“Taccuino e penna, idee ed entusiasmo. Ecco chi era Enrico Fierro”
Di Lucio Musolino
Ci sono colleghi e colleghi, amici e amici. E poi c’è Enrico. Il professore. Che è un’altra cosa. C’era, perché non c’è più da una settimana. E sembra già troppo tempo per chi gli ha voluto e gli vuole bene. Per chi lo ha conosciuto, per chi era abituato alla sua presenza, alle interminabili telefonate, ai confronti e alle chiacchierate davanti a decine di caffè e almeno il doppio di sigarette. Lezioni di vita ancora prima che di giornalismo.
Chi non ha avuto la fortuna di incontrarlo, di frequentarlo, di incrociarlo anche per poco tempo, non può capire cosa abbiamo perso: un punto di riferimento sempre disponibile, una persona cara, un grande giornalista che amava il suo lavoro più di sé stesso. Che consumava le scarpe e che aveva sempre la valigia in mano perché voleva vedere con i suoi occhi le cose di cui scriveva. Che stava lontano dai riflettori, che rifiutava gli inviti in trasmissioni scannatoio e che non contava i like ai suoi articoli. Non gli interessava. Volava alto e allo stesso tempo teneva i piedi ben piantati a terra.
Non è mai invecchiato ma era vecchio stampo. Taccuino e penna. Ma soprattutto idee ed entusiasmo. A 69 anni ne aveva più lui di chi è a inizio carriera. I suoi pezzi e i suoi libri sulla Campania e sulla Calabria sono lì e testimoniano quanto ha amato il Sud in maniera viscerale con i suoi pregi, le sue contraddizioni e i suoi problemi. Fino all’ultimo. Anche da quel maledetto letto di ospedale il suo pensiero era al prossimo articolo, a quello che si era perso nei giorni in cui era stato intubato, al lavoro che doveva finire, alle battaglie ideali che stava combattendo.
La sua eredità è questa. Se ne è andato troppo presto e verrebbe quasi da essere incazzati con lui.
Ci sono colleghi e colleghi, amici e amici. E poi c’è Enrico. Il professore. E a lui devo dire solo “grazie”.