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Attualità

La Valle del Torbido fu l’avamposto repubblicano nella Calabria pro-monarchia

Di Davide Codespoti

Il 2 giugno in Italia si celebra la Festa della Repubblica, nata per commemorare la nascita della Repubblica italiana, sorta sulle ceneri della Resistenza partigiana, attraverso un referendum istituzionale per scegliere se mantenere l’istituto monarchico oppure dare una forma repubblicana al nuovo Stato.
La consultazione referendaria, vero e proprio bagno di democrazia dopo circa venti anni di dittatura, fu fortemente voluta dai partiti antifascisti, che vedevano la marchia sabauda troppo compromessa con il passato regime fascista. Il 9 maggio 1946, in un estremo quanto tardivo tentativo di salvare la dinastia, Vittorio Emanuele III di Savoia abdicò in favore del figlio Umberto II, partendo per l’esilio in Egitto, dove sarebbe morto dopo un anno.
Compito principale del nuovo sovrano, passato alla storia come Re di maggio per aver governato appena un mese, fu quello di promuovere un’immagine nuova dell’istituto monarchico, compiendo diversi viaggi elettorali per tutto il Paese al fine di far conoscere la sua figura. Se al Nord l’accoglienza fu piuttosto fredda, se non ostile, al Sud Umberto ricevette numerose attestazioni di accoglienza e di affetto.
Tuttavia, più che sul carisma del sovrano, la tenuta della monarchia era data in Italia da una spaccatura interna della Democrazia Cristiana sulla questione istituzionale, in quanto dentro il partito di Alcide De Gasperi, erano molto forti le correnti conservatrici e monarchiche, seppur minoritarie. Per questo motivo i democristiani non tennero un atteggiamento unitario nella competizione referendaria, svoltasi il 2 giugno 1946, al contrario degli altri partiti, che scesero in campo o per la Repubblica (comunisti e socialisti) o per la Monarchia (liberali e monarchici). L’esito del referendum mostrò una chiara spaccatura geopolitica della penisola: se nelle regioni centro-settentrionali aveva prevalso nettamente la Repubblica, che all’esito della votazione ottenne, in tutta la Penisola 12.717.923 voti e il 54% delle preferenze, al Sud, invece, la maggioranza dell’elettorato optò per la Monarchia, che si accaparrò 10.719.284 suffragi e il 45% dei consensi.

La Calabria, come il resto del Mezzogiorno, non fece eccezione: la Repubblica aveva preso 338.959 voti, pari al 39% delle preferenze, mentre la Monarchia ne ottenne 514.344, corrispondenti al 60% dei consensi. Non mancarono tuttavia delle eccezioni, anche clamorose: se nella provincia di Reggio Calabria, su 94 comuni, solo in 13 aveva vinto la Repubblica, nella Vallata del Torbido e in quella del Novito il dato è in controtendenza, poiché la Repubblica ottenne la maggioranza dei consensi a Gioiosa Jonica, Mammola, Grotteria, San Giovanni di Gerace, Siderno, Agnana Calabra e Canolo. A Siderno e a Gioiosa Jonica la Repubblica ottenne il 65% dei consensi, mentre fu plebiscitario il voto pro-Monarchia a Stilo (97%) e a Camini (92%).
Anche nei comuni della provincia di Crotone ci fu un trionfo della Repubblica, che infatti prevalse sulla Monarchia su 21 dei 25 comuni, con Crotone in testa: solamente Crucoli, Roccabernarda, San Mauro Marchesato e Umbriatico votarono per la Monarchia. Questo dato fu in controtendenza con le altre province calabresi, dove vinse la Monarchia.
Contemporaneamente al referendum, si svolsero le elezioni per l’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto redigere la nuova Costituzione repubblicana, in sostituzione dell’ottocentesco Statuto Albertino: stravinse la DC con il 48% dei consensi, seguita dai socialisti con il 21% e i comunisti con il 19%. Dopo la proclamazione dei risultati, il 10 giugno 1946, dalla Corte di Cassazione, De Gasperi assunse provvisoriamente le funzioni di Capo dello Stato, mentre tre giorni dopo Umberto II lasciò l’Italia e partì per un volontario esilio in Portogallo. Infine, il 18 giugno 1946, la Corte di Cassazione confermò i risultati definitivi, sancendo la vittoria della Repubblica.
Oggi più che mai non bisogna dare per scontato quel risultato referendario, che vide la partecipazione di quasi tutta la popolazione italiana (si sfiorò il 90% dell’affluenza), incluse le donne. La democrazia è fragile e bisogna fare di tutto per preservarla, se non si vuole rendere vano quel vero e proprio bagno di folla che portò gli Italiani a decidere il proprio destino, reso possibile dalla lotta al nazifascismo.

Redazione

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