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Costume e Società

Tommaso Campanella e il monito al cittadino che si reca alle urne

Di Samuele D. Manganaro

Il 21 maggio 1639 moriva Tommaso Campanella, filosofo originario di Stilo. In occasione di questa data, vediamo alcuni punti fondamentali della storia e del pensiero di questo filosofo, che possono offrirci grandi insegnamenti ancora attuali dopo secoli. Tommaso Campanella lottò per il bene di una conoscenza vera e libera dal pregiudizio, ma ad ostacolarlo c’era la Chiesa, che lo incarcerò e torturò per 27 anni a causa delle sue tesi rivoluzionarie. Nonostante ciò il filosofo non si arrese mai, resistette a tutto ciò che l’inquisizione aveva in serbo per lui e, quando fu liberato, si spostò in Francia, dove poté finalmente pubblicare le sue opere. Queste gesta gridano un messaggio all’umanità intera: “Lottate per il bene della verità e non arrendetevi mai”. Oltre alla sua grande perseveranza, Campanella aveva un’enorme sete di conoscenza a mandarlo avanti in quelle condizioni atroci; voglia di sapere che è rappresentata perfettamente dalla prima strofa della poesia Anima Immortale:

Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro
tanto, che quanti libri tiene il mondo
non saziar l’appetito mio profondo
quanto ho mangiato, e del digiun pur moro.

In questa strofa, Campanella afferma che la sua conoscenza è così poca da poter esser racchiusa dentro un pugno e che ne cerca così avidamente dell’altra che nemmeno tutti i libri del mondo possono saziar la sua fame di sapere. Conclude dicendo di aver già imparato tanto (“quanto ho mangiato”), ma che gli sembra di non aver ancora conosciuto nulla, come se avesse digiunato. Davanti a questa strofa è chiaro l’insegnamento che il filosofo può trasmetterci: continuare a imparare sempre di più, senza mai essere soddisfatti, per poter costantemente migliorare noi stessi.
Campanella può dare anche una grande lezione dal punto di vista politico: egli sosteneva infatti la Repubblica in uno scenario europeo di monarchie e analizzava il problema dell’ereditarietà del trono nelle prime due strofe della poesia Non è re chi ha regno, ma chi sa reggere:

Chi pennelli have, e colori, ed a caso
pinge, imbrattando le mura e le carte,
pittor non è; ma chi possede l’arte,
benché non abbia inchiostri, penne e vaso.

Né frate fan cocolle e capo raso.
Re non è dunque chi ha gran regno e parte,
ma chi è tutto Gesù, Pallade e Marte,
benché sia schiavo o figlio di bastaso.

In questi versi, il filosofo afferma che, come il pittore è chi sa dipingere (“chi possede l’arte”) e non chi ha gli strumenti per farlo e come il vero frate non è chi ha l’abito e la testa rasata, anche il re (per estensione: il politico) non è chi ha il regno (oggi diremmo la poltrona) ma chi sa essere buono e amorevole come Gesù, intelligente, saggio e astuto come la dea Atena e chi è combattivo come Marte, il dio della guerra, indipendentemente dalla sua condizione sociale o famiglia di provenienza. Un grande spunto di riflessione per il cittadino che si dirige alle urne per votare.
Tommaso Campanella ha saputo leggere la realtà dai suoi tempi fino ai giorni nostri, un pensatore come pochi, di cui la Calabria non può che essere orgogliosa di vantare i natali.

Foto: periodicodaily.com

Redazione

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