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“Un cuore in fondo al mare”: il romanzo che ci insegna a spezzare le catene dell’anima

Stefania Panetta è una ragazza semplice che, come lei stessa ammette, “vive dei suoi amici libri e della sua cara amica scrittura”, si dedica alla famiglia, ama la musica e il teatro. Vive a Siderno, e nel 2019 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio Un cuore in fondo al mare, edito da Città del Sole Edizioni.
In 136 pagine, l’opera si pone l’obiettivo di evidenziare le problematiche relative alla violenza di genere. La protagonista è Elena, una donna che troppo presto ha dovuto scontrarsi con le difficoltà della vita e ha vissuto sulla sua pelle cosa significa amare un uomo aggressivo, incapace di ricambiare i sentimenti in modo sano ed equilibrato. La giovane ripone tutte le sue speranze sul figlio Gioacchino e insieme provano a ricostruire il proprio futuro.
Quando è nata l’idea di realizzare Un cuore in fondo al mare?
Per gioco ho iniziato a scrivere una storia e, una volta terminata, l’avevo abbandonata dentro un cassetto. Ero triste a causa di un episodio che mi ha portato a vivere da vicino il dolore e la sofferenza. Un giorno ho deciso di uscire per svagarmi un po’ e sono andata a visitare una nuova libreria, da poco aperta nel mio paese. Subito mi è venuto incontro un signore sorridente che mi ha accolta facendomi sentire a casa. Ho scoperto che si occupava di pubblicare manoscritti inediti e gli ho affidato il mio per esaminarlo. Ero molto scettica ma, dopo qualche tempo, tornata in libreria, l’uomo mi ha rassicurata e mi ha detto che avevo talento, e ha messo in evidenza alcune lacune dell’opera. Inizialmente ho provato una forte delusione, ma poi ho capito che aveva ragione: nel mio libro mancava l’anima dei personaggi. Mi sono messa al lavoro e, dopo aver fatto rileggere il testo al mio amico, abbiamo deciso di inviarlo a una casa editrice. Dopo poche settimane mi è arrivata la telefonata che tanto aspettavo: la Casa Editrice aveva deciso di pubblicare il manoscritto! Quasi non ci credevo, stava avvenendo qualcosa di meraviglioso, nella mia vita! Era la rivincita sui momenti difficili che avevo vissuto, qualcosa finalmente stava cambiando.
Elena, la protagonista, subisce il fascino del proprio professore, se ne innamora e intreccia con lui una relazione. Inizialmente non avverte i segnali di un affetto patologico. Secondo te perché?
È vero, inizialmente Elena non avverte l’affetto del professore come patologico, perché mentalmente è presa dai suoi studi, e si lascia trascinare dall’amore per la conoscenza. La donna non mette in conto i suoi sentimenti, e gli sguardi insistenti di lui nei suoi confronti le fanno scattare dentro una molla che le fa pensare che per la prima volta qualcuno la desideri e l’accetti per come si presenta, ignara di ciò che il destino ha in serbo per lei.
Più in generale da dove deriva l’incapacità di notare da subito quando qualcosa nelle relazioni non va come dovrebbe? Quanto influisce l’educazione famigliare e quanto invece la società?
Credo che quando si ama, come nel caso di Elena, è difficile accettare che proprio colui a cui hai dato il tuo amore, la tua fiducia, il tuo essere, ti possa deludere. Ti convinci che con il tuo comportamento, il tuo carattere e soprattutto con il tuo amore, puoi cambiare la persona che ti vive accanto e renderla migliore. L’ educazione famigliare e l’influenza della società hanno una grande rilevanza: il carattere inizialmente si costruisce grazie ai valori che la nostra famiglia ci trasmette e poi grazie alla relazione con gli altri. A poco a poco ci rendiamo conto che non tutti la pensano allo stesso modo, che ciascuno di noi ha delle opinioni completamente diverse: questo è il bello della vita, la diversità nel pensiero, sempre nel rispetto e nell’accettazione dell’opinione altrui.
C’è qualcosa di te nella protagonista?
Senza dubbio credo che ogni scrittore lasci sempre qualche traccia di sé nei suoi personaggi. Elena è un personaggio che amo ma, nel momento in cui ho pubblicato il libro, ho dovuto abbandonarlo. Non apparteneva più a me mai ai lettori.
Qual è il messaggio che vuoi veicolare con la tua opera?
Ogni donna che silenziosamente è vittima di violenza fisica, psicologica o subisce il ricatto economico, non deve essere schiacciata dalla morsa dell’abuso, ma deve avere il coraggio di denunciare, per poter riacquisire la propria libertà. Elena dice: «Le vere catene sono quelle dentro la nostra anima, sta noi spezzarle per essere libere e felici.»
Sei al lavoro per scrivere un altro romanzo?
Sto lavorando a un nuovo romanzo, che affronterà un tema alquanto scottante. Per adesso non posso rivelare niente, ma mi auguro di fare al più presto questo regalo ai lettori.

Foto: dreamstime.com

Anastasia Cicciarello

Nata a Locri nel 1990, membro effettivo della Millennials Generation, ha iniziato a scrivere prima sui muri con i pastelli, poi a scuola, dove ha incanalato la sua passione e non si è più fermata. Le piace viaggiare ma adora allo stesso modo la strada del ritorno, la bellezza dolorosa e fragile della sua terra. Abita ad Ardore, la cui posizione invidiabile le fa iniziare ogni giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno. Il bisogno di dire la sua l’ha condotta alla finale del concorso AttiveMenti con il racconto “La necessità del superfluo”, a scrivere “Il dolore non mi fa più paura” per la casa editrice Guthenberg e a collaborare con varie testate come hermesmagazine.it

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