Quel treno mai partito
Questa vuole essere la più cruda delle metafore. Un aneddoto che riguarda il Sud. La nostra storia. O, meglio, il nostro calvario. Qualcuno, non ricordo bene chi, ha deciso che si dovesse chiamare Questione meridionale.
Una storica che non avremmo mai voluto udire, che non avremmo mai voluto vivere. che non avremmo mai voluto immaginare. Invece è ancora qui, appesa alla pertica come una vecchia giacca rammendata. Giacché noi, che in antichità eravamo i padroni dei mondo, ci siamo visti sfuggire il domani, improvvisamente, tra un colpo di giavellotto greco, uno di daga romana e uno schioppo di moschetto garibaldino. Ma ancor di più abbiamo visto correre gli anni in sella a questo carro che ha contrassegnato i nostri sforzi. Eravamo i figli delle Madonie, dell’Aspromonte, delle Murge, della Marsica. Le infanzie della speranza, dell’illusione; i giovani di ieri, di oggi, forse anche di domani. Quei giovani che ci strascinavamo dietro, attaccati al carro della scomunica, un’antica maledizione; la stessa che ci ha visto e continua a vederci rigettati dalla realtà. La realtà là fuori. Perché là fuori, oltre quel muro d’interdizione (che sembra essere stato eretto apposta per noi), c’è il mondo. C’era allora. C’è tutt’oggi. Il mondo tale e quale a come ce lo siamo immaginati.
Un mondo fatto di gente comune, di cose semplici, lontano dal complesso tribale, dal vecchio modo di pensare, dal non voler guardare avanti. Il mondo con i suoi pregi e i suoi difetti; con le sue storie e le sue lusinghe. Il mondo su cui i veri eredi, a differenza di noialtri, hanno la possibilità di posare le basi del cambiamento.
Un traguardo bocciato da noi che il futuro lo interpretavamo come un tirar le somme al fine di comprarsi un buco di casa in cui, un domani, crescere i propri figli, nella speranza che un giorno sarebbero stati loro a procurarci quelle soddisfazioni che non abbiamo saputo dare ai nostri genitori.
Questo eravamo; e questo siamo: usi e costumi di un tempo remoto. Figli di pastori, di piccoli contadini, padroni di un destino che si specchia sulle ombre dell’incerto.
Figli di un Sud diverso, rurale, smitizzato. Piccoli eroi, forse, legati all’ultima ruota del carro come sentinelle di un’epoca destinata a dissolversi nelle notti dei tempi. Schiavi di noi stessi, delle nostre povere idee, della nostra ostinata rassegnazione, molto più comoda.
Foto: museidemos.it