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Costume e SocietàLetteratura

La crudeltà di Claudio Nerone

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LXVI

Di Giuseppe Pellegrino

Dalla Spagna l’uomo si era messo in viaggio verso l’Italia, quando si era reso conto che Annibale, a capo di truppe logorate e stanche dalla tattica attendista del Temporeggiatore, che, alla non piccola età di sessantotto anni, pungeva come un’ape e scappava, senza mai accettare un scontro aperto,si era ridotto a non avere più di ventimila uomini e aveva bisogno di altre truppe. Asdrubale era a conoscenza delle difficoltà di Annibale e pensò allora di riunirsi al fratello. Mandò ben nove soldati come messaggeri, divisi in gruppi di tre, travestiti con i panni di contadini, per avvisare il comandante supremo del suo arrivo. Nessuno dei tre gruppi potè compiere la missione, poiché furono trucidati per strada tutti. Asdrubale superò il valico delle Alpi approfittando dello scioglimento delle nevi con l’arrivo della buona stagione. Il passaggio non fu difficile, ma lo scontro fu immediato e inevitabile. Nella battaglia presso il fiume Metauro l’uomo andò incontro alla morte di sua volontà, quando si gettò nella mischia furibonda che stava volgendo in favore dei nemici, perché non voleva subire l’onta della sconfitta da vivo; non voleva cadere in ostaggio, temendo l’oltraggio alla persona. E, invero, la battaglia fu così furibonda che anche gli elefanti impazzirono, portando un tale scompiglio tra le fila dell’esercito cartaginese, che i magistri elephatorum, come i Romani chiamavano gli uomini seduti su quei poderosi animali, furono costretti a piantare tra la cervice e la testa degli animali, secondo l’insegnamento dello stesso Annibale, un chiodo lungo da fabbro, conficcato con un unico colpo serrato con un poderoso martello. Gli elefanti emisero un ultimo lamentoso barrito di morte; e mentre quella poderosa montagna di carne cadeva per terra, gli Indiani, come li chiamava Polibio, saltarono per salvarsi dalla groppa.In quelle condizioni Asdrubale vide la fine del suo esercito e la sua. Temette di cadere prigioniero e diventare, quindi, ostaggio dei romani, che ne avrebbero fatto pubblico oltraggio ma, soprattutto, pensò di non poter sopravvivere alla vergogna di rimanere vivo quando un esercito, che credeva in lui, lo aveva seguito fino all’olocausto. Ma se l’oltraggio non arrivò sull’uomo, il console Claudio Nerone, comandante romano assieme a Marco Livio, detto Salinatore, per la ragione che quando era censore si inventò un balzello sul sale per rinsanguare l’Erario romano, lo riservò al cadavere.I due consoli mal si sopportavano. Marco Livio provava per Claudio Nerone un odio, mai sopito, che veniva da lontano, da quando il console si era schierato con la fazione che voleva il Salinatore artefice di malefatte sulle prede illiriche per le quali era stato condannato a pagare una piccola multa, che il vecchio console considerò ingiusta e oltraggiosa, tanto da abbandonare la vita pubblica. Egli ubbidì al richiamo di Roma solo per puro patriottismo, accettando di condividere il comando con un uomo che disprezzava e al quale non rivolgeva neppure la parola. E, infatti, non disse nulla e forse anche condivise la scelta, quando Claudio Nerone diede l’ordine di staccare di netto dal corpo inerte di Asdrubale la testa tumefatta, che fu messa in un sacco e inviata in regalo al fratello con un cavalleggero che gettò, in sella a un cavallo in corsa, il dono dietro la palizzata del castrum. Annibale,alla vista, barcollò. Non era un uomo di molte parole. A volte sembrava timido e, come tutti gli introversi, reagiva con scatti d’ira spaventosi e improvvisi; come improvvisa ed esagerata era la gioia. Era abituato alla morte e aveva messo nel conto anche quella di qualche famigliare. La crudeltà senza ragione non la capiva. Non ci si comportava così tra soldati di valore. Quando poco tempo prima, in un’imboscata, i Numidi ai suoi ordini uccisero il console Marcello, chiamato La spada di Roma, che voleva anticipare Annibale che marciava verso Locri Epizèphiri, al cadavere che, pieno di sangue e ormai esanime, si trovava per terra, sceso da cavallo, sottrasse l’anello consolare non per oltraggio, ma per atto di deferenza, per dimostrare la pietà di un soldato, per chiarire al mondo intero che Annibale rispettava un uomo di valore tanto da farlo suo. Ma fece di più: inumò il cadavere e mise le ceneri in un’urna di argento e la mandò a Roma perché venissero garantite esequie pubbliche e pubblici onori, come si conveniva a un uomo di valore.Il console aveva pagato con la vita il genio e l’improvvisazione militare del Cartaginese. Aveva avuto ordine di inseguire Annibale che ripiegava verso Kròton, ma all’improvviso, da cane, divenne lepre. Annibale cambiò senso di marcia e tese un’imboscata. La curiosità e la temerarietà fecero il resto.Questo era Annibale che non capiva il gesto crudele di Claudio Nerone.

Foto: dueminutidistoria.it

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