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Costume e SocietàLetteratura

Il potere del Necronomicon

I racconti della buonanotte XVI

Necronomicon – parte 2

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare il racconto che segue letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Il racconto che segue è destinato a un pubblico adulto.

Una stanza umida, senza finestre, presumibilmente sotto il livello della strada, forse accanto all’abitazione del giornalaio. Una lampadina fioca a filamenti, di quelle che non si usano più, illuminava l’ambiente. Faceva un freddo cane, l’impiegato del catasto era in maniche di camicia, ed era legato con le mani dietro la schiena a una vecchia sedia di paglia.
“Ti sta bene – pensava tra sé e sé. – Hai voluto fare l’investigatore? Adesso ne paghi le conseguenze!”
«Chi sei e che cosa vuoi da noi?» Era un omone corpulento di almeno un metro e novanta che si rivolgeva a lui con voce brusca e roca.
«Niente, solo curiosità». Rispose Memmo con voce bassa e remissiva, senza guardare in faccia il suo interlocutore che, improvvisamente, gli sferrò un terribile schiaffo in piena faccia. Memmo rischiò di cadere a terra con tutta la sedia ma l’omone lo sorresse e poi continuò guardandolo negli occhi:
«Chi ti manda e cosa vuoi?»
«Te l’ho detto, è stata solo curiosità! Credevo che il palazzo fosse disabitato e mi aveva incuriosito quella luce accesa.»
Da una porta bassa sulla sinistra, intanto, aveva fatto il suo ingresso il giornalaio, che guardò l’omone con fare interrogativo. Questi rispose: «Dice che è soltanto un cretino curioso.»
«Idiot, meiner Meinung nach müssen wir ihn ermorden.»* rispose il giornalaio.
«No, perché ammazzarlo? – continuò l’omone – Magari gli caviamo gli occhi e l’abbandoniamo per la strada.»
«No, vi prego, non dirò a nessuno quello che ho visto.»
«Perché, che cosa hai visto?»
Memmo s’era tradito e non sarebbe stato facile continuare a mentire.
«Ho visto… il Necronomicon sul tavolo. So che è un libro che non esiste ma conosco le sue proprietà, anche se non credo in queste cose e so che non è possibile, con una formula, fare quello che il libro si propone.»
«Hai capito Anton? Tu ed io non esistiamo» rispose l’omone con una terribile risata. Poi proseguì:«Facciamo come ti ho detto, nessuno gli crederà e noi potremo proseguire con i Riti.»
«Es wäre besser, ihn zu ermorden, für die Sicherheit unserer Mission.»**
«Aggiudicato!» concluse risoluto l’omone, che si avvicinò a Memmo, sciolse i nodi della corda che  lo costringevano seduto alla vecchia sedia di paglia e quasi di peso lo tirò su, lo prese per un braccio e lo costrinse a camminare verso la porticina da cui era entrato il giornalaio.
Entrarono, i due, in una vasta sala illuminata solo da una miriade di candele. Nell’ambiente aleggiava un cadaverico puzzo di marcio e l’incenso che bruciava in due bracieri agli estremi dello stanzone non riusciva in alcun modo a mitigare il fetore. Due cadaveri, un uomo e una donna, in avanzato stato di putrefazione, erano ospitati su due diversi tavoli ai lati della sala. Memmo credette di vivere in un incubo. Delle persone erano in fondo alla sala. Sembrava parlottassero fra di loro, erano pallidi ed emaciati, i loro volti erano inespressivi e scrutavano con interesse il nuovo ospite appena entrato.
Poi vide il giornalaio accomodarsi su di un antico scranno di evidente fattura quanto meno cinquecentesca, prese la sua faccia tra le mani e, dopo qualche minuto, aprì il libro che aveva visto sul tavolo e cominciò a intonare un inno atavico fatto di suoni gutturali e parole incomprensibili.
Sembrò un miracolo e i due cadaveri semi putrefatti cominciarono lentissimamente a prendere vita. La carne cominciò piano piano a ricostituirsi e i vermi di cui erano ricoperti scomparvero l’uno dopo l’altro. Pur mantenendo il loro colorito cadaverico, i due corpi, quasi contemporaneamente, presero ad aprire e chiudere gli occhi, poi l’uomo guardò la sua compagna, che era sull’altro lettino e cominciò, da lei seguito, a scendere dal tavolo con estenuante lentezza.

*«Cretino! Dovremmo ucciderlo secondo me.»

**«Sarebbe più giusto ucciderlo per la sicurezza della nostra missione.»


Edil Merici

Quindi si avvicinarono entrambi, con andatura malferma, al giornalaio per inginocchiarvisi davanti ed esclamare in coro: «Tu sei il nostro padrone, a te dobbiamo la nostra nuova vita.»
Il giornalaio rispose solennemente: «Ich danke den Göttern, die alles erlaubt haben.»***
Si fece, dunque, un grande silenzio nella sala e tutti intonarono una nenia di ringraziamento in una lingua orientale che Memmo non capì quale fosse.
Poi venne la sua ora e due di quegli individui che prima erano in fondo alla sala a parlottare lo afferrarono e lo condussero su di uno dei tavoli che avevano appena ospitato i due cadaveri. Quattro cinghie gli serrarono il corpo in modo che non potesse muoversi, fatta eccezione per qualche dito.
Il terrore si era impadronito del suo cervello e non riusciva né a pensare né a urlare. Le mani di quelli che lo avevano afferrato erano gelide e quel gelo gli era entrato nelle carni, poi udì il giornalaio impartire degli ordini in tedesco mentre uno di quegli esseri prendeva da una teca un affilatissimo e lungo pugnale tempestato di diamanti e rubini che aveva in cima all’elsa un lungo pennacchio rosso fatto di piume di uccelli esotici.
Il giornalaio si avvicinò a lui con lentezza estenuante e lo guardava con occhi che, Memmo lo sapeva, avevano penetrato la sua anima e la scrutavano, vedevano tutto il bene e tutto il male che c’era dentro di lui, i suoi slanci d’amore e i piccoli dispetti giornalieri, il suo odio e tutto il suo amore. Quindi il giornalaio distolse lo sguardo e con gesto rapido ma calcolato gli conficcò il pugnale nel petto, centrando il suo cuore. Memmo sentì la vita scorrergli via. Si dice che all’appressarsi della morte vi si scorga in un attimo tutta la vita ma, per Memmo, non fu così, gli venne in mente solo l’ultimo progetto che aveva catalogato e registrato in ufficio in mattinata e il mutuo per la casa a cui mancavano ancora ottantatré rate. Poi rivide il volto di Ilaria, la sua Ilaria che non avrebbe mai più rivisto. Quindi arrivò la nera signora della morte e lo portò con sé, ma passarono solo pochi istanti e lui, per merito del rito che era già iniziato, si sentì trasportare in una dimensione per lui sconosciuta. Non era morto ma riviveva in una nuova vita. Le cinghie gli furono slacciate e lui, libero dai legacci, cominciò a muovere gli arti, fu in grado di scendere dal tavolaccio e si trovò in ginocchio davanti al giornalaio verso cui provava, adesso, riconoscenza e cieca obbedienza. Non avvertiva più alcuna sensazione né sentimenti, l’immagine di Ilaria era svanita e per lui la sua ragazza era diventata adesso una conoscenza qualunque. Non avvertiva più dolore né amore, né paura, né odio. Che cosa era diventato? Un automa senza coscienza né intenzione. Tutta la sua volontà adesso era nelle mani del giornalaio ad esso doveva obbedienza e dedizione. Egli avrebbe continuato a vivere per sempre, avrebbe eseguito gli ordini che quell’oscuro signore gli avrebbe impartito, sicuramente avrebbe continuato a lavorare nel suo ufficio al catasto, ma la sua ragione di vita era diventata quella confraternita a cui quel colpo di pugnale lo aveva assoggettato per l’eternità. La sua curiosità era stata appagata. Il Necronomicon esisteva veramente, ne aveva visto gli effetti e le conseguenze, ma a quale prezzo? Aveva conosciuto il giornalaio che lo avrebbe fatto vivere una quasi-vita in mezzo agli altri uomini, ma quanti erano veramente uomini e quanti di essi erano come lui?
Presto avrebbe saputo anche questo.

***«Ringraziate gli dei che hanno permesso tutto questo.»

Fine (?)

Foto: vampirestears.it

Per sapere di più su Bruno Siciliano e i suoi racconti visitate www.brunosiciliano.it.

Redazione

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