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Petrol-Mafie S.p.A.: i dettagli dell’operazione che ha smascherato una frode di quasi un miliardo

L’integrazione delle mafie nel mercato delle imprese è un processo emerso da tempo nelle più importanti indagini sulla criminalità organizzata, tanto che ormai è divenuto sistematico e globale il riciclaggio di denaro, frutto di traffici illeciti, non solo nell’economia legale per ripulirlo, ma anche nell’economia criminale per produrre ulteriori proventi illeciti, in questo caso attraverso frodi fiscali nel settore degli oli minerali.
Le frodi nel settore degli oli minerali sono sempre più spesso oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica, soprattutto per gli importi milionari sottratti a tassazione. Tuttavia, quest’ultimo sembrava finora un campo criminale riservato a specialisti delle cartiere e delle frodi carosello, non necessariamente legati a clan della criminalità organizzata.
Ne è derivata una nefasta sinergia tra mafie e colletti bianchi, senza l’apporto dei quali le prime ben difficilmente avrebbero potuto far fruttare al massimo quel tipo di frodi fiscali.
L’operazione Petrol-mafie S.p.A. rappresenta l’epilogo di indagini condotte su una duplice direttrice investigativa dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro, con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di Eurojust, che hanno fatto emergere la gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome.
Sul campo oltre mille militari dei rispettivi Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria e del Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza, nonché, su Catanzaro, del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri. Mentre sul fronte camorristico risulta la centralità del clan Moccia nel controllo delle frodi negli oli minerali oggetto delle misure odierne, sul versante della ‘ndrangheta i clan coinvolti sono Piromalli, Cataldo, Labate, Pelle e Italiano nel reggino e Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani a Catanzaro.

Le indagini sulla ‘ndrangheta: DDA Catanzaro

Sul versante delle indagini sulla ‘ndrangheta, l’indagine, avviata nel giugno 2018 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, Direzione Distrettuale Antimafia, quale naturale prosecuzione dell’operazione Rinascita-Scott, si è incentrata sulle figure di taluni imprenditori vibonesi, attivi nel settore del commercio di carburanti, ritenuti espressione della cosca Mancuso di Limbadi, nonché collegati alle articolazioni ‘ndranghetistiche sia della Provincia di Vibo Valentia (Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani) sia del reggino (cosca Piromalli, cosca Italiano di Delianuova, cosca Pelle di San Luca).
In particolare, sono stati accertati due sistemi di frode, riguardanti il commercio del gasolio, attraverso il coinvolgimento di 12 società, 5 depositi di carburante e 37 distributori stradali, elaborati, organizzati e messi in atto proprio dagli indagati.
La lunga attività investigativa ha fatto emergere gravi indizi a carico di soggetti mafiosi che, grazie alla collaborazione di imprenditori titolari e gestori di attività economiche ubicate in Sicilia, operanti nel medesimo settore, avrebbero costituito, organizzato e diretto un’associazione per delinquere, con base in Vibo Valentia, finalizzata alla evasione dell’IVA e delle accise su prodotti petroliferi.
L’associazione avrebbe commesso innumerevoli reati fiscali ed economici: contrabbando di prodotti petroliferi, l’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’interposizione di società cartiere, la contraffazione e l’utilizzo di Documenti di Accompagnamento Semplificati, il riciclaggio, il reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, l’auto-riciclaggio, il trasferimento fraudolento di valori e altri.
Il sistema di frode consisteva nell’importazione, perlopiù dall’est-Europa, di prodotti petroliferi artefatti (miscele) e oli lubrificanti, successivamente immessi in commercio come gasolio per autotrazione, con conseguenti cospicui guadagni dovuti al differente livello di imposizione. I prodotti venivano quindi trasportati, con documentazione di accompagnamento falsa, presso i siti di stoccaggio nella disponibilità dell’associazione, ubicati in Maierato (VV) e Santa Venerina (CT), pronti per essere immessi sul mercato (sia fatturato che completamente in nero) come gasolio per autotrazione, categoria merceologica di maggiore valore, soggetta ad un’accisa superiore, con notevole margine di guadagno.
In tal modo, dal 2018 al 2019, sono stati movimentati circa 6.000.000 di litri di gasolio per autotrazione di provenienza illecita, cui corrisponde un’evasione di accisa pari a Euro 5.766.018,60. Inoltre, sono stati accertati episodi di omessa dichiarazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto, con un’evasione pari a Euro 661.237,86, di emissione di fatture per operazioni inesistenti per euro 1.764.022,27, nonché di omesso versamento di IVA per Euro 1.729.586.
Altra tipologia di frode, riconducibile a una seconda associazione per delinquere, contemplava lo strumentale ricorso al deposito fiscale romano dalla società Made Petrol Italia S.r.l. e sarebbe stataanch’essa promossa e organizzata a Vibo Valentia, con il contributo dei medesimi imprenditori vibonesi e con la partecipazione di indagati (soprattutto) romani e napoletani – a loro volta intranei ad associazioni camorristiche napoletane.
In questo caso, gli associati acquistavano, dal suddetto deposito, ingenti quantitativi di prodotto petrolifero, formalmente riportato sui documenti come gasolio agricolo e, quindi, soggetto ad imposizione di favore, movimentando in realtà vero e proprio gasolio per autotrazione, con consistente fraudolento risparmio di spesa ed elevatissimi margini di guadagno.
Ancora una volta, i sodali perseguivano l’obiettivo di evadere le imposte e, quindi, di lucrare illecitamente su tali commerci, emettendo fatture per operazioni inesistenti, simulando la titolarità/gestione di società cartiere in capo terzi, utilizzando documentazione mendace, riciclando/reimpiegando, in attività economiche, denaro provento di attività illecita e così via.
Anche in questo ulteriore canale di contrabbando, peraltro, è risultata coinvolta una compagine catanese, facente capo a soggetti già implicati in precedenti attività investigative, quali imprenditori di riferimento delle famiglie mafiose di Catania dei clan Mazzei e Pillera.
In concreto, negli anni 2018 e 2019, mediante il citato sistema illecito, sono stati movimentati, rispettivamente, oltre 2.400.000 litri e oltre 1.900.000 litri di prodotto petrolifero, con un’evasione di accisa per Euro 1.862.669,29 e un’evasione di IVA per Euro 618.589,68 per omessa dichiarazione, oltre all’emissione di fatture per operazioni inesistenti per Euro 249.826,97.
In tale frangente, inoltre, sarebbe emerso il solido collegamento tra i prevenuti vibonesi e i gestori di un deposito fiscale, sito in Locri, ove i sodali campani e siciliani avevano interesse ad avviare stabili commerci, al fine di sviluppare ulteriori e parimenti remunerative forme di frode.
Nella rete di contrabbando di prodotti petroliferi e conseguente riciclaggio, poi, gravi indizi convergono sul coinvolgimento anche di esponenti di primo piano della cosca Mancuso, quali gestori (seppure per interposta persona) di impianti di distribuzione di carburante.
Ulteriore conferma della diffusività del fenomeno criminale investigato e della capacità di propagazione dello stesso si rinvengono nel segmento investigativo che ha messo in luce il tentativo, sempre ad opera degli imprenditori vibonesi, congiuntamente agli esponenti apicali della famiglia Mancuso, di aprire nuovi canali di importazione di carburante direttamente in Calabria, mediante l’avvio di trattative col rappresentante di un importante gruppo petrolifero internazionale, appositamente giunto in Calabria.
È stato possibile, infatti, monitorare l’incontro, tra tutti i predetti, nel corso del quale si trattava della realizzazione di un ambizioso progetto ingegneristico e commerciale, consistente nella realizzazione di un deposito fiscale-costiero di prodotti petroliferi, nell’area industriale di Portosalvo (VV), da collegare, attraverso una condotta sottomarina, a una grande cisterna galleggiante, da collocare al largo della costa vibonese.
In ultimo, ma non meno rilevante, l’indagine ha permesso di far luce sugli interessi della criminalità organizzata vibonese nel settore edile, nel quale sono forti gli indizi del totale controllo mafioso, da parte delle maggiori consorterie attive sul territorio (Mancuso, Bonavota, Fiarè-Razionale-Gasparro, Anello), soprattutto nelle forniture di calcestruzzo, per i maggiori cantieri all’opera nel territorio della provincia di Vibo Valentia.

Le indagini sulla ‘ndrangheta: DDA Reggio Calabria.

A Reggio Calabria, poi, sempre oggi, sono giunte a epilogo complesse indagini condotte dal Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria e dal Servizio Centrale d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata di Roma, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, che hanno riguardato una struttura organizzata, attiva nel commercio di prodotti petroliferi, gravemente indiziata di aver utilizzato sistemi di frode allo scopo principale di evadere le imposte, in modo fraudolento e sistematico, attraverso l’emissione e l’utilizzo (improprio) delle cosiddette Dichiarazioni di Intento, sotto la direzione strategica di un commercialista e con la compiacenza di soggetti esercenti depositi fiscali e commerciali, con un controllo capillare dell’organizzazione criminale di tutta la filiera della distribuzione del prodotto petrolifero, dal deposito fiscale ai distributori stradali.
Le investigazioni puntavano a far emergere gli interessi della ‘ndrangheta, della mafia siciliana e della camorra, nella gestione del business del commercio di prodotti petroliferi sull’intero territorio nazionale.
Tra i principali membri apicali del sodalizio spiccano:

  • Vincenzo Ruggiero, classe 1935 e Gianfranco Ruggiero, classe 1961, espressione imprenditoriale della cosca di ‘ndrangheta Piromalli operante nel mandamento tirrenico della provinciale di Reggio Calabria e, segnatamente, nel locale di Gioia Tauro;
  • Giovanni Camastra, classe 1964 e Domenico Camastra, classe 1971 e le entità giuridiche agli stessi riconducibili, espressione imprenditoriale della cosca di ‘ndrangheta Cataldo, operante nel mandamento ionico della provinciale di Reggio Calabria e, segnatamente, nel locale di Locri; gli stessi sono stati, nel tempo, anche al servizio di varie cosche di ‘ndrangheta (Pelle di San Luca, Aquino di Gioiosa Ionica, Cordì di Locri e Ficara-Latella di Reggio Calabria);
  • Giuseppe Del Lorenzo, classe 1975, contiguo alla cosca Labate dominante nella zona sud di Reggio Calabria.

Le società investigate (cartiere), affermando fraudolentemente di possedere tutti i requisiti richiesti al fine di poter beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa di settore, presentavano alla Italpetroli S.p.A. di Locri,volano della frode, la relativa dichiarazione di intento per l’acquisto di prodotto petrolifero senza l’applicazione dell’IVA; il prodotto così acquistato, a seguito di diversi (e cartolari) passaggi societari, veniva poi ceduto, a prezzi concorrenziali, a individuati clienti. In sostanza:

  • la frode si innescava attraverso le forniture di prodotto (in regime di non imponibilità) effettuate dal deposito fiscale (nonché deposito IVA), consapevole e promotore del sistema fraudolento; l’acquisto veniva effettuato, senza applicazione dell’IVA, da imprese cartiere che, prive dei requisiti richiesti dalla normativa di settore per assumere la qualifica di esportatore abituale, presentavano false dichiarazioni d’intento; tali operatori, formalmente amministrati da prestanome nullatenenti, erano riconducibili e gestiti direttamente dall’organizzazione criminale;
  • le società “cartiere”, attraverso brokeroperanti sul territorio calabrese, campano e siciliano, vendevano ai clienti finali a prezzi assolutamente concorrenziali, al di sotto del valore di mercato, sfruttando indebitamente il vantaggio economico dell’IVA non versata.

In merito, l’organizzazione investigata, a seguito di un controllo fiscale nei confronti dell’Italpetroli S.p.A., ha adottato una serie di accorgimenti che hanno portato ad un mutamento del sistema fraudolento optando per la drastica soluzione di omettere il versamento dell’imposta sul valore aggiunto e sulle accise e, di conseguenza, mandare il deposito definitivamente in default.
Nel corso delle indagini è stato ricostruito:

  • un giro di false fatturazioni per un ammontare imponibile complessivo pari a oltre 600 milioni di Euro e IVA dovuta pari ad oltre 130 milioni di Euro;
  • l’omesso versamento di accise per circa 31 milioni di Euro;al riguardo le investigazioni hanno consentito di accertare che i membri del sodalizio, nella fase di default, formavano e trasmettevano all’Agenzia delle Dogane un fittizio (con attestazione falsa di pagato) modello F24 attestante il pagamento delle accise dovute dalla Italpetroli S.p.A. per il mese di marzo 2019 (per un importo di circa 11 milioni di Euro) col duplice fine di scongiurare eventuali controlli da parte dell’Amministrazione Finanziaria e, di conseguenza, proseguire con il disegno illecito.

Nel mese di maggio del 2019,a riscontro all’attività investigativa,è statasequestrata la somma contante di 1.086.380 Euro, occultata all’interno di un’autovettura appositamente modificata per l’occultamento e il trasporto della valuta.
I proventi illeciti, così ripartiti dai membri dell’organizzazione, sarebbero stati in quota parte, reinvestiti nel medesimo circuito criminale e/o impiegati in altre attività finanziarie/imprenditoriali così determinando un giro di riciclaggio/autoriciclaggio, per un importo complessivo pari ad oltre 173 milioni di Euro; quota parte di detto importo (pari a oltre 41 milioni di Euro) veniva riciclato su conti correnti esteri riconducibili a società di comodo bulgare, rumene, croate e ungheresi, per poi rientrare nella disponibilità dell’organizzazione medesima.

Redazione

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