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Costume e SocietàLetteratura

Ore di angoscia lungo la frontiera

Di Francesco Cesare Strangio

Circa un’ora e mezza dopo aver lasciato la stazione di servizio e aver ripreso il viaggio, Francesco Rossi, convinto che l’auto che gli aveva dato l’impressione di seguirlo fosse solo frutto della sua suggestione, sentì crollargli il mondo addosso; quel senso di liberazione era finito: l’auto comparve, nel retrovisore, come un immenso ciclone nero. Avevano ripreso a seguirlo.
La sua Alfa Romeo GTV aumentò l’andatura tanto da superare i 170 km/h. L’auto nera svanì dal retrovisore.
Rossi rifletté un attimo e si rese conto di aver preso una decisione inconsulta, tanto da portarlo ad abbassare la velocità di quasi la metà. Lui non aveva commesso nessuna infrazione delle leggi tedesche, né tantomeno atti tali da farlo inquadrare come spia al soldo dell’Oriente.
L’unico peccato, se di colpa si sarebbe trattata, era la sua appartenenza alla Massoneria; ciò non implicava nessuna irregolarità per l’Occidente; se mai sarebbe potuto essere un punto a suo svantaggio nei confronti del sistema totalitario Orientale. L’organizzazione, che aveva come simbolo la squadra e il compasso, non era tollerata né dall’Unione Sovietica, né degli stati satelliti. Era vista come un tarlo che poteva danneggiare il Socialismo.
Una sagoma indistinta di probabile colore nero iniziò lentamente a materializzarsi nello specchietto retrovisore. Con il passare del tempo si confermò essere la macchina nera che lo seguiva sin da quando era uscito dalla concessionaria dell’Alfa. A quel punto non gli restava altro che stare al gioco.
Il sole tiepido del tardo pomeriggio, invece di dargli conforto lungo la via, gli sembrava sgradevole e beffardo; un chilometro dopo l’altro finalmente apparvero i segnali che indicavano la frontiera Austriaca. Andava così assottigliandosi la distanza con la frontiera italiana. Il passo del Brennero era distante poco più di tre ore. Una volta lì, sarebbe stato in Italia.
Casualmente Rossi era entrato a far parte di quel gruppo di persone da tenere sotto stretta osservazione dall’Intelligence Occidentale.
Dopo il confine tedesco, un’altra auto continuò a seguirlo. Era chiaro ormai che avrebbe percorso la strada di casa in compagnia. Rifletteva in merito ai sacrifici che affrontava quotidianamente e si domandava se ne valesse la pena.
Quella nuova presenza inquietante gli fece tornare alla mente le parole di sua sorella, un’insegnante che amava condurre una vita tranquilla, senza strappi o sussulti che ne turbassero la quiete famigliare. Lui non la vedeva alla stessa maniera, amava il rischio poiché lo faceva sentire vivo.
I pedinatori cambiarono tattica: quando lui si fermava presso i rifornitori loro sostavano nell’isola di parcheggio successiva; una volta superati, ripartivano e riprendevano l’inseguimento.
Erano le otto di sera quando mancavano ancora pochi chilometri al confine italiano.
Mezz’ora dopo, finalmente, il suolo della patria.
La macchina era sempre lì, onnipresente, attaccata come l’ombra alla sua fonte in un giorno di sole splendente. Il cuore pulsava con battiti decisi, il sangue affluiva al cervello ricco d’ossigeno, in un attimo Rossi decise di affondare l’acceleratore e la GTV abbassò la parte posteriore e nel frattempo sollevò il muso. Pochi secondi e il canto del motore portò il contachilometri a segnare 220 km/h, il vento infieriva sugli spigoli della carrozzeria emettendo un fischio simile a quello degli aerei in volo. L’auto penetrava l’aria con forza e agilità, tanto da sembrare un ghepardo all’inseguimento della preda.
Gli inseguitori, malgrado avessero spinto sul pedale dell’acceleratore, svanirono come neve al sole. Non vedendo più l’auto venirgli dietro, abbassò la velocità fino a portarla vicino ai 150. A quella velocità di crociera, Rossi si mise a pensare se gli tornasse o no utile scrollarsi di dosso quelle zecche. Seminarli serviva solo a rinviare il problema, aumentando i sospetti sulla sua attività a Berlino Est.
Ricordò quello che gli diceva sua madre: «Figlio, ricorda che quando si presenta un problema, la miglior cosa è affrontarlo solertemente, senza indugiare.»
Il ricordo di quelle parole lo portò a desistere dall’intento di seminarli. La vista del benzinaio lo indusse a fare una sosta per un caffè all’italiana, anche se non aveva nulla a che vedere con quello che faceva con la sua moca.
Dal bar guardava fuori per vedere se arrivassero i pedinatori; quando a un tratto li vide passare a velocità sostenuta. Salì in macchina e partì a grande velocità. Il motore della sua Alfa suonava una musica che solo gli amatori potevano capire e apprezzare. Tempo cinque minuti li superò, passandogli a dieci centimetri della fiancata. L’alta velocità della sua vettura provocò una sbandata alla Mercedes dei pedinatori; per poi mettersi davanti e farsi seguire comodamente fino al parcheggio della sede della Naxos S.r.l.
Gli inseguitori parcheggiarono la macchina a poca distanza e seguirono le mosse di Rossi.
Scese dall’autovettura portandosi dietro la valigetta in cui teneva i vari documenti che avevano firmato a Berlino, e varcò il portone del palazzo, dove c’erano al primo piano gli uffici della Naxos S.r.l. Poco dopo, scese per andare a casa.
Abitava al secondo piano in un appartamento di Corso Buenos Aires, al civico nº 150/b.
Una volta dentro casa si recò alla finestra, con fare furtivo, e vide la Mercedes parcheggiata dall’altra parte della strada.

Foto: urbanfile.org

Redazione

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