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Parallelismi e piani narrativi ne “Il buco”

Di Luisa Ranieri

Il regista Michelangelo Frammartino, nel film Il buco, ci sollecita a un’alta riflessione sulla vita attraverso la rappresentazione di due piani narrativi solo apparentemente antitetici: quello esterno delle vallate e delle alture del Pollino e quello interno della profonda cavità del Bifurto.
I due piani si somigliano in molti punti: nelle rughe del viso del pastore così simili a quelle della parete degli anfratti esplorati dai ricercatori in missione e nel gesto finale della speleologa che fa capire ai colleghi che l’esplorazione è finita in quanto si è arrivati al limite della cavità, evento che trova il suo corrispettivo nell’ultimo respiro del protagonista, che ne porta a naturale compimento la vita.
E se, nei primi, il calarsi giù nella roccia assume il significato dell’inabissarsi nella cavità uterina della terra da cui tutto ha origine e dove tutto sembra finire, nei disegni degli esperti che vengono dispersi dal vento ma poi vengono ricomposti e, soprattutto, nella voce del pastore che, dopo morto, continua a chiamare le sue vacche e il suo asino con i suoni dell’antico mestiere, abbiamo l’esatta affermazione del contrario: tutto, nel grande mistero della vita, sembra disperdersi in una nebbia finale e, insieme, poi ritornare nel gran cerchio dell’essere.
Del resto, a ben vedere, tutto il film è condotto su parallelismi che si accavallano gli uni sugli altri portandosi dietro tutta la loro pregnanza semantica:

  • La luce del giorno e il buio della notte, oltre che altamente poetici, diventano complementari nella descrizione di un ambiente naturale in cui uomini, piante e animali convivono pacificamente.
  • L’allegria a fine giornata dei pastori intorno al fuoco e quella dei giovani ricercatori che mangiano e scherzano anch’essi seduti in cerchio davanti al fuoco ci mostra che la vita è fatica ma può essere, insieme, anche quieta condivisione e spensierata convivialità.
  • La ricerca come modalità nell’azione degli uomini, quella della verità della terra da parte dei ricercatori e quella, da parte degli amici, del corpo del pastore che non è ritornato con l’asino al suo stazzo, viene portata avanti in un buio solo appena rischiarato dalle luci degli elmetti nei primi e dalle fiaccole dei congiunti nei secondi: segnali del fioco ma persistente lume della ragione e degli affetti che cerca di farsi luce nel buio delle difficoltà della vita.
  • L’ascesa compiaciuta dei cronisti sul da poco costruito Pirellone di Milano  vede, da una parte, svolgersi vertiginosamente ai suoi piedi la vita delle congestionate strade della città e quella dei manager e degli impiegati inscatolati dentro i vetri della costruzione mentre, dall’altra parte, sul Pollino,  la calma più assoluta si stende su di un agire pastorale antico, lontano anni luce dalla frenesia della città meneghina.

Un film, questo di Frammartino che, nel narrarci un fatto storico realmente accaduto (l’esplorazione del Bifurto), sembra volerci interrogare sulle scelte che nella vita continuamente siamo chiamati a operare e che ci possono far perdere o salvare.

Foto: sentieriselvaggi.it

Redazione

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