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Mimmo Femia e quel “posto sicuro” che ci aiuta a riflettere sulla violenza di genere

Mimmo Femia è un geometra in pensione che vive a Gerace. La sua istruzione tecnica, tuttavia, non gli ha impedito di sviluppare un vero e proprio amore per la letteratura. Si definisce, infatti, innanzitutto un lettore accanito. È anche (e soprattutto) un appassionato scrittore, autore di Verso il futuro (Città del Sole, 2011) e de Il bar, il tavolino e il caffè (Marino Editore, 2018).
Il posto sicuro è la sua ultima opera, edita da Laruffa nel 2020. Si tratta di un racconto lungo, che vede protagonista una giovane coppia, Francesco e Luisa. Poliziotto lui e infermiera lei, compiono assieme il percorso che, dopo una breve conoscenza, li porta a diventare una famiglia. Il testo è scritto sotto forma di flusso di coscienza e alterna la voce del personaggio maschile a quella del personaggio femminile. Uno spaccato di vita che potrebbe riguardare ognuno di noi: le prime difficoltà dopo la luna di miele, la fatica dovuta all’arrivo della bambina, le ansie e le fragilità di chi si ama. A un certo punto, però, il racconto prende una piega diversa e fa emergere la visione paranoica e patologica di Francesco, con tutto ciò che ne consegue.
Dalle descrizioni pacate ed eleganti dello scrittore, emerge tutta la bellezza della nostra Calabria. A fare da sfondo a questa storia drammatica, infatti, troviamo Gerace, Scilla, Reggio Calabria e molti altri luoghi nostrani. Una scelta azzeccata, fedele al principio di scrivere sempre di ciò che si conosce.
Femia è riflessivo, ma mai invadente. Siamo sempre sulla soglia della storia, ma mai veramente dentro. Attraverso la sua scrittura fluida, osserviamo ciò che accade come si fa con le immagini che scorrono al Telegiornale, attoniti e impotenti.
Da dove nasce l’idea di realizzare un romanzo incentrato sul fenomeno del femminicidio?
È stata una sorta di rabbia, come uomo nei confronti di un altro uomo. Mi spiego meglio: ho sempre considerato la donna un essere superiore, più intelligente, più riflessiva, più saggia rispetto all’uomo. L’abusante ha solo un’arma per sopraffare la donna ed è la sua forza fisica che si tramuta in violenza, anche solo verbale, quando si sente sopraffatto da tutte le qualità su citate. Per questo, ogni qualvolta sento o leggo dell’ennesimo femminicidio, sono colto da un senso di rabbia che mi porta quasi a rinnegare il genere a cui appartengo.
Quali sono gli ostacoli che hai riscontrato durante la stesura?
In tutta sincerità devo dire che non ho riscontrato nessun genere di ostacolo. Avevo già in mente lo sviluppo della storia, fin dalla prima parola dell’incipit. Forse il fatto di averla ambientata in posti a me noti e di aver scelto come protagonisti un poliziotto e un0infermiera (due figure fin troppo normali), mi ha aiutato parecchio.
La famiglia protagonista della storia è composta da persone ordinarie, che conducono una vita simile a quella di molti altri. È stata una scelta voluta?
Come dicevo prima, sì. Ho fatto questa scelta per dimostrare al lettore che la violenza di genere, in fondo, non è molto lontana da noi che ci reputiamo persone normali. Non sono fenomeni che accadono sempre agli altri o ad altre classi sociali. Anche noi possiamo essere, quanto meno, sfiorati da situazioni del genere.
Quali strumenti hai utilizzato per calarti meglio nei panni di una donna?
Anche qui devo dire che non ho fatto nessuno sforzo. Secondo me il motivo sta nella mia predisposizione, che risale alla gioventù, a pormi come amico di fiducia di tante mie amiche che trovavano in me la spalla su cui piangere. Le mie coetanee mi consideravano la persona a cui confidare le proprie delusioni d’amore. E ciò, a volte, avveniva anche da parte di ragazze verso cui nutrivo un sentimento che andava oltre la semplice amicizia ma che, per la mia timidezza di fondo, non riuscivo a dichiarare esplicitamente. Pertanto sono cresciuto ascoltando le donne che mi stavano vicino, assimilando quindi i loro pensieri, le loro idee. Mi ha aiutato anche la passione per la lettura, che coltivo dai tempi dell’adolescenza.
Che ruolo hanno le Istituzioni, secondo te, nel dilagare degli omicidi di genere?
Le istituzioni, che io identifico nelle forze dell’ordine e nei servizi sociali, hanno un ruolo fondamentale, soprattutto in quei casi in cui non valutano correttamente le grida di allarme o le richieste di aiuto da parte delle donne che, in qualche maniera, si sentono in pericolo. Quante volte abbiamo sentito parlare di delitto annunciato? Anche l’incertezza della pena (spesso irrisoria rispetto al reato) ha il suo peso: potrebbe perfino essere considerato un incentivo alla violenza.
Antonio, amico della coppia, è sempre partecipe come mediatore degli scontri tra marito e moglie. Secondo te, di fronte a fatti reali simili a quelli del libro, è doveroso agire come il tuo personaggio o intromettersi può divenire controproducente?
Secondo me, anche se l’amico o il parente stretto si intromette per cercare di aiutare l’amico in difficoltà, non sempre percepisce appieno la gravità della situazione. Non è mai controproducente, comunque, intromettersi, se alla fine il risultato è quello sperato. Inoltre, può darsi che l’amico in difficoltà speri o chieda inconsciamente il nostro aiuto senza avere il coraggio di farlo esplicitamente. Sta all’amico capire la gravità della situazione e agire di conseguenza, se veramente è un amico. Può succedere però che subentri una sorta di freno interiore derivante dalla propria situazione personale e famigliare.

Anastasia Cicciarello

Nata a Locri nel 1990, membro effettivo della Millennials Generation, ha iniziato a scrivere prima sui muri con i pastelli, poi a scuola, dove ha incanalato la sua passione e non si è più fermata. Le piace viaggiare ma adora allo stesso modo la strada del ritorno, la bellezza dolorosa e fragile della sua terra. Abita ad Ardore, la cui posizione invidiabile le fa iniziare ogni giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno. Il bisogno di dire la sua l’ha condotta alla finale del concorso AttiveMenti con il racconto “La necessità del superfluo”, a scrivere “Il dolore non mi fa più paura” per la casa editrice Guthenberg e a collaborare con varie testate come hermesmagazine.it

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