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Attualità

La terra in cui il giornalismo è più minacciato che altrove

Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, in cui viene evidenziata l’importanza della libertà di espressione e viene ricordato ai governi il dovere di sostenere l’informazione. Tuttavia, per la nostra regione questa data rappresenta anche un importante momento di riflessione. Secondo una ricerca dell’Istituto Demoskopika, infatti, la Calabria detiene un tristissimo record: ogni 1.000 giornalisti iscritti all’Albo, ben 34 vengono minacciati. Questo dato sconfortante non fa altro che evidenziare l’impossibilità di un’intera categoria di far valere il pensiero indipendente e di fornire un servizio quanto più trasparente ed efficiente. Si tratta di un vero e proprio campanello di allarme, sintomatico dei seri condizionamenti di cui è vittima la nostra terra e che si ripercuote in tutti i settori sociali e politici. Ma cosa significa davvero fare giornalismo in Calabria? Ne ho parlato con Gianluca Albanese, giornalista pubblicista che opera nel settore da più di vent’anni e dirige il quotidiano della Locride Lente Locale.
Mi parli del percorso che ti ha portato fino a qui?
Ho sempre avuto la passione per il giornalismo e per la scrittura, ma faccio parte di una delle ultime generazioni nate quando ancora non esisteva il digitale. Quando ero giovane le opportunità erano molto scarse. Nel 1988, l’estate in cui mi sono diplomato, grazie alla mediazione di mio padre, ho ottenuto un colloquio con Walter Pedullà, di origini sidernesi, all’epoca presidente della RAI. Alla mia richiesta di consigli, lui ha risposto con una frase che ancora ricordo bene. “Vuoi fare il giornalista? Allora, tanto per cominciare, trova un lavoro”. Una frase del genere, detta a un ragazzino fresco di diploma, sembrava avesse l’obiettivo di inibire più che quello di consigliare. In realtà cercava di mettermi in guardia affinché non mi illudessi di fare il giornalista come lavoro principale, perché già allora era difficile. Non c’erano ancora quotidiani locali e l’unico punto di riferimento era la Gazzetta del Sud. Quindi, per vedere la mia firma su un giornale, ho dovuto aspettare fino ai 25 anni, quando si è presentata l’occasione di scrivere un pezzo sportivo per un settimanale free press. Poi, quasi in maniera fortuita, ho iniziato il mio percorso: prima ho lavorato per l’emittente locale Radio Roccella, ho collaborato con alcuni quotidiani e con la televisione. La vera svolta è arrivata nel 2006, grazia a Calabria Ora: i giornali hanno iniziato a investire sulle redazioni decentrate, per radicarsi meglio sul territorio. I fondatori hanno costruito da zero la rete di collaboratori e redattori. È stato il primo lavoro dentro una redazione vera e propria, e il confronto quotidiano con professionisti più esperti ha costituito una svolta dal punto di vista formativo. Ho imparato tantissime cose in quegli anni e sono uscito dalla nicchia dello sport che cominciava a starmi stretta. Nel 2012 ho scelto di andare via e ho creato la testata che dirigo attualmente. Da qualche mese collaboro con Calabria News, una testata regionale.
Dopo il periodo di gavetta giovanile, com’è stato impattare con la professione vera e propria nella redazione di Calabria Ora?
La mia personalissima esperienza è stata positiva: il direttore dell’epoca era Paride Leporace che, assieme al caporedattore, ha individuato tre figure fondamentali per ogni redazione. Io ero tra queste. Dopodiché, ci ha lasciato ampio margine di scelta per gli altri collaboratori esterni. Quindi abbiamo costruito noi stessi e il nostro ambiente lavorativo.
Che mi dici della libertà di espressione all’epoca del tuo esordio lavorativo? Avevate direttive molto rigide?
Eravamo liberi ma chiaramente non c’era il libero arbitrio. Nel senso che ovviamente eravamo seguiti. Avevamo, come è giusto, l’obbligo di separare i fatti dalle opinioni personali. Questo è un principio fondamentale del giornalismo, ma non sempre viene rispettato.
Oggi il digitale la fa da padrone: Internet aiuta il giornalismo o c’è un surplus di informazioni?
Può aiutare se fatto secondo criterio. Sembra banale, ma è necessario essere sempre professionali e meticolosi.
Parliamo della ricerca dell’Istituto Demoskopika, che mette la Calabria sul podio per quanto riguarda le minacce ai giornalisti. Sei mai stato tu stesso vittima di intimidazioni?
La minaccia non è rappresentata solo dai bossoli che ti arrivano per posta. Esistono anche forme di pressione più subdole, che hanno un paravento di legalità ma che in realtà sono uno strumento di controllo del potere. Mi è successo spesso che l’Amministratore di turno che non voleva che si scrivessero certe cose chiamasse la redazione per fare pressioni. Ho ricevuto le prime querele già agli inizi. Avevo un blog, una sorta di sfogatoio in cui scrivevo tutto quello che non potevo pubblicare sul giornale, e in seguito a un commento non mio sulla maggioranza dell’epoca, sono stato querelato dalla Polizia Postale. Dopo due settimane, il Pubblico Ministero ha archiviato tutto. Questi atti di arroganza lasciano il tempo che trovano, anzi alla fine hanno un effetto boomerang e si ritorcono su chi li compie.
C’è solidarietà tra i professionisti calabresi?
La solidarietà c’è, anche perché costa poco. La solidarietà si manifesta con vicinanza vera, lealtà e collaborazione nel rapporto quotidiano. Nel mio caso, dico la verità, dopo un primo tentennamento, ho trovato sempre chi ha fatto quadrato intorno a me.
Il giornalismo calabrese risente delle dinamiche politiche e sociali locali?
Ci sarebbe tanto da dire su questo. Chi fa giornalismo dovrebbe essere slegato dalle dinamiche politiche e non dovrebbe diventare portavoce di un singolo pensiero, di un unico punto di vista. Il giornalista deve misurarsi con la politica nel suo complesso, in modo imparziale, perché le cariche elettive vanno e vengono, ma la persona con il suo bagaglio professionale e la sua credibilità resta. Non bisogna mostrare segni di debolezza e divenire manovrabili. Ciò non sempre avviene. C’è di fatto uno scontro generazionale, tra la casta composta dai giornalisti del passato e la nuova generazione attuale, molto più formata, con un percorso universitario ad hoc, che accede al professionismo perché ci crede.
Cosa consigli ai giovani che vogliono accedere alla professione?
Consiglio di imparare dagli errori, di ascoltare chi queste cose le ha passate prima, e di ricordarsi i principi fondamentali del giornalismo.

Foto: rsi.ch

Anastasia Cicciarello

Nata a Locri nel 1990, membro effettivo della Millennials Generation, ha iniziato a scrivere prima sui muri con i pastelli, poi a scuola, dove ha incanalato la sua passione e non si è più fermata. Le piace viaggiare ma adora allo stesso modo la strada del ritorno, la bellezza dolorosa e fragile della sua terra. Abita ad Ardore, la cui posizione invidiabile le fa iniziare ogni giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno. Il bisogno di dire la sua l’ha condotta alla finale del concorso AttiveMenti con il racconto “La necessità del superfluo”, a scrivere “Il dolore non mi fa più paura” per la casa editrice Guthenberg e a collaborare con varie testate come hermesmagazine.it

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