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Costume e SocietàLetteratura

La cassaforte

Il cartomante di Torre Normanna IX


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

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Un piccolo ghiacciolo sembrava sciogliersi lentissimamente nel cervello di Stracuzza ma, piuttosto che rinfrescarlo faceva l’effetto dell’acqua bollente sopra una una ferita e il cervello del maresciallo, già provato per altri versi, cominciò anch’esso a fumare.
Tornò in caserma, aprì la porta del suo ufficio e sprofondò nella sua poltrona preferita accanto alla porta.
Prese dalla tasca della giacca la lettera e guardò il mittente: “Tony Mastrangiulu, Dougall Ave 48226 Detroit (Michigan) Stati Uniti di Merica”, il numero civico era quasi un geroglifico e la macchia di caffè aveva fatto il resto, così non riuscì a discernerlo ma, con una rogatoria internazionale, si sarebbe riusciti sicuramente a risalire all’indirizzo esatto. Adesso, comunque, sapeva a chi si sarebbe dovuto rivolgere per sapere di più sul conto del cartomante.
Accese un sigaro che riempì l’ufficio di fumo biancastro, poi si avvicinò a un armadio blindato e tirò fuori una bottiglia di J&B, si versò una generosa razione in un bicchiere largo e si risedette sulla sua comoda poltrona. Poi, per il caldo, o per il whisky, o per l’ora pomeridiana, le palpebre gli si chiusero da sole e si addormentò.
Giulia gli veniva incontro, fresca e bellissima e come sempre, e lo abbracciava e lo baciava mentre ballavano insieme in riva al mare, che era limpido, velato appena da qualche onda che baciava la spiaggia per poi ritirarsi mentre loro ballavano sulla musica di tamburi che scandivano il tempo del loro ballo.
I tamburi insistevano e lui, istintivamente, disse: «Avanti» realizzando in un istante che qualcuno stava bussando alla porta.
Entrò Cristina con il suo ciuffo costantemente fuori dal berretto d’ordinanza. «Comandi – disse affrettandosi a spalancare la finestra. – Scusi, ma fa un po’ caldo.»
«Allora?» domandò il maresciallo alzandosi dalla poltrona e rassettandosi la divisa scomposta e in disordine.
«Ecco qua» rispose a sua volta l’appuntato porgendogli le carte che era riuscita a farsi dare dall’ufficio del catasto. Sono tre gli appezzamenti di terreno di cui Mastrangelo era proprietario, ma solo in uno c’è un’abitazione che possa dirsi tale.
«È in una frazione qua vicino.»
«Andiamoci subito, prenda il fuori strada.»
Così l’appuntato Cristina Del Buono si mise alla guida del Jeep Wrangler in dotazione all’arma. Le piaceva sentire il rombo che fa il potente motore appena acceso e più volte spinse il piede sull’acceleratore del mezzo pur tenendo abbassata la frizione, ma Stracuzza le lanciò un’occhiataccia per incitarla a concludere la manovra e immettersi sulla strada.
Da tutte le campagne della cittadina medioevale si può ammirare la torre superstite del castello normanno, che sembra un vecchio gigante buono che sorveglia dall’alto, impotente, la gente e le cose.
Liserà, così si chiamava quella frazione e, all’epoca dei fatti, contava meno di cento abitanti, tutti contadini o figli di contadini che lavoravano nel settore impiegatizio o nel commercio e che solo in parte si dedicavano all’agricoltura e là, ai piedi dell’antico castello c’era l’appezzamento di terreno nominato nella mappa che il maresciallo Stracuzza teneva in mano e, sul terreno, formatosi dal continuo sbriciolarsi della roccia su cui sorgono i ruderi dell’antico maniero, c’era una costruzione anch’essa in pietra che presentava una profonda fenditura da cima a fondo determinatosi per la friabilità del terreno su cui la bicocca sorgeva. Una fascia di coronamento in cemento armato aveva impedito alla vecchia casetta di aprirsi come un melograno maturo ed evidenti segni di restauro, peraltro mai concluso, rendevano la facciata simile al viso di quelle donne che, prima di dormire, si stendono sul volto la crema di bellezza per farla assorbire durante la notte.
Stracuzza si avvicinò alla vecchia porta e infilò la chiave ritrovata a casa del cartomante. Senza alcuna fatica la chiave fece scattare il chiavistello, che consentì alla porta di aprirsi.
Il sole sulla campagna intorno picchiava forte. Un gruppo di cicale aveva iniziato un concerto da una quercia accanto alla vecchia casa e i fiori e l’erba tutt’intorno creavano una fantastica scenografia. La casetta era posta sopra una specie di cocuzzolo: non era stata una bella idea costruirla in quella posizione per i venti invernali che ne avrebbero fatto un bersaglio ma, da quel punto, si vedeva il mare azzurro e calmo come il cielo non velato da alcuna nuvola. Si potevano toccare con una mano le abitazioni della marina bagnate dallo Ionio azzurro e calmo sotto il sole insistente. Una lievissima brezza, proveniente da non si sa dove, portava ai due militari i profumi della campagna, e Luciano avrebbe preferito trovarsi su quell’erba fresca con Cristina accanto a bere vino e godere della bellezza dell’appuntato, che invece lo richiamò alla realtà: «Maresciallo, non entriamo?»
Poi si affrettò ad aprire le impolverate imposte di una finestra e il sole potè, finalmente, illuminare l’interno della casa.
Sembrava di essere entrati in un museo o, al massimo, in un caveau. Quadri di gran valore erano appesi alle pareti e alcuni erano ammucchiati in disordine in un angolo della stanza. Sulla scrivania, di evidente pregiata fattura, c’erano quasi ammassati e in disordine soprammobili antichi dorati o d’argento, coperti da un consistente strato di polvere.

Sotto la scrivania c’erano tappeti orientali arrotolati, due arazzi e ancora quadri e altri soprammobili di valore. Il maresciallo si spostò nell’altra stanza, ma lo scenario non cambiò. Anche lì quadri e ninnoli e, in fondo, a occupare quasi mezza stanza, un piccolo museo archeologico: vasi, monili e oggetti d’oro, preziosissimi, lavorati in modo eccellente di evidente antichissima fattura, abbandonati là in un angolo di quella casetta di campagna. Cristina guardò Stracuzza con fare interrogativo, ma senza proferire parola.
Che cosa avevano scoperto?
Era tutto irreale e incredibile! Chi era, dunque, il cartomante?
Da dove veniva tutto quel tesoro?
Il maresciallo Stracuzza si lasciò andare su di una poltrona impolverata schiacciato da tutto quello che aveva di fronte. Sarebbe mai riuscito a sapere chi fosse veramente Vito Mastrangelo?
Guardò ancora negli occhi Cristina, che distolse lo sguardo per andare a esaminare una statuetta tra quelle ammassate dinanzi a loro: un guerriero in creta alto circa trenta centimetri con tanto di scudo e lancia e un elmo strano in testa, ma non di quelli che si vedono nei libri di storia. Tutto ciò che avevano davanti agli occhi era incredibile e mille domande affiorarono nelle loro menti. Poi Stracuzza sorrise ed il suo riso si trasformò velocemente in una risata aperta, quasi sguaiata. Continuava a ridere e ancora a ridere senza riuscire a fermarsi. L’appuntato lo guardò, dapprima sorridendo anche lei poi, in un misto di paura e meraviglia, domandò: «Maresciallo? maresciallo che cosa è successo?»
Il maresciallo, con le lacrime agli occhi, senza riuscire a parlare, continuò a ridere e, riprendendo fiato e cacciando dalla tasca un fazzoletto di carta usato, finalmente rispose: «Ma… t’immagini… t’immagini quando fighetta di legno vedrà tutto questo? Che cosa riuscirà a inventarsi? Chiama Salincelo, che si porti tutto l’occorrente per fare l’inventario di tutta questa roba!»
Mentre Stracuzza diceva così urtò qualcosa di metallico che cadde a terra. La chiave di una cassaforte. Cristina, prontamente, la raccolse e la passò al maresciallo. «Pure questa – pensò a voce alta Stracuzza. – Cerchiamo ancora» aggiunse, rivolgendosi all’appuntato. Non ci volle molto perché il maresciallo, spostando un grande quadro di eccellente fattura del secolo scorso, vide incastrata nel muro una porta in ferro, arrugginita e mezza scrostata. «E questa come si apre? Ci vuole pure la combinazione!» esclamò Cristina. Era una vecchia cassaforte e non doveva essere complicato aprirla, pensò Stracuzza. «La data di nascita di Mastrangelo? Richiama Salincelo, che porti anche tutti i dati del cartomante.» Disse a Cristina.
Non ci volle molto e arrivarono Salincelo e Caruso. Il sole, intanto, stava facendo un lavoro egregio e continuava a picchiare su quell’angolo di campagna come, del resto, faceva ogni estate. Caruso si tergeva il sudore con un fazzoletto di carta che, nella sua manona, sembrava scomparire come nelle mani di un illusionista, il suo viso tondo e rubicondo era diventato rosso paonazzo e madido di un sudore che gli scendeva tanto copioso dalle tempie da inzuppare il colletto della camicia. Salincelo, invece, mingherlino com’era, sembrava non sentisse quasi per nulla quel caldo soffocante e scese dall’auto con molta calma, quasi contento di aver lasciato il chiuso della caserma per recarsi in quel luogo di campagna che profumava di fiori.
«C’è un bel po’ di lavoro per voi – disse Stracuzza quando i due fecero il loro ingresso nella casa e indicando con un ampio gesto della mano tutto quel ben di dio. – Dovete catalogare scrupolosamente tutto quanto e, quando finite, tornare in caserma e portatemi l’inventario completo.»
«E quella?» Disse Caruso indicando la cassaforte che adesso era in bellavista, avendo il maresciallo tolto il quadro che la ricopriva. Era una bella bestia di cassaforte, un metro e cinquanta per altri ottanta centimetri con la porta blindata, una serratura sulla sinistra e una manopola sulla destra per la combinazione, incassata in un muro portante spesso quasi un metro.
«Bisognerà aprirla, quella – disse il maresciallo con un sorriso sornione stampato sulla faccia. – Avete portato tutti i dati di Mastrangelo?»
Salincelo annuì facendo vedere una carpetta con dentro alcune carte.
«All’opera, allora» continuò Stracuzza rivolto a Cristina, che prese le carte di Salincelo e cominciò ad armeggiare con la manopola della cassaforte.
Il concerto di cicale, intanto, era finito, e i piccoli insetti avevano ceduto il loro palcoscenico ai grilli e a un gruppo di ranocchie che da un pantano poco distante dalla casa avevano, a loro volta, cominciato la loro interminabile performance.
Stracuzza accese la luce per dar modo ai due militari di continuare il loro lavoro, che si stava rivelando arduo, noioso e anch’esso interminabile. Cristina non era giunta a capo di nulla e la cassaforte si era rifiutata di aprirsi. L’appuntato aveva preso le cifre contenute nel rapporto e le aveva riportate sulla manopola in tutti i modi, la data di nascita, il numero di casa, quelli nel codice fiscale… Poi ci riprovò rimescolando i tutti i numeri, aggiungendo e sottraendo tutto quello che poteva essere calcolato ma non ci fu nulla da fare. Quel mostro blindato era inespugnabile.

Foto: dirigentesdigital.com


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