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Costume e Società

Monsignor Francesco Oliva: “Il malato è più grande della sua malattia”

Di ✠ Francesco Oliva – Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace

In occasione della Giornata Mondiale del Malato che, anche quest’anno, come ogni anno, ricorre l’11 febbraio, vorrei rivolgere il mio saluto a quanti sono malati e ai loro famigliari, ma anche a tutti coloro che si prendono cura di essi: ai medici, agli infermieri e a tutti gli operatori sanitari.
Celebriamo questa Giornata del Malato a livello diocesano nel Santuario Nostra Signora dello Scoglio in Santa Domenica di Placanica. Questo Santuario, come tutti gli altri Santuari, sono luoghi particolarmente frequentati dagli ammalati, che invocano la guarigione, l’aiuto del Signore e il conforto dei sacramenti. Nonostante le difficoltà e le restrizioni dovute alla pandemia i nostri santuari, in particolare il Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, quello di Nostra Signora dello Scoglio di Santa Domenica di Placanica, il santuario dei Santi Medici in Riace, quello della Madonna di Montestella in Pazzano, continuano a essere veri polmoni spirituali, in cui è possibile ritrovare la grazia del perdono e il conforto del Signore. Ogni fedele che vi si reca nei momenti di sofferenza e di sconforto desidera recuperare la guarigione del corpo e dell’anima, avere quel conforto spirituale che gli consente di andare avanti.
La Giornata Mondiale del malato, istituita trent’anni fa da San Giovanni Paolo II, acquista un significato particolare in questo tempo di pandemia da Covid-19, che vede il mondo intero lottare contro questa pericolosa forma di contagio. Da una parte v’è la comunità scientifica impegnata nella ricerca di adeguate contromisure vaccinali e dall’altra il mondo degli operatori sanitari che, oltre alla cura dei malati con le comuni e spesso non meno gravi patologie, è impegnato nella lotta all’estendersi dell’epidemia. È una giornata speciale, che intende richiamare un’attenzione particolare verso i malati e quanti se ne prendono cura.
Accogliamo l’invito del santo Padre a riflettere sul tema “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Luca 6,36) e a “porci accanto a chi soffre in un cammino di carità”. Non possiamo vivere questo tempo senza volgere lo sguardo a Dio “ricco di misericordia” (Efesini 2,4), che ci ama con cuore di padre, anche quando seguiamo vie che allontanano da Lui. Crediamo in un Dio che è misericordia, che assomma in sé la dimensione della paternità e quella della maternità, che si prende cura di noi con la forza di un padre e con la tenerezza di una madre.
In questa Giornata Mondiale del malato abbiamo davanti agli occhi i numerosi ammalati che, in questo tempo di pandemia, hanno vissuto nella solitudine di un reparto di terapia intensiva l’ultimo tratto della loro esistenza accanto a generosi operatori sanitari, ma lontani dagli affetti più cari. Per essi è stato importante avere accanto dei medici, degli infermieri e degli operatori sanitari che, sull’esempio di Gesù che “percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Matteo 4, 23), hanno versato sulle ferite dei malati “l’olio della consolazione e il vino della speranza.”
Troppo spesso vengono messi in risalto i limiti e le carenze dell’organizzazione della sanità: l’insufficienza del personale, lo stato di degrado di talune strutture ospedaliere, la fragilità del sistema sanitario territoriale, la mancanza di una politica sanitaria di larghe vedute. Pur senza negare quello che appare all’osservatore comune, vorrei plaudire all’impegno e alla generosità di un mondo, quello degli operatori sanitari, che assume su di sé la cura dei malati e la sofferenza di tanti e con senso di responsabilità e dedizione prova a sopperire a ogni carenza strutturale.


Edil Merici

La loro, che è una vera missione, li porta a essere accanto a quanti sono più fragili e deboli: sanno di avere a che fare non con un caso clinico, con uno stato patologico o una condizione di sofferenza, ma con una persona malata, che ha una dignità che nessuno può toglierle. Il malato è più grande della sua malattia. Per questo la relazione medico-paziente ha un approccio umano terapeutico, che non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure. E quando non è possibile guarire, è sempre possibile restare vicini, offrire una parola di consolazione o un gesto di conforto, mostrando interesse alla persona prima ancora che alla sua patologia. È l’esercizio di una missione, che potremmo dire evangelica, perché richiama l’azione stessa di Gesù: le mani di coloro che curano chi soffre toccano la carne sofferente di Gesù e sono “segno delle mani misericordiose del Padre.”
Verso tutti gli operatori sanitari la Comunità civile e religiosa è debitrice di riconoscenza. Ed è giusto dire loro grazie ed esprimere riconoscenza per il loro servizio reso con amore e competenza, che va al di là dell’esercizio di una semplice attività professionale. Ogni medico ed operatore sanitario ha bisogno di preghiera e vicinanza.
Esprimo il grazie di questa nostra Chiesa diocesana a tutti gli operatori sanitari del territorio, a quelli che operano sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private o nei luoghi di cura, che Papa Francesco chiama “case di misericordia.”
Senza necessità di fare comparazione con altri Paesi, il nostro sistema sanitario risponde come meglio può alle necessità del mondo della sofferenza. Non possiamo che benedire e rendere grazie per ogni cura e guarigione operata. Specie quando avviene in condizioni di difficoltà. Ma è anche giusto far sentire la propria voce a difesa del diritto alla salute, quando non vengono assicurati i Livelli Essenziali di Assistenza o non si ricevono le cure mediche che altrove vengono assicurate e si è costretti a emigrare o non vengono garantite le dovute prestazioni sanitarie a quanti versano in stato di grave disabilità.
Il servizio del sistema sanitario è un bene di tutti e di ciascuno, un bene pubblico essenziale che occorre sempre più migliorare per consegnarlo più efficiente a chi verrà dopo. Da esso si misura il livello di civiltà di una comunità. Questo tempo di pandemia ci ha messo di fronte l’urgenza di non far mancare agli ammalati, oltre che l’aiuto terapeutico necessario, anche il conforto umano e spirituale. Gli ammalati, come anche le persone anziane, soffrono ancor più la solitudine: la visita di una persona amica, di un vicino di casa, del proprio parroco ha un valore incomparabile. È un dovere di umanità. Come si può restare indifferenti di fronte a quanto accaduto a Marinella, l’anziana ritrovata morta nella sua casa in provincia di Como dopo due anni?!
La nostra comunità ecclesiale riconosce e apprezza il valore e la preziosità del ministero della consolazione, svolto dai sacerdoti, dai diaconi e dai ministri tutti che, pur fra le tante difficoltà e rischi in questo tempo di pandemia, non hanno fatto mancare agli ammalati e alle loro famiglie la vicinanza e il conforto spirituale. Dico loro grazie per questa testimonianza evangelica, che rende attuale l’esortazione di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25, 36).
Per l’intercessione di Maria, Salute degli infermi, invoco la benedizione di Dio su tutti i malati e le loro famiglie, sugli operatori sanitari, sui diaconi, sui sacerdoti e su tutti i ministri della consolazione.

Foto: style.corriere.it

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