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Perché il piccolo spaccio costituisce reato autonomo

Breve storia della Legge sugli Stupefacenti XXV - Compreso come l’appartenenza a una rudimentale organizzazione criminale possa costituire un aggravante nell’attribuzione della pena, è il momento di comprendere quali siano le caratteristiche che rendono il piccolo spaccio un reato a sé e non, come sarebbe logico pensare, un attenuante del reato stesso.

Di Serena Callipari, Davide Barillà ed Enzo Nobile

Il giudice, nel valutare fattispecie di spaccio di sostanze stupefacenti, non può negare la sussistenza del fatto di lieve entità senza tener conto, oltre che della “quantità e qualità delle sostanze”, anche dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell’azione, sia di ordine oggettivo che soggettivo, e non può comunque negarla ove il reato, nella sua componente oggettiva e soggettiva, non assuma una consistenza tale da rendere proporzionata al fatto – secondo il criterio di ragionevolezza – la pena minima altrimenti applicabile ai sensi dell’articolo 73 commi 1 e 4 (a seconda del tipo di droga).
Altro elemento compatibile con la configurazione della lieve entità del fatto di cui all’art. 73, c. 5, Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 è ravvisabile nel piccolo spaccio, che è caratterizzato da alcuni elementi tipici che identificano una serie di condotte criminali nelle quali si riscontrano una ridotta circolazione di denaro e di merce con guadagni limitati e nell’ambito del quale viene ricompresa anche l’ipotesi di detenzione di una provvista per la vendita.
Orbene, il piccolo spaccio, sebbene nella sua accezione necessiti certamente di un’organizzazione dedita all’approvvigionamento e alla vendita della sostanza stupefacente, non può essere tout court ritenuto come elemento impeditivo alla configurazione della fattispecie delittuosa caratterizzata dalla lieve entità del fatto, essendo necessaria, invece, una valutazione di tutti gli elementi che lo caratterizzano che, una volta esaminati, siano, appunto, indicativi di un’attività di piccolo spaccio.
In soldoni, osiamo dire che, come in tutti gli altri casi, anche in questo l’applicazione del fatto di lieve entità va considerato valutando tutti i parametri indicati dall’art. 73, c. 5 del DPR 309/90, e che, eventualmente, la rilevanza particolarmente significativa di un singolo elemento può portare a escludere che si verta in una situazione di piccolo spaccio.
Elemento alquanto significativo per la verifica dell’attività di piccolo spaccio è da individuarsi nel dato quantitativo della sostanza stupefacente.
In un tale contesto valutativo, infatti, ove la quantità di sostanza stupefacente si rivelasse rilevante si verterebbe certamente in una attività di spaccio in quanto sintomatico di pregnante offensività.
Però, allo stesso modo, il piccolo spaccio può essere di impedimento ai fini della configurazione del fatto di lieve entità, se per i mezzi e le modalità dell’azione risulti che il singolo fatto sia riconducibile a un contesto criminoso di più vaste dimensioni, ad esempio nell’ipotesi classica della cessione di un campione di droga prelevato da una maggiore porzione di sostanza detenuta dall’agente.
Quindi, per dare significato pieno al nuovo dato normativo, il piccolo spaccio non può essere considerato la forma attenuata del reato base, ma un fatto diverso dal reato ordinario: e costituisce perciò reato autonomo, tanto è vero che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la sussistenza della fattispecie attenuata anche ai casi di spaccio continuato, rilevando la compatibilità tra la ratio a fondamento dell’attenuante e la destinazione della sostanza a uno spaccio continuativo (cioè caratterizzato dalla quotidianità e non dalla occasionalità e precarietà dell’attività di distribuzione).

Tratto da L’ingente quantità e il fatto di lieve entità della Legge sugli Stupefacenti; Key editore
Foto di copertina: avvocatopenalistah24.it

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