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Alla volta di Zagabria

Stasi XXIII - Francesco Rossi incontra un vecchio amico che lo aiuta ad ampliare ulteriormente i propri affari nei paesi comunisti. Nemmeno il tempo di rientrare dalle ferie, dunque, che eccolo partire nuovamente, in questo alla volta della Jugoslavia…

Di Francesco Cesare Strangio

Il Conte aprì il discorso sulla questione della fornitura degli agrumi, argomento per il quale l’imprenditore si trovava lì.
Il Conte riprese la parola: «Sono stato informato su quanto avete concordato, ritengo che il fattore si sia comportato con equilibrio e rettitudine sia nei miei confronti sia nei vostri».
Proseguì il Conte: «Nel conoscerla, mi rendo conto che faremo molta strada assieme. Di conseguenza la informo di essere ben felice di ratificare quanto concordato e sottoscritto nella mia tenuta a Corleone. Per il pagamento mi sta più che bene l’uso della lettera di credito irrevocabile e anche la procedura per lo svincolo per l’incasso».
Finito di parlare, il Conte appose il timbro e la firma sul contratto, la stessa cosa fece l’imprenditore.
Si strinsero la mano e, nel prendere commiato, Rossi pregò il Conte di porgere i suoi omaggi alla Contessa.
Guadagnò l’uscita in un attimo e si avviò verso l’autovettura che aveva parcheggiato all’ombra nel cortile del palazzo.
Quando stava per entrare in auto, si girò e vide il Conte con la Contessa, dietro un’ampia vetrata, che lo seguivano con lo sguardo. La Contessa era una signora distinta sui sessant’anni, il suo aspetto non portava i segni degli stenti e delle sofferenze di chi lotta per il pane quotidiano.
«In conclusione -disse tra sé e sé, – ciò dimostra che se la sono saputa vedere».
L’auto partì con delicatezza, non doveva lasciar intravedere il pesante fardello della stanchezza e del nervosismo da stress che si portava dietro.
Raggiunta la Strada Statale, iniziò a camminare ad andatura sostenuta, aveva fretta di arrivare a Roma per incontrare l’amico funzionario del partito e portargli un discreto omaggio in denaro contante. Il burocrate era la sua chiave per aprire le porte oltre la cortina di ferro.
Arrivato a Roma, prese verso Piazza Bologna; la zona la conosceva bene giacché era solito andare a fare visita all’amico funzionario. Bussò alla porta del primo piano di un palazzo signorile, ad accoglierlo vi era l’amico Filippo, che lo fece entrare con manifesto piacere.
Dopo i saluti di rito, il funzionario chiamò la moglie per salutare l’amico.
La signora lo accolse con lo stesso entusiasmo del marito.
Mentre parlavano del lavoro, alternavano l’argomento con i ricordi della loro adolescenza. Erano passati tanti anni da quando andavano a scuola nel quartiere San Pietro.
Dopo aver rispolverato i ricordi della loro infanzia, Rossi disse: «Filippo, l’altro giorno ho incontrato i tuoi e ho avuto l’impressione che tua madre non stia tanto bene, ci sono problemi?»
Filippo confermò quanto già sospettava, aggiungendo: «Mia madre soffre di un male incurabile, penso che non andrà per le lunghe».
Era una donna che Rossi conosceva sin dalla sua fanciullezza. Tra le due famiglie ci fu sempre un rapporto splendido, tant’è che il padre di Filippo lo tenne a battesimo.
Dispiaciuto su quanto appreso, estrasse dalla borsa un omaggio per il suo impegno al quale aggiunse un assegno pari al doppio del contante.
Alla vista di quell’effetto bancario, Filippo si commosse non per la cifra in sé ma per l’affetto dimostrato.
Una volta esauriti gli argomenti di ordinaria amministrazione, Filippo gli prospettò una nuova possibilità: «Guarda che ti ho aperto una porta nella Jugoslavia di Tito; in ogni caso, nella prossima settimana ti fisso un appuntamento con il ministero dell’importazione di quella nazione».
Guardando l’orologio, Rossi si rese conto che era giunta l’ora di partire per l’aeroporto di Fiumicino.
Si salutarono affettuosamente e partì di gran carriera.
Sul finire della settimana, Rossi ricevette la telefonata dell’amico funzionario con cui gli confermò la data dell’appuntamento con il responsabile dell’importazione Jugoslava.
Nella riunione allargata con gli operai, ormai soci di minoranza dell’azienda, programmò lo sviluppo del settore commercializzazione.
Il mercato dell’Est era quello da favorire a conseguenza della scarsa concorrenza esercitata dalle multinazionali. Garantirsi una considerevole fetta di mercato durante la guerra fredda, avrebbe comportato avere il predominio per lungo tempo. Per fare breccia c’era solo il metodo dell’accordo con i funzionari e i burocrati del partito. Cosa ormai collaudata a Berlino Est.
La strada aperta dall’amico Filippo si dimostrò vincente.
A Zagabria, incontrò il responsabile del governo per l’importazione dei prodotti dall’Occidente. Era un uomo di bassa statura, dai capelli rossicci. Parlava perfettamente l’italiano e si dimostrò cortese e ossequioso.
Forte dell’esperienza di Berlino, Rossi passò subito ai fatti.
Il funzionario gli fece cenno di tacere, cosa che capì a volo. In quei luoghi era tutto sotto controllo. I servizi, come nel resto dei paesi comunisti, erano onnipresenti.
Il loro dialogo volse prettamente sulle caratteristiche peculiari dei prodotti che l’azienda produceva e sulla quantità che la Naxos riusciva a garantire.
A un tratto il funzionario, guardando l’orologio, si rese conto che era giunta l’ora di pranzo. Uscirono e andarono in un ristorante il cui nome in italiano si traduceva Lo scoglio dell’aquilone.

Foto: fulltravel.it

Redazione

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