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I sentieri Lacìna-Lu Bellu e Pecoraro-Lu Bellu

Locride… e dintorni in Mountain Bike XXXIII

Di Rocco Lombardo

Fresca profonda verde foresta. La luce vi è mite, delicatissima, il cielo pare infinitamente lontano; è deliziosa la freschezza dell’aria; in fondo al burrone canta il torrente; sotto le felci canta il ruscello…
Si ascende sempre, fra il silenzio, fra la boscaglia fitta, per un’ampia via…
Tacciono le voci umane…
Non v’è che questa foresta, immensa, sconfinata: solo quest’alta vegetazione esiste.
Siamo lontani per centinaia di miglia dall’abitato: forse il mondo è morto dietro di noi.
Ma ad un tratto, tra la taciturna serenità di questa boscaglia, un che di bianco traspare tra le altezze dei faggi.
Questa è Ferdinandea…

Così la scrittrice Matilde Serao, prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, sul Corriere di Roma del 19 settembre 1886 descriveva la Ferdinandea, rappresentando appieno il fascino idilliaco di questo territorio, immerso nel silenzio dei boschi, in cui il tempo sembra essersi davvero fermato al secolo scorso, quando ancora costituiva parte del demanio dell’Università di Stilo, regalato al Re delle due Sicilie e scelto infine da Giuseppe Garibaldi come base per la conquista della Calabria nella spedizione dei Mille.
Ci eravamo lasciati sotto la fitta nevicata di Monte Pecoraro, che aveva connotato l’impronta epica ed esaltante della prima parte della nostra escursione in Mountain Bike. Dalla villa borbonica, lungo un suggestivo sentiero lastricato in pietra, avevamo infatti raggiunto prima la diga Giulia che, al pari della diga Ruggero posta poco più a valle, convoglia le condotte delle acque verso le due piccole centrali idroelettriche (Marmarico e Guida) di Bivongi, per poi scalare la sommità più alta delle Serre. All’incedere di ogni pedalata una scoperta nuova e una storia da raccontare, ecco che così il territorio della Ferdinandea ci narra di una zona boschiva nel cuore del Parco Naturale Regionale delle Serre, che unisce alle bellezze naturalistiche importanti testimonianze storiche.
Discendiamo il costone lungo il sentiero innevato, il tasso adrenalico si alza decisamente, con una buona dose di incosciente cautela per la presenza di insidiose lastre di ghiaccio a complicare ulteriormente la già precaria tenuta delle nostre MtB sullo sterrato imbiancato. Durante il tragitto ci imbattiamo in chiare testimonianze lasciate dall’attività umana nel passato, come le famose neviere, ovvero alcune buche di forma quadrangolare rivestite grezzamente da pietre a secco, che fungevano da ghiacciaie (dei frigoriferi ante litteram, verrebbe da dire!), utilissime un tempo per la conservazione della neve pressata con la paglia, da riutilizzare nei mesi più caldi sotto forma di ghiaccio; poco più a valle ci imbattiamo in una particolarissima torretta di avvistamento, probabilmente di epoca borbonica, la cui struttura piramidale ingloba alla base una roccia granitica.
Il sentiero, abbassandosi di quota, diviene sempre più fangoso e insidioso, la profondità dei canali, provocati dal defluire e dal ristagno delle acque piovane, in alcuni tratti supera abbondantemente il metro e mezzo, basta veramente pochissimo per scivolare e impantanarsi nelle sedimentate pozze melmose. Un paio di chilometri e siamo alle soglie del Bosco Archifòro, nel territorio di Serra San Bruno, dove abbandoniamo per un attimo la traccia sterrata nei pressi della contrada Rose Viole, lungo un gradevole sentiero che prima sale dolcemente e, man mano, con pendenze e dislivelli più sostenuti, s’inerpica verso Monte Pietra del Caricatore (1.414 metri sul livello del mare). Il fondo sdrucciolevole diviene adesso sempre più accidentato per la presenza di spuntoni di roccia granitica: in tempi passati questo sentiero ha costituito un importante dorsale di comunicazione per il trasporto a valle del granito che, modellato da sapienti scalpellini, adorna ancora oggi la Ferdinandea e gran parte delle costruzioni di Serra San Bruno, compresa la Certosa.
A poche decine di metri da un crocevia, sulla sinistra, nascosto tra alberi di faggio, resiste ancora un vecchio punto trigonometrico costituito da una piramide in pietra con al vertice un cilindro. Continuiamo a scendere di quota piegando a sinistra, lungo un altro sentiero di crinale che ci fa scorgere le prime abitazioni periferiche di Serra San Bruno fino a quando, alla prima biforcazione, si supera un ruscello che corre a ridosso della località detta Le Mandrie (1.050 m slm).

Si segue, a questo punto, la strada sterrata, asfaltata nel tratto terminale, che scende verso Serra San Bruno, il più importante centro abitato delle Serre, la cui storia va di pari passo con quella della Certosa fondata da Brunone di Colonia nell’XI secolo, il cui primo nucleo fu costituito, attorno all’anno 1094, da famiglie di operai e guardaboschi che lavoravano nei vasti possedimenti concessi da Ruggero il Normanno, e di cui oggi ci limitiamo a dare solo breve cenno. Grazie, infatti, alla ricchezza delle risorse naturali, ma anche al richiamo che la Certosa rappresentava per artisti italiani e stranieri del tempo, Serra San Bruno si arricchì di artigiani di valore, la cui testimonianza è ancora oggi visibile nei portali dei palazzi e delle chiese del centro storico.
La seconda parte del nostro percorso si rivela dunque un viaggio nel tempo, nel cuore e nell’anima antica di questo territorio, come la scoperta dei complessi granitici di Pietra de lu Moru e la Pietra di l’Ammienzu, due antiche cave di estrazione e lavorazione di granito in cui ingegno, lavoro e sudore sono tuttora visibili. Da qui il percorso si biforca: andando a ovest si può raggiungere il borgo di Serra San Bruno, procedendo verso est, invece, si rientra verso Ferdinandea per completare il giro ad anello.
Seguiamo quindi la traccia GPS fino al bosco della Lacìna, dal quale potremo incrociare successivamente i sentieri Lacìna-Lu Bellu e Pecoraro-Lu Bellu. Si percorre, quindi, un tratto della Strada Provinciale 43 in direzione del Lago della Lacìna, il cui toponimo denomina anche la diga e l’invaso dell’Alàco, definito per molti anni il lago che non c’è, in quanto non veniva censito in tutte le carte geografiche, un invaso maestoso che si apre davanti a noi, e si perde a vista d’occhio, a cavallo tra i comuni di Brognaturo (VV) e Cardinale (CZ), uno dei più grandi della Calabria per estensione, una terra ricchissima d’acqua ma dalle terre aride. Per decenni mai definitivamente portato a compimento a causa di varianti in corso d’opera, problemi di impatto ambientale, lavori sospesi a più riprese, la sua eterna storia, sovrapponibile alle tante opere incompiute di questa regione dimenticata, a distanza di soli 50 anni dalla sua iniziale pianificazione, si è conclusa con il raggiungimento dell’assetto funzionale per il quale fu progettato.
Subito dopo il bivio che porta alla diga giriamo a destra su una strada sterrata, segnalata dai cartelli toponomastici dei due sentieri sopra menzionati, rispettivamente i numeri 8 e 9 del Parco delle Serre; riprendiamo pertanto il percorso che si snoda su un antica mulattiera in salita e superiamo alcuni terrazzi coltivati fino a raggiungere uno spiazzo fra i faggi dove insistono alcune vecchie segherie. Pochi chilometri ancora e ci troviamo a un trivio in località Croce di Panaro,riconoscibile appunto per la presenza di una croce in legno, un antico passo posto tra le località Pomara e Pietra del Caricatore.
Piegando sulla sinistra e in leggera discesa raggiungiamo il rifugioCasermetta Lu bellu, nei cui pressi vi è una fontanella e uno spazio attrezzato per barbecue. Si tratta di un locale composto da un stanza dotata di caminetto, fortunatamente accessibile, che ci consente di accendere un provvidenziale fuoco estemporaneo con alcune sterpaglie, e fronteggiare la temperatura rigida che aveva ulteriormente appesantito gli indumenti e le calzature, ormai fradici, di alcuni di noi, consentendoci di riposare e consumare un frugale pasto al riparo dal freddo pungente, mitizzando e tratteggiando i contorni di un escursione sempre più epica.
Il sentiero ci riporta in pochi chilometri alle porte di Ferdinandea, da dove, attraverso lo sterrato percorso di qualche ora prima, raggiungeremo la SP 9 nei pressi dello stabilimento di imbottigliamento della fonte Mangiatorella, ultima testimonianza ancora attiva, di quel che fu uno tra i più importanti poli industriali del Regno delle Due Sicilie, che oggi può rappresentare il fulcro di un percorso organico di archeologia industriale, un patrimonio, non ci stancheremo mai di ricordarlo, di una terra che stenta a comprendere che lo sviluppo turistico passa dal recupero della sua storia.
Siamo ormai all’imbrunire e concludiamo quindi il nostro affascinante percorso nel cuore delle Serre con il rientro a Villaggio Ziia, pochi chilometri più a valle, senza dimenticare di menzionare i compagni di viaggio con cui abbiamo condiviso le emozioni di una fredda escursione invernale: Giuseppe Piccolo, Giuseppe Pileggi e Antonio Maccarone.

Redazione

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