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Costume e SocietàLetteratura

Lo zingaro

La tela del ragno


GRF

Di Francesco Cesare Strangio

Il giorno seguente, con la Mercedes di Serafino, fecero un giro in città e, nell’attesa che si facesse l’ora dell’appuntamento, ammiravano le case colorate dai tetti inclinati. Agli angoli delle vie gli artigiani esponevano i loro prodotti e il vociare della gente attirò la loro attenzione che andò su alcune tazzine da caffè in porcellana finemente decorate. Aquilino, notando la qualità del prodotto, l’eccezionale prezzo e per ultimo la bellezza della commessa, comprò quattro servizi da portare in Italia.
Nelle vetrine che davano sulla piazza principale, alcuni negozi di abbigliamento esponevano con orgoglio i prodotti italiani. A quei tempi il manifatturiero e il tessile tiravano e i prodotti realizzati in Italia erano ricercatissimi: era sufficiente regalare a una donna qualche vestito e dell’abbigliamento intimo portato dall’Italia che lei, senza farsi pregare, sarebbe scivolata dolcemente sotto le lenzuola.
Mentre camminavano, osservando i prodotti esposti nelle vetrine, furono fermati da due persone dalla corporatura possente; si trattava di due zingari del luogo. Non ci volle molto per capire di che pasta erano fatti. I due italiani provenivano dagli inferi della Calabria, sapevano da quale direzione nasce il vento e quali sono le conseguenze se, da quiete, si trasforma in tempesta.
I due zingari si presentarono con i rispettivi nomi e quello che sembrava essere il capo disse ad Aquilino che gli piaceva la camicia di seta che portava addosso.
Aquilino, senza esitare un istante, disse: «La vuoi?»
Lo zingaro, alla domanda, annuì. Senza esitare, Aquilino invitò i due a seguirlo: nel cofano della sua autovettura aveva altre due camicie uguali a quella che indossava, l’unica differenza era il colore.
Aprì il portabagagli e gliele fece vedere, il capo scelse una di colore azzurro cielo che s’intonava perfettamente con il colore dei suoi occhi. Lo zingaro domandò all’italiano quanto gli doveva dare. Aquilino rispose che non gli doveva nulla, in quanto era un omaggio.
Mentre stava per chiudere il portabagagli, prese una decisione: «Ascolta, portati via anche la seconda, ti servirà per non dare l’impressione sembrare che tu ne abbia una sola.»
Lo zingaro gradì moltissimo le due camicie e rimase colpito dalla disponibilità dell’italiano. Per sdebitarsi, invitò i due al bar.
Il locale si trovava in una piazza di notevoli dimensioni, la pavimentazione era realizzata con sanpietrini lavorati in modo da comporre una serie di disegni geometrici; fuori dal locale vi erano degli ombrelloni con altrettanti tavolini attorno a ognuno dei quali si trovavano quattro sedie in metallo laccato rosso Ferrari. Lo zingaro domandò se gradissero entrare nel locale o sedersi fuori. Gli italiani, dopo un attimo di esitazione, scelsero di accomodarsi fuori: da quella posizione potevano allietare la vista con il via vai delle ragazze che adornavano la piazza come le rose i giardini.
I due zingari consumarono due birre rosse da mezzo litro; gli italiani presero due caffè espressi e due bottigliette di acqua minerale.
Trascorsero quasi un’ora parlando del più e del meno; quando lo zingaro chiese il conto, la ragazza disse che era tutto offerto dalla casa. Il termine “tutto offerto dalla casa” fece capire agli italiani con chi avessero a che fare. Nella sostanza, a parte la distanza e la lingua parlata, non cambiava nulla rispetto ad alcune aree dell’Italia meridionale. Si stavano per lasciare, quando alle loro spalle comparve l’istriano con l’impresario. Nel vederli, lo zingaro li guardò con occhio indagatore, poi, rivolgendosi ad Aquilino, chiese che cosa dovevano fare con quei due signori. Aquilino gli disse che stavano trattando per i lavori di adeguamento di un capannone industriale. Lo zingaro voleva saperne di più e, per appagare la sua curiosità, pensò di invitare tutti a pranzo. Restarono d’accordo di trovarsi a mezzogiorno al ristorante che si trovava dall’altra parte della piazza.
Dopo che i due zingari se ne erano andati, Aquilino, con la dovuta accortezza, chiese ai due se conoscessero gli amici che se ne erano appena andati. L’istriano e l’impresario, dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa, dissero che conoscevano uno dei due come il capo degli zingari e che a Košice non si muoveva foglia senza il suo volere; in definitiva, in città comandava lui.
Aquilino, bluffando, disse: «Sono due amici di vecchia data, tra di noi c’è stima e rispetto.»
Il faccendiere e l’imprenditore edile rimasero sorpresi da quanto udirono. I due erano andati lì per discutere del preventivo e della data d’inizio dei lavori, ma Aquilino preferì rinviare la discussione davanti a un pasto caldo e alla presenza dello zingaro. Non avendo altra scelta, l’istriano e l’imprenditore accettarono l’invito con l’impegno di farsi trovare alle dodici davanti al ristorante.
Totalmente preso dai discorsi, Serafino si era dimenticato dell’idraulico che gli doveva sistemare un tubo che perdeva sotto il lavello della cucina. Chiese ad Aquilino di fargli compagnia fino alla bottega dell’idraulico, che si trovava sul finire del grande vialone.

Continua…

Foto: scelgofullservice.com

La tela del ragno


Gedac

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