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Costume e SocietàLetteratura

La gattara

I racconti della buonanotte IX

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Il racconto che segue è destinato a un pubblico adulto.

Donna Carmelina Belletta era una vecchina esile e minuta, che abitava in una piccola casa in fondo a Via Ruga Grande. Era una casetta che le avevano lasciato i suoi genitori e la teneva sempre linda, pulita e profumata.
Adesso che donna Carmelina era rimasta sola quella casa le sembrava tanto grande, per cui ogni pomeriggio, lei che era stata maestra elementare per quasi cinquant’anni, ospitava i bambini per fare loro un po’ di doposcuola.
«Cosa vi devo dare per la mia Rosetta? È un mese che viene da voi a fare i compiti.»
«Cosa mi volete dare? – rispondeva immancabilmente donna Carmelina. – Io ho la mia pensione che mi basta e mi avanza e poi questi bambini mi tengono tanta compagnia e non riuscirei a immaginare i miei pomeriggi senza di loro.»
Così rispondeva la vecchina alle mamme che la volevano in qualche modo ricompensare per il suo impegno. I regalini arrivavano lo stesso. A volte una torta, a volte la verdurina fresca, altre volte la frutta, e alla vecchietta tutte queste attenzioni facevano tanto piacere.
Ogni mattina, alle sei in punto, senza bisogno di alcuna sveglia, donna Carmelina era già in piedi, si lavava, si vestiva e si recava a messa. Era stata abituata così dai suoi genitori ed era una donna devota e timorata di Dio. Non mancava mai, era sempre presente a tutte le funzioni, le novene e i tridui, la settina dei morti, le funzioni del Santo Patrono e i primi Venerdì del mese; lei era sempre là, nel posto ormai a lei riservato in prima fila nella Chiesa Grande.
Finita la messa mattutina tornava a casa, sbrigava le sue faccende e, quando si faceva l’ora, si dedicava al suo impegno giornaliero al quale mai si era sottratta, neanche quando aveva avuto la bronchite e la febbre alta: badare ai gatti del quartiere che lei amava e sapeva riconoscere uno per uno.
Anche i teneri gattini avevano imparato l’ora e, quando scoccavano le undici, decine di gatti, gattini e gattoni andavano tutti in Via Ruga Grande davanti alla casa di donna Carmelina e lei era già pronta con la sua ciotola piena di pezzettini di carne, a volte col sugo, a volte solo con un po’ d’olio e, durante le feste comandate, non mancava neanche la pasta che lei elargiva sempre a larghe mani a tutti i gatti che si assiepavano da anni davanti alla sua porta.
Tutti, in paese, la conoscevano, ormai, come donna Carmelina la gattara.
Lei aveva solo la pensione di maestra elementare, ma la carne per i suoi gattini non mancava mai.
Era nata nel 1932 e mai nessuno aveva potuto sparlare sul suo conto. Qualche giovane le aveva cominciato a fare la corte sin da quando Carmelina aveva già sedici anni, ma lei era sempre stata troppo impegnata per pensare all’amore. S’era presa cura dei suoi genitori e di tutti i suoi fratelli finché essi non avevano lasciato il paese per andare a cercare fortuna, chi in alt’Italia e chi nelle Americhe.
Era bella, donna Carmelina, in gioventù e sicuramente avrebbe potuto fare la felicità di qualche bravo giovane.
Ce ne fu uno in particolare: Bartolo, il garzone di macelleria di mastro Peppino. Si era innamorato di Carmelina ma lei lo aveva sempre rifiutato; ma si sa, un rifiuto in amore non fa altro che acuire il desiderio.
Non mancava mai di farle regali e non solo nelle feste o per le ricorrenze, e ogni occasione era la scusa giusta per un regalino: l’orologio a pendolo per il salotto, il lampadario per la stanza da letto e perfino un congelatore che mastro Peppino aveva dismesso, perché troppo piccolo per la sua macelleria. Lui se l’era fatto dare e lo aveva fatto portare a casa di Carmelina, così non mancavano mai le bistecche e i pezzi prelibati di carne che Bartolo si faceva dare dal suo principale.
Venne poi una sera (c’è sempre quel momento, quell’istante che ti può cambiare la vita) che Bartolo si presentò in una notte di pioggia, una nottata in cui sembrava che il Padreterno avesse preso di mira proprio quel piccolo paese lassù in collina. Lui era andato a trovarla e lei non ebbe cuore di rimandarlo a casa sua in mezzo a quella bufera.
Lo fece entrare e subito lui la cinse con le sue forti braccia e la baciò sulla bocca come non aveva mai immaginato di poter fare. Era rimasta sola da troppo tempo, Carmelina, ed era bella, desiderosa e desiderabile e rispose a quei baci e a quegli abbracci con tutto il trasporto possibile perché l’amore, col tempo, s’era impadronito anche del suo cuore. Fu la sua prima notte d’amore che lei visse con tutta se stessa, furono baci, abbracci e amplessi infuocati e promesse e desideri e sogni.
Poi, d’improvviso, Bartolo non si mosse più.
Era da tempo sofferente di cuore, nessuno lo sapeva, forse neanche lui, e quella notte d’amore gli era costata la vita.
Cosa avrebbe potuto fare una povera ragazza sola e disperata?
Era una donnetta timorata di Dio e sarebbe stato uno scandalo appurare che lei avesse ricevuto un uomo nella notte e che quest’ultimo le era, addirittura, morto nel letto.
Così, in quella notte di bufera, Carmelina prese la sua decisione: nessuno sarebbe venuto a conoscenza dell’accaduto e Bartolo sarebbe rimasto sempre con lei.
Così si fece forza e, nuda com’era, lo trascinò fino alla cucina, aprì il congelatore, e ve lo infilò dentro assicurandolo a un gancio di metallo dell’armadio refrigerato perché non rotolasse fuori, poi regolò il termostato come lui le aveva insegnato:
«Con questa temperatura puoi conservare un vitello per tutta la vita, Carmelina mia!»
Così le aveva detto un giorno e lei se l’era bene impresso nella mente.
Un gattino bianco con il musetto nero uscì da dietro una tenda e si andò ad accoccolare proprio tra i piedi di Carmelina che, seduta per terra, in silenzio, pensava a tutto quello che le era piombato sulle spalle nelle ultime ore. Il gattino bianco dalla macchia nera si strusciava ai piedi di Carmelina, aveva fame e lei andò in cucina e versò un goccio di latte in una ciotola che poggiò sul pavimento, il gattino vi tuffò il nasino nero e lei lo guardò lappare golosamente.
Erano sempre piaciuti i gatti, a donna Carmelina, sono creature di Dio, poverini, e hanno bisogno anch’essi di mangiare, sono carnivori, i gattini, e col tempo avrebbero potuto risolvere il problema di donna Carmelina, quell’ingombro nel congelatore che giorno dopo giorno si sarebbe, secondo la sua idea, sempre di più assottigliato, fino a scomparire del tutto.
«Buon giorno, donna Carmelina, vi vogliono bene i gatti, a voi!» disse il postino passando con la sua bicicletta.
«Anch’io voglio bene a loro, a tutti i gattini del mondo! Come San Francesco ci ha insegnato, bisogna volere bene a tutti gli animali che poi essi, come possono, ci ripagano.»
«Ma che cosa date di così buono a questi gattini, donna Carmelina?» Chiedeva comare Saveria, la vicina.
«Grazia di Dio» rispondeva immancabilmente donna Carmelina.
Così, quando vedo una vecchina che si prende cura dei suoi gatti, penso ancora a lei, la vecchina di Via Ruga Grande.
Chissà cosa danno da mangiare le gattare a tutti i loro teneri micini?
Ce n’è una vicino casa mia, ma io, da quando ho conosciuto la storia di Donna Carmelina, non riesco neanche a guardare i pezzetti di carne che lei giornalmente dà ai suoi gattini e la saluto con molta cortesia e deferenza scappando via senza attendere neanche la risposta al mio saluto.

Dedicata a Rocco

Foto di Anthony Majanlahti

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Redazione

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