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Costume e Società

La divisione dei poteri

Le riflessioni del centro studi

Di Stefania Mantelli – Avvocato Foro di Catanzaro

“Esistono, in ogni Stato, tre sorte di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile … Quest’ultimo potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’altro, semplicemente esecutivo dello Stato. Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per attuarle tirannicamente. Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni e quello di giudicare i delitti e le liti dei privati.
Il concetto di tripartizione del potere elaborata da Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, sebbene non sistematico, né originale, poiché il principio della divisione dei poteri viene fatto risalire a Locke, è alla base del costituzionalismo moderno, quale materiale vivo di elaborazione dei principi costitutivi dello Stato di diritto, come oggi lo conosciamo e senza i quali le Istituzioni occidentali non avrebbero potuto avere la forma che hanno, né l’ordinamento essere improntato a principi di libertà. Ma si suole far risalire a Montesquieu non solo il concetto di separazione bilanciata dei poteri, bensì anche l’idea di rappresentanza politica, laddove scrive “poiché in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia spirito libero deve governare da sé medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé”.
Al filosofo francese si attribuisce il merito di aver operato una profonda e compiuta riflessione sul potere e su come esso debba essere ripartito per evitare forme degenerative. Tale elaborazione partiva dal concepire un potere controbilanciato dallo stesso potere e quindi un potere non concentrato nelle mani del sovrano, ma suddiviso secondo le funzioni del legiferare, del governare e del rendere giustizia. Solo così, a parere del filosofo, ciascuno di questi poteri potrà essere controllato e quindi frenato dagli altri due poteri, garantendo un equilibrio tra le parti. E quindi, per usare le parole del giurista Gaetano Silvestri, già presidente della Corte Costituzionale, la separazione dei poteri è garanzia di indipendenza e di controllo reciproco tra gli stessi, poiché lo Stato di diritto per essere effettivo deve avere come pilastri la separazione dei poteri, il principio di legalità e garantire la contemporanea difesa di libertà e uguaglianza. Ma vi è qualcosa di ancora più pregnante nella concezione teorica attribuita a Montesquieu e cioè che essa si fonda su una certa idea del diritto, basata sulla concezione giusnaturalistica, in quanto il diritto non può limitarsi ad essere semplice forma della norma, quale espressione della volontà legislativa, e questo perché esistono leggi superiori e primordiali. Nel saggio Lo spirito delle leggi, infatti, il barone de Secondat, rammenta l’antica sapienza dei padri della civiltà giuridica a garanzia della libertà contro la schiavitù e dello Stato di diritto come argine al dispotismo “prima di tutte queste leggi vi sono quelle di natura, così chiamate perché derivano unicamente dalla costituzione dell’essere nostro”, ragion per cui il diritto positivo non può prescindere da esse, trattandosi di regole che ciascuna società e civiltà deve osservare, se vuole rimanere salda ed evitare la dissoluzione. Vi è quindi da chiedersi, sempre che aderiamo ad una visione giusnaturalistica del diritto, se la schizofrenica normazione, vieppiù nei periodi di emergenza, sia stata in grado di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e di non intaccare i diritti naturali, imprescindibili e immodificabili dal diritto positivo, o se per caso essi siano stati traditi anche dal mancato rispetto del principio di separazione dei poteri, davanti alle sempre più frequenti ingerenze tra un potere e l’altro.

Continua…

Foto: salto.bz

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