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Costume e Società

Quel treno mai partito


Edil Merici

Questa vuole essere la più cruda delle metafore. Un aneddoto che riguarda il Sud. La nostra storia. O, meglio, il nostro calvario. Qualcuno, non ricordo bene chi, ha deciso che si dovesse chiamare Questione meridionale.
Una storica che non avremmo mai voluto udire, che non avremmo mai voluto vivere. che non avremmo mai voluto immaginare. Invece è ancora qui, appesa alla pertica come una vecchia giacca rammendata. Giacché noi, che in antichità eravamo i padroni dei mondo, ci siamo visti sfuggire il domani, improvvisamente, tra un colpo di giavellotto greco, uno di daga romana e uno schioppo di moschetto garibaldino. Ma ancor di più abbiamo visto correre gli anni in sella a questo carro che ha contrassegnato i nostri sforzi. Eravamo i figli delle Madonie, del­l’Aspromonte, delle Murge, della Marsica. Le infanzie della speranza, dell’illusione; i giovani di ieri, di oggi, forse anche di domani. Quei giovani che ci strascinavamo dietro, attaccati al carro della scomunica, un’antica maledizione; la stessa che ci ha visto e continua a vederci rigettati dalla realtà. La realtà là fuori. Perché là fuori, oltre quel muro d’interdizione (che sembra essere stato eretto apposta per noi), c’è il mondo. C’era allora. C’è tutt’oggi. Il mondo tale e quale a come ce lo siamo immaginati.
Un mondo fatto di gente comune, di cose semplici, lontano dal com­plesso tribale, dal vecchio modo di pensare, dal non voler guardare avanti. Il mondo con i suoi pregi e i suoi difetti; con le sue storie e le sue lusinghe. Il mondo su cui i veri eredi, a differenza di noialtri, hanno la possibilità di posare le basi del cambiamento.
Un traguardo bocciato da noi che il futuro lo interpretavamo come un tirar le somme al fine di comprarsi un buco di casa in cui, un domani, crescere i propri figli, nella speranza che un giorno sarebbero stati loro a procurarci quelle soddisfazioni che non abbiamo saputo dare ai nostri genitori.
Questo eravamo; e questo siamo: usi e costumi di un tempo remoto. Figli di pastori, di piccoli contadini, padroni di un destino che si specchia sulle ombre dell’incerto.
Figli di un Sud diverso, rurale, smitizzato. Piccoli eroi, forse, legati all’ultima ruota del carro come sentinelle di un’epoca destinata a dissolversi nelle notti dei tempi. Schiavi di noi stessi, delle nostre po­vere idee, della nostra ostinata ras­segnazione, molto più comoda.

Foto: museidemos.it

Francesco Marrapodi

Francesco Marrapodi approda a Métis dopo aver ricoperto importanti ruoli in altre testate giornalistiche. 
È stato Redattore Capo per la provincia di Reggio Calabria de “L’Attualità”, collaborato con “Calabria Letteraria” e con “Alganews”, nonché con la testata giornalistica “In Aspromonte”. 
Ha studiato tecniche e metodi di scrittura del “Gotham Writers' Workshop”, è stato inserito nell’antologia “Ho conosciuto Gerico” in onore di Alda Merini con la poesia “La Nova” e fa parte dell’“Unione Poeti dialettali di Calabria”.
L’8 agosto del 2014 ha realizzato sulla spiaggia di Bianco una statua di sabbia raffigurante Papa Francesco, evento recensito da “Famiglia Cristiana” per il quale ha ricevuto il ringraziamento e la benedizione del Papa in persona. 
Si è reso inoltre promotore di una campagna contro l’inquinamento marino con “La morte di Poseidone”, statua di sabbia che ha suscitato grande interesse in tutto il mondo. 
Francesco è oggi un punto di riferimento redazionale su Bianco e dintorni, con un ruolo di primo piano nella Redazione Cultura.

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