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Costume e SocietàLetteratura

Le funzioni del polemarco all’interno della polis

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

All’interno della polis non è ipotizzabile un simile sistema. L’agoghè a Locri non era un mero atto stragiudiziale, ma una vera e propria citazione in giudizio formalmente comunicata. Appare dunque più che ipotizzabile, quasi certo, che anche a Locri ci fossero le azioni di natura privata e quelle di natura pubblica. Così come ad Atene.
Poteva così avvenire che, materialmente, gli efebi locresi portassero direttamente in giudizio, o alla presenza del Polemarco che disponeva per il giudizio, chiunque commettesse infrazioni alle leggi locresi stabilite e permanenti. Ciò a prescindere che si chiamassero efebi o in altro modo. Ma di certo, l’iniziativa giudiziaria doveva appartenere a un arconte, gli efebi non lo erano e il Polemarco non aveva potere all’interno delle mura. Dunque, in materia, la citazione in giudizio (agoghè) apparteneva con quasi certezza alla Bolà. Di poi il giudizio ordinario. Nel citare in giudizio, la Bolà (ma anche i privati), nell’agoghè, inseriva non solo le ragioni del diritto o della legge violata, ma anche le prove poste a supporto: prove testimoniali, prove documentali, deferimento di interrogatorio formale. Queste prove erano valide sia per un giudizio di iniziativa privata, sia per uno di iniziativa pubblica.
Ipotizzando un possibile contraddittorio in materia di iniziativa pubblica, è consequenziale pensare che l’accusa venisse rappresentata da un membro della Bolà a ciò delegato.
La Bolà, nell’anno in carica, si riuniva tutti i giorni, posto che il compito principale era quello di occuparsi dell’amministrazione ordinaria della città. Di poi gli altri incombenti. Poteva così essere informata di violazione di leggi di ordine pubblico, come tutte le norme antisuntuarie, che non potevano certamente essere lasciate all’iniziativa privata, posto il principio base delle leggi locresi che un cittadino, anche (o forse soprattutto) in un processo, non provocasse astio tra i politai che si incontravano tutti i giorni.
Altra diversità, per Locri, era che quando si procedeva alla dokimasia, ossia alla verifica dei requisiti per essere ammessi all’efebìa, rilevava sicuramente il gènos, la etnìa, ma difficilmente, in un primo tempo, le giuste nozze, posta l’origine servile dei locresi. Successivamente anche questo sarebbe stato un requisito. Quanto al requisito di essere un cittadino libero, posta l’abolizione della schiavitù, nessun accertamento doveva essere fatto. Rilevava di sicuro il saper leggere e scrivere. E ciò in conformità per la dokimasia per i magistrati.
Ma occorre pensare anche che la giustizia non potesse essere limitata alla mura della pòlis, ma gestita per tutto il territorio. E se è ipotizzabile che fuori dalle mura e dalla Asty, non vi fossere solo locresi greci, tuttavia anche per le altre popolazioni (italioti, enotri, morgeti) occorreva dare giustizia. Certamente non ipotizzabile che fosse il Buleterioil luogo della Giustizia, ma che il Polemarco peregrinus si portasse con i soldati da addestrare su tutto il territorio e qui giudicava secondo i principi del processo a Locri. D’altronde, è pacifico che Roma abbia preso anche in materia di diritto i principi greci. Si pensi ai due Consoli che sono una derivazione dei Diarchi spartani; si pensi alla legge delle XII Tavole, che sono un’emanazione corretta delle leggi greche e anche, per come accenna Livio, alle leggi Locresi. Non per nulla l’espressione La Grecia, conquistata (dai Romani), conquistò il selvaggio vincitore. A dire il vero l’influenza greca fu grande presso i Romani, non escluso il campo del diritto, di cui sono una testimonianza le XII tavole; ma detta è evidente in tutti i campi della cultura umana tutt’oggi.
Tutti gli storici sono concordi nel ritenere che l’ispirazione delle Leggi viene dal Mondo Greco, per poi aggiungere con molta approssimazione che le leggi scritte in Grecia risalgono al VI/V secolo a.C., ignorandosi che le prime leggi scritte sono locresi e si è tra VIII e VII secolo a.C.
Ma anche a seguire il pensiero di Charles Freeman la decandeza del pensiero greco si è verificata solo tra il IV e il V secolo dopo Cristo, sopratutto a cagione di Tommaso d’Aquino, il cui pensiero il filosofico vede rappresentato in una pittura nella cappella Carafa di Santa Maria sopra Minerva in Roma, in cui è figurato il doctor angelicus e Sant’Agostino. Il pensiero di Agostino viene invece in sintesi così schematizzato. Poiché il fondatore della Scolastica sostiene la preminenza della fede sulla ragione, è nulla la sapienza umana in quanto ogni sapere viene da Dio. Ne conseguiva che era inutile riportare e studiare pensieri pagani, che erano lontani da Dio. Da qui la decadenza nel Mondo Occidentale del pensiero scientifico greco che nel V secolo a.C. aveva avuto il suo massimo sviluppo (Platone e Aristotele soprattutto).
Ritornando al tema principale, si ricorda per come trattato quando si è parlato di Gortina, che i giuristi mettono in evidenza che la struttura del processo ad Atene era uguale a quella micenea. Sulla influenza di Gortina nella legislazione greca nessuno invero ha dei dubbi, seppur poi non sia stato condotto uno studio specifico.

Foto: storiestoria.wordpress.com


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