e adagiò sopra la cuccia del cane. Argo, da quel momento, era diventato un Signor cane dalla casa dorata.
La curiosità di Marco lo portò a domandarsi che cosa avrebbe potuto sognare durante la notte l’amico Argo. Poteva fare solo delle supposizioni che, tuttavia, non avrebbero trovato sostegno in nessun modo. In ogni caso, di una cosa era certa: la povertà di Marco era finita.
Prima di addormentarsi programmò la sveglia dieci minuti prima del solito, doveva essere al Bar Carducci puntuale. All’ora programmata, il meccanismo della vecchia sveglia attivò la campanellina che destò Marco dal sonno.
Il cane, una volta uscito per fare i suoi bisogni ritornò in tutta fretta alla sua cuccia come se sapesse del suo nuovo compito di guardiano del tesoro. Marco lo guardò e si mise a ridere. Nel vedere il padrone ridere, anche Argo fece una smorfia come se volesse abbozzare un sorriso.
«L’ho sempre detto, ti manca solo la parola. Peccato…»disse Marco, rivolgendosi all’amico Argo.
Marco indossò i soliti jeans, una maglietta nera a maniche corte, infilò gli anfibi e andò nella baracca a prendere la moto. Un colpo secco sulla leva della messa in moto e partì in direzione del centro. Anche quella mattina fu puntuale al bar.
Ordinò un caffè e un cornetto e si mise seduto al solito posto, da dove poteva vedere l’ufficio postale.
Davanti al Bar Primavera c’era Teodora, come se aspettasse di vedere qualcuno passare. A un tratto, all’inizio del portico, comparve Mario. Teodora, nel vederlo, entrò nel bar e si mise seduta. Mario, varcata la soglia del locale, salutò i presenti.


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