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Costume e SocietàLetteratura

La barchetta in mezzo al mare

I racconti della buonanotte VII

Il Diavolo… probabilmente – parte 3

Di Bruno Siciliano

Quel pomeriggio d’inizio estate lo scrittore, con la sua protesi nuova alla gamba, si incamminava, claudicando un po’, sul lungo mare della sua cittadina. L’aria era calda e in riva al mare la brezza faceva il suo dovere mitigando l’afa. Poi si decise, scese i quattro gradini che dividevano la strada dalla spiaggia e s’incamminò verso la battigia. Era un po’ difficoltoso camminare con la protesi sulla spiaggia, il piede affondava un poco nella sabbia asciutta e ogni passo diventava faticoso ma, del resto, glielo avevano detto: «Lei deve continuare a fare le cose che ha sempre fatto.»
E, in fondo, era quello che voleva fare.
Quanti ricordi su quella spiaggia, proprio lì era stato l’ultima volta con la sua Elvira, prima che lei sparisse. Quante promesse, quanti progetti, e proprio adesso che le cose cominciavano ad andare bene, lei era scomparsa, letteralmente; non si era più vista, nessuno l’aveva più incontrata e il suo telefono suonava tristemente a vuoto, come fosse stata inghiottita dal nulla.
Gli mancava, adesso, Elvira. Forse lui se ne stava veramente innamorando.
Il suo conto in banca cresceva, grazie al contratto che aveva stipulato senza sapere ancora veramente con chi, lievitava mensilmente al ritmo di almeno cinquemila euro al mese, senza contare che gli bastava formulare un desiderio che ecco il suo conto si riempiva giusto per la somma che gli sarebbe servita per esaudire quel suo particolare capriccio. Doveva fare una sola cosa: mandare al giornale i racconti che settimanalmente apparivano sulla cartella 666 del suo diabolico PC.
Aveva cambiato casa, adesso abitava in un lussuosissimo appartamento del centro, aveva rinnovato anche l’arredamento, tutto era cambiato nella sua vita da qualche mese a questa parte tranne il suo datato ma preziosissimo PC.
Una barchetta bianca con le strisce rosse laterali attirò la sua attenzione, era di quelle col fondo piatto, ancorata a pochi passi dalla riva, abbandonata alle onde che la facevano beccheggiare leggermente.
Fece giusto pochi passi nell’acqua che gli arrivava ormai alla coscia. Voleva vedere dall’interno quella barchetta solitaria e riuscì a salirci sopra. Aveva stimolato la sua curiosità, era una piccola imbarcazione di circa cinque metri senza alcuna insegna e alcun nome scritto sulla fiancata. Non aveva neanche un motore ma un paio di remi abbandonati sul fondo e là, sotto i remi, stranamente, una grande botola che non avrebbe avuto alcuna ragione d’esistere in una barca così piccola. Sul lato destro la botola si trovava una maniglia in lucidissimo acciaio. La curiosità era troppo forte e lo scrittore la afferrò e tirò forte verso di sé. La botola con molta facilità si aprì e rivelò quello che mai nessuno avrebbe sospettato: un’incredibile scala in acciaio che scendeva verso il nulla. Senza pensarci due volte lo scrittore cominciò a scendere quei gradini metallici, piano, uno dopo l’altro finché la botola non si chiuse e lui rimase al buio sui gradini della scala. Non si sentiva nessun rumore provenire dal fondo mentre una flebile luce blu rischiarava quella che doveva essere la fine di quell’interminabile scala.
Lo scrittore scendeva lentamente sorreggendosi appena al montante della scala. Un odore intenso di etere lo colpì improvvisamente, si resse alla scala ma continuò a scendere. Il cuore ormai lo sentiva battere in gola ma non demordeva e continuava nella sua discesa, ormai il dado era tratto e continuò sino ad arrivare, finalmente, sul fondo e a trovarsi in un corridoio lunghissimo rischiarato solo dalla luce blu che aveva intravisto in cima. Le pareti erano in metallo robusto, come quello delle navi, ma lucidate quasi a specchio il che, misto al forte odore di disinfettante ed etere, gli provocava un po’ di capogiro. Una lunga teoria di porte alla destra e alla sinistra del corridoio, anch’esse in robusto metallo lucido. Nessun rumore, nessuna voce si udiva. In fondo, al centro, c’era una porta più grande delle altre, anch’essa in metallo, che attirò la sua attenzione. Da essa proveniva una musica: la conosceva bene, era il Concerto in re maggiore per violino e orchestra opera 61 di Beethoven, bellissimo. Si avvicinò ancora un poco alla porta ma non fece in tempo a mettere la mano sulla maniglia che questa si aprì da sola.
Un grande studio in stile fine ottocento e apparecchiature ultramoderne che lui non riusciva a identificare si presentò ai suoi occhi e, seduto alla scrivania, vi era un essere mostruoso. Si appoggiò al montante della porta mentre l’essere iniziò a parlare con voce calma, calda ed in perfetto italiano.
«Sapevamo che prima o poi saresti venuto a trovarci, per sapere, per capire… Ma accomodati, ti prego. Tu hai una pessima abitudine: lavori col cervello e pensi, ragioni, inventi, t’immagini e, a volte, ci azzecchi pure.»
La porta, intanto, si era chiusa dietro di lui, automaticamente, come s’era aperta.
Davanti a lui poteva vedere una creatura gelatinosa con la testa enorme e due occhi altrettanto grandi al centro. Non aveva bocca ma una formazione centrale poco sotto gli occhi che gli permetteva, presumibilmente, la respirazione. Due braccia commisurate alla testa terminavano in formazioni che variavano costantemente di forma e da robuste tenaglie potevano diventare enormi ventose o piccolissimi aghi.
«La mia esteriorità forse ti potrà disturbare ma rimediamo subito in modo da avere un dialogo più piacevole.»
Una nuvoletta bianca di fumo coprì l’immondo essere, che si tramutò all’istante nella biondina che lo aveva curato in ospedale e gli aveva dato pure un bacio sulla fronte. La voce divenne quella di una giovane donna e seguitò a parlare cordialmente con il nuovo venuto: «Non ti sei ancora accomodato, ti prego…» continuò la donna indicandogli la poltrona di fronte alla scrivania che lo scrittore trovò a tentoni e sulla quale sprofondò tremante e inorridito.

Continua…

Foto: tenstickers.it

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Redazione

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