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Costume e SocietàLetteratura

Il tacito testimone di ciò era avvenuto

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

«Ma questo non poteva bastare – proseguì Zaleuco. – Occorreva che agli occhi degli Dei, i Locresi dessero prova che un errore commesso non sarebbe stato giammai ripetuto. Costumi morigerati fanno un popolo. Una vita parca e senza lussi fortifica gli animi. Così abbiamo fatto. Dalle madri, dalla Donne delle Cento Case, abbiamo ricevuto il nome, per ricordare agli Dei che noi discendevamo da stirpe divina e oggi, siamo un popolo rispettato e temuto. Non è molto il tempo che è passato, per cui occorre adeguare le nostre leggi. Un popolo, una Pòlis, sono riconoscibili dagli altri popoli dai costumi che hanno e che tutti ricordano ed è troppo vicina la vergogna per non ricordare che il tradimento delle mogli che avevano i mariti in guerra da lungo tempo, generò figli di servi e di schiavi che costrinse i locresi a fuggire nottetempo e di fretta dalla amata Locri, patria di Oileo, guidati da una donna e da un capitano. Voi ricordate i racconti dei vostri padri sulla paura di essere raggiunti e trucidati, perché figli bastardi di donne adultere. Vi hanno raccontato della sete, della fame, della fatica che uomini e donne sopportavano sulle navi, e che cercavano una terra dove nessun greco ci fosse prima stato, dove nessuno sapesse chi eravamo e da dove venivamo. E oggi se abbiamo l’orgoglio di dire che siamo Locresi, e di Epizefiri, e che gli Spartani si sentono onorati di combattere al nostro fianco, oggi che nessuno osa ricordare le nostre origini, ebbene, tutto questo lo dobbiamo alle nostre leggi. Niente è eterno, neppure le leggi dettate da Minerva. Ma la nostra è una Polis nata da poco e poco basta per far rinnovare la antica vergogna. Dobbiamo rispettare le nostre leggi approvate e permanenti. Se ciascuno di noi penserà di poter acconciare una legge ad ogni sua esigenza, nessuna legge sarà abbastanza duratura da poter garantire l’ordine delle cose. Nessuna legge, che non sia duratura, sarà ricordata fuori dalla Polis da stranieri ammirati che grideranno al passaggio di un Locrese: “Solo a Locri la legge è certa”. Nessuna legge formerà il carattere dei giovani, alla cui vita la patria deve garantire certezze. Voi, o Chiloi, voi che rappresentate le certezze di Locri, voi giudicate se di certezze Locri può ancora vivere.»
Qui il Legislatore si fermò e non andò oltre. Se la perorazione della modifica di Tirso aveva avuto un grande impatto emotivo. La difesa di Zaleuco era improntata a una concretezza estrema. Non si allontanarono i Chiloi dall’Agorà. Ciascuno di loro si pronunciò liberamente sulle proposte, seppur nessuno commentasse la sua stessa decisione. Alla fine non un Aristos si pronunciò a favore di Tirso. La decisione dei Chiloi era certo fondata su convinzione della giustezza della legge, ma non fu estraneo il timore che incuteva Zaleuco. Solo sassolini neri nelle urne.
Agesidamo, che non si era mosso dal suo scranno, mentre tutti gli altri Chiloi stavano sempre in piedi, si rivolse a Tirso e disse:
«Tu la pena la conosci, tocca al Polemarco Zenone far rispettare le leggi locresi.»
Zenone, il Polemarco, si avvicinò a Tirso, che aveva accolto la decisione senza un cenno di disappunto e fece con la testa solo un lieve cenno di assenso. Si alzò dallo scranno da dove aveva sentito la perorazione di Zaleuco e con il cappio al collo e la corda nelle mani, seguito dal Magistrato, si portò sotto la forca. Qui vi era già Agesilao con un carro. Tirso salì agilmente sul carro e porse la cima della corda all’oplita, che salì sulla sponda e legò al palo posto di traverso ed appoggiato su altri due ben piantati. Non guardò nessuno Tirso se non la corda che dalla forca arrivava al suo collo. Agesilao scese dalla sponda del carro. Lentamente si avvicinò alle briglie del cavallo e rivolse lo sguardo al Polemarco, che fece cenno con la testa di procedere. Agesilao pian piano fece andare l’animale in avanti. Tirso non aspettò che il carro trascinasse il corpo, ma alla fine della corsa agilmente saltò. Nessun grido, nessun cenno di paura, ma il rumore di collo rotto e la lingua di fuori furono la sola manifestazione dell’uccisione del giovane. Solo il cappio stretto al collo e tirato su dalla corda fece spostare lo sguardo del giovane che era stato sempre verso il cielo a guardare il lastrico dell’Agorà.
Neppure un locrese gridò. Nessuno fece cenni di assenso o di approvazione. Un silenzio di tomba avvolse l’Agorà. Tutto ora sembrava già essere stato scritto prima e nessuna meraviglia poteva provocare l’evento. Il popolo Locrese fu solo tacito testimone di quello che era avvenuto. La sua parte era finita. Ora, ognuno poteva tornarsene a casa.

Foto: storicang.it


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