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Costume e SocietàLetteratura

Il Codice 666

I racconti della buonanotte VIII

Il Diavolo… probabilmente – parte 4

Di Bruno Siciliano

La biondina continuò a parlare:
«Noi siamo in mezzo a voi, ci piace tutto di voi: la vostra musica, la vostra arte, la vostra cucina… io, per esempio, vado matta per la pasta alla Norma e adoro Beethoven, un po’ meno Wagner ma amo Schubert, Mahler e Bizet. Il nostro pianeta si è estinto un paio di milioni di anni fa anche se si vede ancora brillare la sua luce riflessa, così trovammo questo pianeta pieno di ossigeno e di tutto ciò che ci serviva per proseguire la nostra esistenza e ne divenimmo ospiti. Tante cose condividiamo con voi, ma abbiamo bisogno di una cosa in particolare che voi avete in abbondanza e che a noi serve per la nostra sopravvivenza. Noi ce la prendiamo e ripaghiamo i migliori di voi come meglio possiamo. Tu, adesso, sei ricco, famoso, vivi nell’agio, sei ormai avvezzo alle feste, alle abitazioni di lusso, frequenti ottimi ristoranti, compri auto potenti e tutto ciò che tu possa desiderare. Non dimenticare che tutto questo te lo abbiamo concesso noi e c’è chi si è sacrificato e si sta sacrificando per questo.»
«Ma chi siete? Cosa siete?»
«Te l’ho detto, siamo esseri viventi e veniamo dalla galassia che voi qualche anno fa avete denominato M51.»
«Che cosa costruite in questo laboratorio?»
«Non costruiamo nulla ma estraiamo ed elaboriamo quello che serve alla nostra vita. So che sei curioso di sapere ma non sono sicura che ti piacerà proprio tutto quello che ti farò vedere, anzi, non sono sicura neanche che tu lo voglia vedere.»
«Si che lo voglio vedere, voglio sapere tutto, hai parlato di gente che si è sacrificata per me, voglio sapere in che modo e come la posso ripagare.»
«Potrai solo vedere ma non potrai fare più nulla per loro.»
«Io pretendo di vedere, ne ho il pieno diritto.»
La biondina si lasciò andare in una terribile risata poi aggiunse: «Qui, caro il mio scrittore, non hai proprio nessun diritto, mettitelo bene in testa!»
Poi la porta si aprì automaticamente e lui cercò di scappare via mentre un’altra porta metallica del corridoio s’era appena aperta per fare uscire uno di quegli esseri gelatinosi che adesso strisciava sul pavimento per entrare in un altro ambiente. Velocemente lo scrittore s’infilò nella porta che si stava già per chiudere e vide quello che non avrebbe mai immaginato e mai avrebbe voluto vedere.
Una lunghissima teoria di grandi teche in cristallo, ognuna contenente un corpo nudo e ce n’erano tanti e tutti collegati a dei tubi. Erano immersi a galleggiare in uno strano liquido trasparente e ognuno di essi aveva un sondino naso gastrico e dei tubi collegati alle arterie e alle vene che terminavano in u  macchinario al centro della stanza. Alla destra di ogni teca una targhetta con dei segni incomprensibili e un numero.
«Chi sono?» Urlò con la voce rotta lo scrittore mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime e si lasciava cadere sul pavimento perché le sue gambe per il terrore non lo sostenevano più.
«Sapevo che sarebbe successo così, del resto sei un terrestre e certe cose non le capisci e dunque non le sopporti. Essi sono i tuoi benefattori, non lo comprendi?»
Gli occhi dello scrittore caddero a un tratto sopra una una teca catalogata con il numero 666 Guardò l’individuo immerso nel liquido.
Era la sua Elvira!
Di scatto, si precipitò contro quella teca, batté i pugni più e più volte gridando tra le lacrime il suo nome, piangendo e urlando finché la biondina gli si avvicinò e con la sua mano trasformata in ago gli iniettò nel collo, proprio nella giugulare, qualcosa che lo fece addormentare all’istante.
Il silenzio tombale del laboratorio fu così ristabilito e lui si risvegliò solo alcune ore dopo, sul un lettino asettico di una specie di infermeria. Era legato con delle larghe cinghie che non gli permettevano alcun movimento. Si guardò attorno. Decine di monitor circondavano la stanza, qualcuno spento altri accesi su esseri gelatinosi che lavoravano attorno a corpi umani; c’era chi li denudava e chi li collegava alle sonde che avrebbero loro prelevato il sangue, la linfa vitale di cui quegli esseri si sarebbero poi nutriti. Gli occhi gli bruciavano mentre delle lacrime che non poteva asciugare gli scorsero lungo le guance. Si sentiva colpevole. Era stata la sua inettitudine, la sua pigrizia e il suo egoismo a causare tutto ciò. Lui era diventato ricco e famoso, ma a quale prezzo?!
Nell’aria un forte odore di etere e una musica: Il notturno di Schubert. Lui ne aveva una copia in un cd a casa, eseguita da Arthur Rubinstein in un’edizione splendida, che adesso improvvisamente aveva scoperto di odiare. La musica lo avrebbe dovuto calmare, invece aveva fatto l’effetto contrario, s’era innervosito ancora di più ed era pieno di sensi di colpa e di rabbia.
Il mostro che lo aveva accolto al suo arrivo fece il suo ingresso nella stanza:
«Allora, caro il mio scrittore, ti sei calmato?»
«Sì» rispose trattenendo in sé il dolore e la rabbia che in quell’istante provava alla vista di quell’essere immondo.
«Non ti ho detto che noi riusciamo a leggere i vostri pensieri e che so cosa provi per me in questo momento e per rispondere ancora alla domanda che hai formulato nella tua testa, no, non puoi fare niente, noi vi controlliamo in tutto.»
«Vorrei riuscire a fare qualcosa per la mia Elvira.»
«Una sola cosa potresti fare: sostituirti a lei. Tu diventeresti il numero 666 e lei sarebbe quello che sei tu in questo momento». Poi, leggendo nella testa dello scrittore, aggiunse:
«Che cosa strana che sono gli uomini. Non li capiremo mai, dovessimo stare qui sulla terra milioni di anni.
«L’amore. Un sentimento così etereo, impalpabile, quasi inesistente, che ti fa fare immense stupidaggini. “Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà” diceva il vostro Gibran, una cosa che io non ho capito ma che voi professate da sempre!»
Così lo scrittore fu afferrato da quegli esseri gelatinosi, fu denudato, fu addormentato e collegato a ai sondini e immerso nella teca con la targhetta 666.
La notte era calma e calda, le luci dei bar sul lungomare erano tutte accese, sulla spiaggia non c’era più nessuno e una giovane ragazza nuda andò a bussare a un portone. Le aprì una donna che l’accolse in casa, la rifocillò e la rivestì. La giovane ragazza tra le lacrime e la vergogna le confidò di non ricordare nulla ma di sapere di essere una scrittrice e di chiamarsi Elvira.
Qualche mese dopo i suoi scritti divennero famosi e, quello che più conta, ben pagati. Scriveva racconti noir, gialli e horror per una rivista on-line settimanale ma un romanzo, in particolare, ebbe molto successo.
Aveva per titolo La cartella 666 – Il diavolo… probabilmente.

Fine (?)

Foto: Marco Favuzzi

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Redazione

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