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Costume e SocietàLetteratura

La disperazione di Salvatore e la gioia di Mastro Marco

Storie d’altri tempi

Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Il fratello di Salvatore singhiozzando rispose: «È morto papà!»
A quelle parole seguì un lungo e sinistro silenzio. Nella camera si sentiva soltanto il fruscio delle ali di un’ape che cercava la via per uscire all’aperto.
Il silenzio fu rotto dall’urlo disperato di Salvatore e contestualmente ripresero a piangere tutti.
Salvatore si alzò di scatto e chiese com’era morto suo padre.
Alla domanda rispose il cugino: «Tuo padre stava sulla pianta di ulivo quando si è rotto il ramo. Nel cadere, si è fratturato l’osso del collo ed è morto sul colpo.»
Salvatore scese dal letto e si mise a correre per andare al podere dove avevano la piantagione di ulivo.
Il cugino e il fratello gli corsero dietro pregandolo di non andare. Non ci fu verso, Salvatore continuò a correre a schiatta di fegato.
In lontananza sentì il pianto straziante della madre. Un freddo polare gli pervase il corpo dai capelli alle unghie dei piedi, il cuore si fece sentire forte nei timpani e le gambe gli divennero molli, come la ricotta calda. Salvatore ebbe la sensazione come se il sangue stesse per gelargli nelle vene, fu così che, spinto dalla forza della disperazione, si buttò a terra e con il palmo delle mani si percuoteva la testa. Il cugino Salvatore e il fratello Paolo cercavano di trattenerlo, ma non ci riuscirono, i suoi movimenti erano animati dalla forza della disperazione. Venuto meno il dominio della ragione, prese il sopravvento la follia mescolata alla rabbia; Salvatore si alzò di scatto e partì correndo in direzione del pianto della madre. Quando arrivò in prossimità della madre, una visione orrenda si prestò ai suoi occhi: la povera donna era seduta per terra, i capelli sciolti e a mani chiuse si colpiva il petto. Il suo grido di dolore era accompagnato dal pianto disperato dei figli.
Il corpo inanimato del padre era piantonato dal maresciallo e da quattro Carabinieri in attesa che arrivasse il Pretore con il medico legale.
Remo, il fratello che veniva dopo di lui, cercava di trattenere la madre. Ogni tanto, spinto dal dolore, si alzava per andare a verificare se la morte del padre fosse realtà, oppure si trattasse del frutto di un terribile sogno. Tutte le volte, i militari si paravano davanti e gli bloccavano la strada. Distratti dall’azione di Remo, Salvatore corse e si fermò basito davanti al padre esanime. Il genitore aveva il volto sereno e gli occhi fissi sulla volta celeste, come se fosse incantato da una visione celestiale.
Il maresciallo, come istigato dalle anime dannate, afferrò Salvatore dal giubbotto e alzò il braccio per dargli uno schiaffo per quanto aveva fatto.
Il ragazzo alzò la testa e guardò il maresciallo, con gli occhi intrisi di lacrime come se volesse chiedere: “Perché mi vuoi picchiare?
Il maresciallo, rientrato nell’alveo della ragione, abbassò il braccio e con il palmo della mano, che stava per punirlo, gli accarezzò ripetutamente il capo: «Vai da tua madre. Non piangere, adesso tuo padre sta in paradiso!»
Le parole del sottoufficiale calmarono Salvatore che andò, rimesso, ad abbracciare la madre.
La fine del temporale riportò alla realtà Salvatore, fugandogli dalla mente, il triste ricordo.
Il ritorno al presente fece riflettere Salvatore sulle parole dette da mastro Peppe.
Nel frattempo a casa di Marco si erano tutti riuniti attorno al tavolo per sapere com’era andata la prima giornata di lavoro dopo l’aumento di grado. Tutti prestarono la dovuta attenzione, vollero sapere l’ebrezza che aveva provato quando aveva posato il primo mattone.
Marco era così emozionato che ebbe persino difficoltà a esporre la giornata lavorativa. Si fece coraggio e incominciò a rendere edotti i presenti.
Il nonno ascoltava, con vivo interesse, il racconto del nipote, quando fece capolino in lui il ricordo di quando nutriva il desiderio d’imparare l’arte del muratore, ma a conseguenza della morte prematura del padre si era ritrovato a portare avanti la famiglia con il lavoro dei campi.
Nel vedere rendersi concreto un suo sogno, da quella sera chiamò il nipote “Mastro Marco”.
Sopraffatto dalla stanchezza, Marco si scusò e andò a letto.
In seno all’organizzazione famiglia i compiti erano ormai tracciati: il padre, oltre alla falegnameria, con la madre si occupava del podere, Marco andava a lavorare con mastro Filippo e la sorella frequentava la scuola elementare; mentre Marco il vecchio faceva il nonno.
Sul lavoro, la squadra era bene affiatata; i giorni andarono via con straordinaria velocità, fino al giorno che mastro Filippo convocò Marco per ufficializzargli che dal giorno successivo avrebbe percepito 20.500 ₤ al mese.
Mastro Filippo lo raccomandò dicendo: «Continua così e vedrai che tra un paio di anni porterai a casa lo stipendio di un muratore finito.»
Giunto al cancello che delimitava la casa dalla strada, trovò il nonno seduto sotto il portico sulla solita vecchia sedia; era intento a guardare le montagne. I suoi occhi scrutavano il paesaggio come se volessero animare ricordi addormentati dal tempo, come l’ultimo giro dell’eco in una valle angusta.

Continua…

Foto: diocesi.torino.it

Redazione

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