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Costume e Società

Annalisa Costanzo: «Sogno di raccontare una Locride libera»

Le accomuna quell’insaziabile ricerca della verità. Lo stesso desiderio di volerla mettere a nudo, senza più alcun filtro, nell’esposizione al giudizio degli altri. Sono Annalisa Costanzo e Simona Musco, giornaliste della Locride che, attraverso la loro penna offrono, oramai da anni, un’impeccabile informazione ai propri lettori. Hanno praticato la propria professione su diverse testate giornalistiche, condividendone anche qualcuna insieme come Calabria Ora, Il Garantista e Cronache delle Calabrie. La vita ha poi fatto loro intraprendere nuovi percorsi lavorativi, separando le proprie strade senza mai però dividere il rapporto instaurato nel tempo. Entrambe, sono state formate da una Calabria che ha saputo far emergere le loro migliori capacità comunicative, persino quelle più nascoste. Annalisa e Simona, credono fermamente nella potenza delle storie, tanto da riuscire a raccontarle come se volessero farle vivere anche a chi non ne ha mai sentito parlare prima.
A differenza della cronista Simona, Annalisa prosegue ancora ben salda nel suo territorio con Il Quotidiano del Sud e l’abbiamo incontrata per parlare con lei delle mille sfaccettature del mondo del giornalismo nel nostro territorio in occasione della Giornata Internazionale della Donna.
In che modo hai conosciuto Simona? Cosa pensi di lei? C’è un ricordo simpatico, legato al mondo del giornalismo, che avete condiviso?
La Musco, la chiamo così, è una professionista di quelle vere, che fa il suo lavoro con dedizione e onestà, e poi è una persona dal cuore immenso, sempre pronta a sacrificarsi in nome di un’amicizia. Ama il giornalismo e lo si nota dai suoi articoli, sempre perfetti, che coinvolgono il lettore appassionandolo alla lettura della notizia. Ha uno stile di scrittura diverso dal cliché. È uno stile che spicca e che riuscirei a riconoscere tra mille altre firme. Simona è Giornalista. E, no, con lei non è stata simpatia a prima vista. È arrivata dopo a Calabria Ora e dava la sensazione che si atteggiasse. Eravamo però entrambe condizionate nel giudizio. Credo che la forza della nostra amicizia stia proprio nel fatto che è nata e si è trasformata nel tempo. Con la Musco non siamo per quel tipo di amiche che si creano dal nulla o, peggio, per interesse e poi svaniscono come un niente. Un ricordo simpatico? Tanti. Lavorare in redazione ti porta a dover condividere la stessa stanza, tutti i giorni, per più di sette ore al giorno. E noi, tra le tante,ci eravamo messe in testa di cambiare il design la nostra redazione. In tutto questo ci trasformavamo anche in giornaliste sotto copertura per cercare di raccontare le ingiustizie subite delle fasce più deboli. Eravamo delle folli alla ricerca della notizia con il sogno di aiutare la propria terra.
Quando hai scoperto che avresti voluto diventare giornalista?
Qualche anno fa, guardando nel cassetto delle foto di famiglia, abbiamo trovato una fotografia, nella parte posteriore c’era scritto: “Quando sarò grande, io scriverò sul giornale”. Avevo messo anche la firma e la data. A cinque anni avevo quindi già questa malattia.
Un consiglio che daresti alla te più giovane e ancora troppo spaesata, mentre si incammina sul sentiero del giornalismo.
Ho avuto la fortuna di entrare nel mondo del giornalismo in modo del tutto naturale, non mi sono mai sentita spaesata, anche perché avevo la mia famiglia e dei saggi giornalisti a cui chiedere consiglio. Alla piccola me direi di fare come ha fatto: essere sempre rispettosa della propria persona, dell’essere donna, della notizia e del lettore. Magari, le direi di cercare di mascherare la timidezza e l’insicurezza con un muro meno rigido e di apparente antipatia. E poi di leggere, leggere tanto.
In un’intervista, come ci si approccia a un pensiero totalmente diverso dal tuo?
Io cerco di eliminare i miei pensieri e le mie opinioni. Parto dal presupposto che al lettore non interessi la mia opinione, bensì quella dell’intervistato o che la notizia racconta. Ricordo a me stessa di essere una cronista, non un’opinionista. Ci sono luoghi e tempi giusti in cui anche un giornalista può e deve per dire la propria opinione e battersi per le proprie idee. Questo luogo per me non deve essere l’articolo di cronaca, qualsiasi essa sia, compresa quella politica.
Cosa significa oggi fare la cronista in Calabria?
Ho iniziato a scrivere per una testata nazionale e non ho visto molta differenza rispetto al resto d’Italia, dipende tutto da come si sceglie di lavorare. Secondo me bisogna essere onesti e rispettosi dei lettori e delle persone e dei luoghi di cui si scrive. Non essere asserviti ma lavorare con libertà e senza condizionamenti, il proprio lavoro nel rispetto di tutti. E questo, si può fare anche in Calabria. Basta volerlo. Ovvio, ci sono parecchie difficoltà e figure che non vorrebbero una stampa libera ma è come in altri luoghi d’Italia. Purtroppo una differenza che ho riscontrato da noi è la mentalità di una (ormai fortunatamente minima) parte di cittadinanza (e non per forza intendo quella prettamente maschile) che vede la donna giornalista e, ancor peggio quella cronista e sportiva, come una figura non consona.
Qual è la qualità dell’informazione che abbiamo nella Locride?
Da migliorare. Negli anni abbiamo perso delle penne pregiate che avevano ancora tanto da insegnarci. Intendo quelli che battevano gli articoli con la macchina da scrivere o quando la notizia arrivava a tarda sera la dettavano al giornale dalla cabina telefonica. Avevano quel qualcosa in più che oggi servirebbe. A livello di qualità, negli ultimi anni, la Locride si è vista privata di giornalisti come Ilario Filippone e Pasquale Violi, delle rare eccellenze e firme fenomenali. Lavorare al loro fianco era come vivere dentro un sogno. Purtroppo non tutti viviamo il giornalismo con la stessa libertà, etica, morale e rispetto per i lettori, per la notizia e per i colleghi, e il giornalismo risente di tutto questo. Tali elementi, però, sono per fortuna in netta minoranza, quindi c’è un buon margine di miglioramento.
C’è un motivo per cui te ne andresti da questo territorio, e uno che, invece, ti convince a restare?
Fino ad oggi ho scelto di restare per la famiglia e l’amore per la nostra terra ,così bistrattata ma così dannatamente splendida. Ho avuto la chiamata fuori regione ma, forse, temo di perdere la passione di raccontare. Economicamente parlando, non si sbarca il lunario andando altrove, quindi quando ho dovuto, ho scelto il cuore. C’è da dire anche che, dopo la chiusura del mio giornale, sono stata subito contattata e poi contrattualizzata da una testata giornalistica seria, quindi non mi sono neppure pentita. Uno motivo invece per il quale andrei fuori regione è proprio per quella piccola parte della mia gente che giudica le giornaliste che fanno cronaca o calcio. In passato ho silenziosamente sofferto molto per questo, e neppure oggi mi lascia sempre e completamente indifferente.
C’è una tematica che preferisci affrontare nei tuoi pezzi?
Mi piacciono le inchieste e raccontare le storie della nostra terra. Le storie di coloro che vengono reputati gli ultimi, di chi subisce ingiustizie, di chi si vede i diritti negati, di chi soffre, ma anche di chi gioisce. C’è sempre la speranza che un articolo possa contribuire nel riconoscimento di un diritto o migliorare qualcosa.
Qual è la notizia più bella che hai dato ai tuoi lettori e quella che non avresti mai voluto raccontare?
San Luca tentava di uscire dai anni bui e Calabria Ora mi diede l’opportunità di andare a Roma per seguire la rinascita del paese attraverso un tour dei bambini di San Luca. Ero l’unica calabrese a raccontare come la Capitale si alzava in piedi con entusiasmo per applaudire lo spettacolo teatrale dei nostri piccoli. Due serate in cui il teatro Tor Bella Monaca fece il tutto esaurito con standing ovation finale per i bambini di San Luca che, sotto la direzione artistica di Michele Placido, portavano in scena Il gabbiano Jonathan Livingston, la storia di un gabbiano che, nella difficoltà e con grande abnegazione, impara a volare e vivere, riscattandosi da chi non credeva nelle sue capacità. Ci sono state altre belle notizie da dare, ma questa ha avuto concretamente il sapore della speranza, della rivalsa e della rinascita. Quelle che non si vorrebbe dare sono quelle dove c’è dolore e sofferenza. È impossibile riuscire a restare distaccati davanti alla morte e in generale al dolore altrui, qualsiasi esso sia. Ricordo di tutti gli incidenti stradali mortali, le morti per malattia, gli omicidi di cui, purtroppo, ho dovuto scrivere negli anni e, seppur non conoscevo quelle persone, i loro nomi mi sono rimasti nel cuore. Mi è impossibile eliminare dal cuore il dolore disumano che si percepisce nei luoghi di sofferenza e difficoltà.
Se potessi tornare indietro nel tempo, c’è qualcosa che non faresti nel tuo percorso giornalistico?
Di recente ho saputo che qualche mio articolo, scritto nella buona fede della notizia, ha invece ferito la dignità altrui. Ecco, avendo preso coscienza di ciò, cercherei sicuramente di analizzare meglio quelle notizie prodotte da alcune note stampa.
Giuseppe Fava affermava: “Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!” Cosa pensi di questa dichiarazione?
Che dovrebbe essere il punto cardine di ogni giornalista. Dovrebbe essere la normalità del fare di tutti, un obbligo morale oltreché deontologico.
Per sentirti veramente completa dal punto di vista professionale, c’è ancora qualcosa che vorresti realizzare?
Migliorarmi e ritrovare la determinazione che avevo qualche anno fa nel fare questo lavoro. Mi reputo, però, abbastanza fortunata: sono riuscita a realizzare il mio sogno andando anche ben oltre quel che sognavo. Ho scritto di tutto. Adesso mi manca soltanto di scrivere di una Calabria e di una Locride finalmente sviluppati e liberi. Vorrei scrivere di inaugurazioni di grandi arterie stradali e linee ferroviarie, di multinazionali che decidono di portare le loro sedi operative in Calabria, di ospedali vacanti per mancanza di malattie, ma dotati di attrezzature ospedaliere all’avanguardia e che entrano anche pienamente in funzione se necessario. Scrivere di queste realizzazioni mi farebbe sentire soddisfatta oltre che una cittadina felice.

Carmen Nicita

Nata sotto un gelido freddo di febbraio. Pungente, a volte, tanto quanto quell'aria invernale. Testarda. Solitaria. Taciturna. Ama perdersi nei dettagli, anche quelli apparentemente più insignificanti. Quelli che in silenzio, in un piccolo angolo in disparte, sperano ancora di poter esser notati da qualcuno. Ama rifugiarsi nella scrittura, poiché è l'unica in grado di osservare ogni minima cosa. La sola in grado di conoscerla fino in fondo.

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