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Costume e SocietàLetteratura

Una notte insonne e un viaggio sulla Trabant

Stasi IV - Dopo una notte trascorsa alla finestra a osservare la costruzione del Muro di Berlino, l’imprenditore calabrese Francesco Rossi si reca all’appuntamento con il responsabile per il commercio estero Klöden, che lo invita per un pranzo in un’abitazione poco fuori città…

Di Francesco Cesare Strangio

Mentre il muro veniva eretto sotto i suoi occhi sbalorditi, l’angoscia saliva come la marea sotto l’influsso della luna piena. Erano momenti incomprensibili e tragici. Si domandava, in modo assillante, se avesse avuto più la possibilità di oltrepassare i Cavalli di Frisia che ostacolavano il passaggio verso Occidente.
Erano tanti i pensieri che gli oscuravano sempre di più la mente. Nei suoi ricordi si animò l’immagine dei suoi dipendenti che se la stavano spassando al mare con i propri famigliari. Lui, invece, sudava freddo per la paura che lo attanagliava come in una morsa di forza infinita. In quegli attimi, l’uomo fu posto davanti allo specchio delle proprie paure e delle sue debolezze.
Soggiogato dalla paura di non vedere più i suoi cari, la mente perse il controllo sulle gambe, che iniziarono a tremare come attraversate da una leggera corrente elettrica.
Un nodo angosciante gli strinse la gola limitando il naturale passaggio dell’aria.
Il rumore dei martelli pneumatici, con l’avanzare della notte, si fece più assordante. In quella situazione, una parola di troppo e un’uscita dall’albergo sarebbe potuta costargli la vita. Era una situazione estrema, così com’era terribilmente esplosiva quella mondiale.
Berlino era la capitale della Guerra Fredda per antonomasia. Inglesi, americani, francesi e sovietici erano lì, pronti allo scontro. Bastava poco o niente per scatenare un conflitto nucleare.
I lavori continuarono ininterrottamente per tutta la notte. Per tutto quel tempo Francesco Rossi non chiuse occhio; il suo sistema nervoso fu messo a dura prova, tant’è che verso le prime luci dell’alba la stanchezza lo piegò e i suoi occhi si chiusero.
Erano le undici, quando sentì bussare ripetutamente alla porta. Non aveva neppure la forza di alzarsi. Dopo tanta insistenza riuscì aa tirarsi su e mosse verso la porta. Aprendo si trovò di fronte il volto scarnito del dipendente dell’albergo, che gli riferì che nella hall c’era un signore che lo attendeva.
Si preparò velocemente, nel frattempo riordinò le idee e pensò a cosa avrebbe dovuto dire quando sarebbero arrivati al nocciolo della questione.
Non doveva dimostrare né paura, né fretta né tantomeno sbracamento assecondando tutte le richieste della controparte.
Far capire a Klöden che non vedeva l’ora di oltrepassare il confine avrebbe potuto essere sconveniente e inadeguato, se non addirittura pericoloso per la sua stessa incolumità.
Quando Rossi arrivò nella hall, vide Klöden accompagnato da una donna bionda sui trent’anni con un fisico asciutto e dagli occhi color cielo.
Klöden fece le presentazioni parlando un italiano forzato. Poi prese la parola la donna di nome Barbara; parlava un italiano perfetto, tant’è che lo stesso Rossi fu portato a domandarle come mai parlava l’italiano in modo così esemplare.
Barbara gli rispose che sua madre era una bergamasca e che lei stessa aveva frequentato molto l’Italia in quanto si recava spesso a Bergamo, dove risiedevano i fratelli di sua madre.
Rossi fu come rassicurato dalla presenza di Barbara, sentiva che poteva fidarsi. Il fatto stesso che la madre di quella donna era una bergamasca, per lui, fu fonte di garanzia.
La donna gli riferì che a Klöden avrebbe fatto cosa gradita se avesse accettato di pranzare a casa sua.
Rossi le chiese se lei sarebbe stata presente e dove si trovava la casa di Klöden.
La donna rispose che lei sarebbe stata sempre presente, poiché le sue mansioni erano indispensabili per via della sua conoscenza della lingua italiana e che la casa di Klöden era poco oltre Berlino.
Rossi, sentendo che Barbara faceva parte integrante della compagnia, accettò ben volentieri.
Partirono con un’autovettura che faceva un rumore simile a quello di un trattore; ogni cinquecento metri doveva rallentare per farsi riconoscere dai posti di blocco istituiti lungo le strade.
All’uscita della città i posti di blocco svanirono come per incanto.
La Trabant iniziò a sfrecciare, lungo una strada diritta, come un proiettile sparato da un Kalashnikov.
La Trabant era un’automobile prodotta dalla casa automobilistica VEB Sachsenring Automobilwerk Zwickau; fu progettata e messa in produzione negli anni ’50.
Dopo circa sette chilometri il cartello indicava il nome di un paese che Rossi non fece in tempo a leggere. Era il tipico insediamento urbano costruito sul modello della logica architettonica comunista; traeva la sua tipologia dalla metodologia razionalista fondata in Germania da Walter Gropius. La Trabant percorse pochi isolati di palazzi che si ergevano alti nel cielo, ripetendo lo stesso ordine come delle fotocopie.
Arrivarono a una villetta isolata che poteva avere uno sviluppo in pianta di oltre duecento metri quadri.
Rossi si rese conto che non si trattava della casa di Klöden né di Barbara. Capì di essere arrivato nella casa di chi poteva osare.
Il cancello fu aperto da una donna che teneva il comportamento di una governante.
A Rossi venne spontaneo pensare: “Alla faccia del socialismo.”
Furono fatti accomodare nel salotto, e lì Rossi notò l’armonia che regnava tra l’arredamento e i dipinti appesi sulle pareti. Tutto seguiva una metrica precisione dettata dal buon gusto.
Gli venne da pensare che chi abitasse in quella casa sicuramente non era gente di poco conto in seno al regime, né tantomeno sul piano intellettuale. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo…

Foto: wikimedia.org

Redazione

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