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Emanuela Licciardelli: la regista che si batte per le donne

Emanuela Licciardelli è una regista e sceneggiatrice siciliana che da qualche anno si è trasferita nella splendida cornice di Ardore, piccolo borgo della provincia di Reggio Calabria. Il suo cortometraggio Ardor, in cui ha portato in scena una personalissima versione della passione di Cristo, è stato tra i più visti (e chiacchierati) della Locride. Laureata in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo e specializzata in Turismo e Spettacolo, oggi si occupa di promozione culturale applicata al mondo dell’Arte. Quotidianamente, infatti, si muove sul territorio alla scoperta della cultura e delle tradizioni dei popoli e cerca – in sinergia con le istituzioni che vogliono collaborare – di promuovere e valorizzare la nostra terra. Ma il suo impegno nel sociale non finisce qui: Emanuela si batte infatti per i diritti delle donne e si è messa a disposizione per aiutare e difendere le vittime di abusi.
Parliamo della tua volontà di valorizzare il territorio. È per questo che hai deciso di restare al Sud?
È così: alcuni pensano che sia meglio trasferirsi al Nord per avere più opportunità, io invece credo che l’arte del Sud non debba perdersi. Dobbiamo impegnarci a far rimanere più giovani possibile. Anzi, ti dirò di più: dobbiamo portare il nostro Sud in giro per il mondo, preservarlo ed esportarlo per farlo conoscere. È necessario però avere la pazienza di restare in loco e favorire il contatto umano. E l’arte è contatto umano.
Direttrice artistica, regista, sceneggiatrice: sono tantissimi i ruoli che oggi rivesti. Ma quali sono state le tue prime esperienze?
Dopo la laurea e gli studi specialistici, ho frequentato la Scuola di cinema di Paolo Benvenuti, poi sono stata sul set di Fabio Segatori. Una delle esperienze più belle è stata quella vissuta grazie all’Università di Messina, che mi ha assegnato come regista e sceneggiatrice per un progetto dell’Ateneo stesso. Ho avuto così la possibilità di scrivere e dirigere dei cortometraggi, lavorando assieme agli studenti. È sempre emozionante quando il valore ti viene riconosciuto e ti viene data un’opportunità per dimostrarlo. Dopo, in maniera indipendente, ho girato il mio primo cortometraggio, Ardor. Il mio modo di fare cinema è molto particolare, non è ortodosso, e Ardor non fa altro che rappresentare il primo step di questo modus operandi.
Dicci di più sul tuo cortometraggio.
Io cerco di dare un’impronta gotica alle mie storie, introducendo degli elementi che richiamino il genere. Per realizzare Ardor mi sono dovuta allontanare dallo stereotipo dei corpi che vediamo in giro: ho preso la mia protagonista, l’ho trasformata in Gesù Cristo e le ho fatto rivivere gli ultimi tre giorni della passione. Ci sono state anche alcune critiche, ma il mio intento era quello di far comprendere che quando parliamo di violenza, non intendiamo solo quella fisica. È necessario combattere la fase preliminare, è necessario far comprendere che nel momento in cui gli uomini tentano di imporsi, provano a convincerci che non siamo all’altezza, ci suggeriscono che vestiti indossare, stanno compiendo una violenza. C’è un pregiudizio culturale alla base. Io con quest’opera ho deciso di battermi per quelle donne che hanno paura. È facile dire “Dovete denunciare a tutti i costi” senza pensare che dietro c’è un contesto in cui regna la paura. Per far sì che si arrivi alla denuncia, prima bisogna attivare una rete di protezione e solidarietà verso la vittima.
Quindi i tuoi lavori hanno anche valenza sociale: quale tipo di azioni compi in tal senso?
Io mi metto completamente a disposizione per aiutare le donne che stanno subendo violenze. Cerco di lavorare tantissimo anche tramite i social, che spessissimo vengono stigmatizzati ma che invece, se usati consapevolmente, possono diventare uno strumento potentissimo. Qualsiasi donna tramite un messaggio può contattarmi per farmi capire che qualcosa non va. A me non interessa avere riconoscimenti in tal senso, il mio obiettivo non è l’autoreferenza. Io voglio partire dal basso, perché solo così è possibile dare un aiuto concreto. Un’altra difficoltà è data dalla non-comunicazione: abbiamo necessità di comunicare in modo più efficace, perché molte donne non sanno come fare, non sanno a chi rivolgersi e non si fidano delle forze dell’ordine a causa dell’iter complesso che si avvia nel momento in cui denunciano. È importante fornire l’aiuto e il supporto affinché riescano finalmente a fidarsi.
Quali sono le tematiche ricorrenti nelle tue opere?
Io scrivo di vita vera, di paure e bisogni reali. Prendo spunto dalla mia esperienza e, successivamente, dal confronto con gli altri. Non faccio altro che esorcizzare le paure attraverso la costruzione dei miei personaggi. Non sono io che do vita a loro, ma sono i personaggi che la danno a me. Come detto in precedenza, uso un genere che di solito non ci si aspetta da una donna, per antonomasia più portata a trattare altri temi.
Hai avuto difficoltà nel mondo del lavoro a causa del tuo essere donna? Credi sia stato più difficile farsi valere?
Sì, assolutamente. Ne ho avute di difficoltà, eccome. Lo voglio dire a gran voce! Io mi batto per le donne nell’arte, perché vengono considerate troppo emotive, troppo deboli e, spesso, si ritrovano vittime di un sistema di do ut des. Alcuni artisti, alcuni maschi, pensano che la figura di una donna sul set non possa portare a un buon film. In passato sono stata in aiuto-regista e ho iniziato portando il caffè. Mi rendevo conto di come gli uomini mi guardavano sbalorditi quando vedevano che tecnicamente sapevo rispondere ed ero brava. Come se, in quanto donna, non potessi avere competenze. Questo non è giusto: dovremmo scendere in piazza e manifestare stando semplicemente in silenzio per far capire agli uomini che senza di noi il mondo si ferma e tutto è perduto. Ti dirò di più: il mio sogno è quello di fondare una casa di produzione tutta di donne.
Quali sono i punti di riferimento per te nel tuo campo artistico? A chi ti ispiri?
Il mio idolo è Quentin Tarantino, sono una sua grande fan. I miei mentori sono Guillermo Del Toro e Matteo Garrone. La storia del cinema per me è fondamentale, sono una neorealista sfegatata. Quando riguardo Ladri di biciclette ancora piango come la prima volta.
Qualche domanda più leggera: il cinema italiano è spesso criticato: tu cosa ne pensi?
Io credo invece che ci siano molti artisti interessanti. Il cinema nasce in Italia e solo in un secondo momento arriva a Hollywood. È importante riscoprire la nostra Hollywood, perché sono tantissimi i registi italiani giovani che non si accontentano del cinepanettone.
Previsioni per gli Oscar 2022?
Non so dare una previsione precisa, perché ci sono tantissimi film interessanti. Bisogna tenere d’occhio il cinema coreano, ad esempio. Inoltre, probabilmente a causa del periodo storico che stiamo vivendo, sono stati prodotti tantissimi film di semplice intrattenimento molto belli, come ad esempio Una famiglia vincente di Will Smith: un film leggero e lineare ma di qualità. Forse, a causa della pandemia, abbiamo bisogno di opere del genere. Mancano però le produzioni cinematografiche d’autore. Come si domanderebbe Martin Scorsese, questi film che cosa stanno raccontando? A mio avviso manca il cosiddetto cinema d’essai.
Progetti futuri?
Girerò un corto sugli abusi fatti ai minori da parte del clero. Nonostante già sappia che troverò un ambiente ostile, non mi fermerò davanti a niente. Con la mia opera voglio sostenere la Scienza, in particolare la psicoanalisi nel processo di rimozione del trauma.
Che consigli daresti a chi vuole intraprendere la tua carriera?
Il mio consiglio è di ricordare che il cinema non è solo il tappeto rosso, ma soprattutto sacrificio. Bisogna studiare, studiare, studiare. Senza farlo non si arriva da nessuna parte. Nonostante questo, però, dico ai giovani di non mollare mai, perché se la pandemia ci ha fatto comprendere qualcosa è quanto sono importanti i nostri sogni. Bisogna alzarsi ogni mattina e pensare di vincere l’Oscar. Avere un obiettivo ci mantiene in vita. Un altro consiglio: bisogna sbagliare, perché ci fa riscoprire noi stessi e il pubblico.

Anastasia Cicciarello

Nata a Locri nel 1990, membro effettivo della Millennials Generation, ha iniziato a scrivere prima sui muri con i pastelli, poi a scuola, dove ha incanalato la sua passione e non si è più fermata. Le piace viaggiare ma adora allo stesso modo la strada del ritorno, la bellezza dolorosa e fragile della sua terra. Abita ad Ardore, la cui posizione invidiabile le fa iniziare ogni giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno. Il bisogno di dire la sua l’ha condotta alla finale del concorso AttiveMenti con il racconto “La necessità del superfluo”, a scrivere “Il dolore non mi fa più paura” per la casa editrice Guthenberg e a collaborare con varie testate come hermesmagazine.it

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