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Attualità

Nessuno si salva da solo

Di Maria Concetta Valotta

Alla fine le divergenze sui temi ostici relativi ai flussi migratori sono stati determinanti per la rottura delle lunghe trattative in atto da anni, tra la Confederazione Svizzera e l’Unione Europea, tendenti a stabilire accordi per una circolazione regolamentata degli extracomunitari anche nei territori dei cantoni.
Non è un episodio raffrontabile per impatto e implicazioni politiche alla Brexit anglosassone, ma è l’ennesimo indizio che i particolarismi storicamente noti persistono nel tempo e poco ci manca che si arrivi a dichiarare apertamente Cicero pro domo sua.
Il governo elvetico, il 26 maggio scorso, ha deciso, quindi di interrompere dopo sette anni di rimandi e rinvii, il negoziato con il parlamento di Bruxelles di importanza, oseremmo dire, vitale. Diversi sono le motivazioni di base, individuabili principalmente nella forma mentis Svizzera, da sempre refrattaria a qualsiasi, anche parziale, rinuncia alla propria sovranità, in special modo su alcuni temi considerati da sempre fondamentali per la concezione autarchica dello Stato transalpino, tra cui quelli relativi alla complessa e disarticolata gestione europea dell’immigrazione.
Come si sa, la Svizzera non è mai entrata effettivamente a far parte dell’UE, anche se i rapporti tra il governo federale elvetico e la commissione europea sono regolati da diversi specifici accordi e Berna, in alcuni casi, ha aderito a trattati in vigore anche nel rimanente territorio comunitario, come il trattato di Schengen.
Gli accordi specifici, però, non hanno mai garantito intesa e uniformità di vedute nelle relazioni tra le due parti. Nello specifico, a proposito della vexata questio dei migranti, nel 2014 era stato avviato un negoziato tra il governo svizzero e le apposite commissioni parlamentari comunitarie: l’obiettivo era giungere, nel giro di poco tempo, ad accordi organici capaci di regolamentare alcune tra le tematiche più spinose, tuttora insolute, riguardanti soluzioni condivise da adottare sull’intero territorio europeo, senza alcuna soluzione di continuità.
L’adesione della Svizzera al mercato comune europeo, d’altro canto, è una condizione ormai radicata, che però non influisce soltanto nella sfera meramente economica: Avere dei rapporti privilegiati con un’area ampia di libero scambio, quale quella europea, vuol dire anche indirizzare le proprie normative sociali verso una maggiore libertà di circolazione di mezzi e persone, tra i cantoni e il resto del continente.
«Quanto alla libera circolazione dei cittadini UE il governo svizzero ha chiesto, ma non ottenuto, che l’accettazione della direttiva europea in materia, fosse accompagnata da alcune eccezioni – si legge in un comunicato di Guy Parmelin, capo del Consiglio Federale Svizzero, – senza le quali il Governo di Berna, vedrebbe negative implicazioni concernenti molteplici altri diritti applicabili alle persone che beneficiassero della libera circolazione, destinati a gravare in ultima analisi, sui costi non trascurabili dell’assistenza sociale.”
Il riferimento è sempre diretto alla gestione del fenomeno migratorio: “Il recepimento integrale – continua infatti la nota, – equivarrebbe di fatto a un cambio di paradigma della politica migratoria, che gode di ampia accettazione tra la popolazione e i Cantoni.”
In poche parole, se la Svizzera avesse recepito senza eccezioni le normative europee sulla libera circolazione, allora avrebbe dovuto attuare le stesse politiche migratorie in vigore nel territorio comunitario. E quindi aprire i propri confini anche ai migranti regolari, oppure a quelli irregolari se, come appare probabile, a Bruxelles dovesse passare la linea della ricollocazione obbligatoria per chi sbarca nei Paesi di primo approdo.
Da qui il rifiuto della Svizzera di andare avanti con le trattative, abbandonando il tavolo di negoziato con l’UE. Ovviamente a pesare su questa scelta non ci sono soltanto le politiche migratorie. Berna infatti vuole mantenere i propri paletti anche sulla libera circolazione dei cittadini UE provenienti da Paesi a basso reddito. Il concetto espresso dalle autorità elvetiche è molto chiaro: senza il controllo sulla libertà di circolazione, il rischio è quello di pagare dei costi sociali ed economici molto importanti.
Sotto il profilo politico, per Bruxelles si tratta di un’altra importante sconfitta, poiché dopo la Brexit, un altro Paese, seppur non membro, ha deciso di non allentare la propria sovranità particolaristica, soprattutto su temi ritenuti di pregnante interesse nazionale. Segno di come la scia del referendum inglese del 2016 è ancora ben presente e incide pesantemente nell’atteggiamento mentale e politico, all’interno dell’opinione pubblica del Vecchio Continente.

Redazione

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