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Costume e SocietàLetteratura

Un affare conveniente

Stasi XXX - Francesco Rossi riesce a ritagliarsi ancora un po’ di tempo per sé prima di lasciare definitivamente la Jugoslavia. Un nuovo incontro con Stefica, inoltre, lo convincerà ad aggiungere una piccola clausola ad un affare già di per sé molto conveniente.

Di Francesco Cesare Strangio

Arrivato nella hall dell’albergo, Francesco Rossi trovò ad attenderlo Stevo che gli domandò a che ora gradisse cenare.
Rossi rispose che gli stava bene alla solita ora.
Il funzionario pensò un istante e lo informò di una piccola variante: «Si va fuori città, c’è un locale che serve dell’ottima carne di cinghiale.»
Rossi rispose di sì, a condizione che ci fosse anche Stefica.
Stevo sorrise, e aggiunse: «Che sbadato, non ci avevo pensato. Comunque rimedio subito facendole accordare un permesso.»
Alle diciannove, uscendo dall’hotel, vide arrivare la Dacia. Come sempre Stevo dimostrava garbo e puntualità. Stefica era euforica, passare un’altra serata assieme al suo uomo la rendeva immensamente felice.
Dopo aver percorso una lunga strada che s’inerpicava su per le montagne, in mezzo a grandi alberi baciati dalla luce del sole prima del crepuscolo, percepiva un senso di particolare felicità; non si stancava mai di guardare Stefica.
Il suo più intimo desiderio era di averla per sempre vicina per amarla con tutto sé stesso.
A un tratto la macchina arrestò la sua corsa, erano arrivati davanti a un vecchio maniero ben conservato che, prima della seconda guerra mondiale, apparteneva al signore di quelle terre.
Con la fine del conflitto, il manufatto era passato al demanio della Repubblica Socialista della Jugoslavia.
L’italiano rimase affascinato dall’imponenza del manufatto, tant’è che chiese a Stevo: «È possibile pernottare?»
Stevo rispose di sì, ma con l’impegno che alle sette del mattino sarebbero andati via, poiché alle otto dovevano perfezionare il contratto d’importazione dei profumi.
Stevo, rivolgendosi a Rossi ridendo, disse: «Se non ci sbrighiamo, il tempo passa e va a finire che diventi Croato». A quella battuta, tutti si misero a ridere.
Il ristoratore, riconoscendo il funzionario, si avvicinò e, dopo averlo ossequiato, li accompagnò al tavolo. Era in un angolo particolare del maniero, vicino a una finestra che dava sulla vallata.
Una caraffa piena di vino rosso stava al centro tavola; Stevo riempì i bicchieri e strusciarono alla salute di tutti.
Un antipasto a base di funghi porcini segnò l’inizio della cena. Dalla cucina proveniva un leggero profumo di porchetta al forno che stimolava l’appetito.
Finito il pasto, Rossi era visibilmente soddisfatto della bontà del cibo, tanto che sentì il dovere di complimentarsi con lo chef.
Stevo chiese permesso e andò dal gestore del maniero, dicendogli: «Mi raccomando, la camera deve essere la migliore in assoluto, stai attento che sia tutto in perfetto ordine, è desiderio del governo fare bella figura con l’italiano. La Jugoslavia deve lasciare all’ospite Occidentale un buon ricordo.»
Così fu! Gli assegnò la stanza da letto in cui una volta dormiva il signore di quelle terre.
Stefica era emozionata, non stava nella pelle per tutto quello che stava vivendo.
Anche quella notte fu trascorsa sulla falsariga di quella al mare.
Fu come se fosse passato solo un attimo da quando si addormentarono a quando le prime luci del sole destarono il trombettiere dell’alba, che annunciò, con il suo canto, l’arrivo del nuovo giorno.
Si alzarono lentamente e si prepararono per scendere a fare colazione con del tenero formaggio e pane fresco.
Era arrivata l’ora di partire, sul volto di Stefica calò un leggero velo di tristezza. Il suo volto era contraddistinto da uno sguardo innocente; si era fatta strada in lei un senso di leggera paura, tanto da pensare che forse non avrebbe più rivisto l’uomo con cui aveva passato i giorni e le notti più belle della sua vita.
Rossi aveva già in programma di prendere il treno delle tre per Trieste. Quel pensiero gli provocava una notevole malinconia che metteva a dura prova la sensibilità del suo animo.
Stevo avviò il motore della Dacia profanando il silenzio del luogo. Il paesaggio scorreva con particolare rapidità, il tempo divenne effimero, tanto che Rossi ebbe la sensazione che Stevo stesse percorrendo una strada più corta.
All’arrivo, accompagnarono le donne e ognuno riprese il proprio ruolo.
Stevo aveva fatto preparare tutto dalle compagne segretarie, mancava soltanto l’apporto delle rispettive firme e quella del responsabile della Banca Centrale che autorizzava la lettera di credito irrevocabile.
«Con il presente ordine è completato tutto l’iter burocratico riguardante l’operazione d’importazione profumi», terminò Stevo.
Ogni cosa era stata messa al suo posto.
Poi si salutarono formalmente, fissando l’appuntamento per la fine del mese di settembre.
Il funzionario, facendo l’occhiolino, disse: «Non ti preoccupare per Stefica, da oggi avrà un occhio di riguardo dalle autorità di questo Paese… di qualunque cosa dovesse avere bisogno, basta solo che lo dica ed entro il limite del possibile saranno soddisfatte tutte le sue richieste». Un’idea balenò nella mente di Rossi come un fulmine a ciel sereno.
Rivolgendosi al funzionario, disse: «Domani Stefica andrà a richiedere il rilascio del passaporto… mi raccomando!»
«Consideralo già fatto!» rispose Stevo.

Foto: serbianmonitor.com

Redazione

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